Recensione a cura di Angela Bitetto
Coprodotto da Teatro dell’Elfo e Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale, Moby Dick alla prova fa tappa al Teatro Vascello di Roma, magistralmente diretto e interpretato da Elio De Capitani, nell’adattamento teatrale del monumentale romanzo di Herman Melville realizzato da Orson Wells e andato in scena per la prima volta a Londra nel 1955.

Dieci attori ci scaraventano sulla tolda del Pequod, la baleniera con cui Achab e l’equipaggio al suo comando si gettano, tra il clangore delle assi sferzate dalla burrasca ed i canti vibranti dei marinai di Nantucket, all’inseguimento del capodoglio bianco che in passato aveva dilaniato la gamba del capitano. Il suo odio cieco ed il suo desiderio di vendetta verso Moby Dick trascinano l’equipaggio in una mortale rincorsa senza vincitori.
Se la balena bianca è l’incarnazione del mitico Leviatano, abbagliante simbolo dell’assurdità del mondo, il viaggio del Pequod a caccia del mostruoso cetaceo evoca un’umanità alla ricerca di senso in un’affannosa esplorazione che tuttavia conduce solo a riconoscere l’ineffabilità dell’essere.

Le musiche dal vivo di Mario Arcari, le luci Michele Ceglia e il suono di Gianfranco Turco restituiscono fedelmente al pubblico la cieca ossessione del capitano Achab e la sua epopea di sangue e di morte, metafora del destino umano, mentre le voci dei protagonisti, amplificate dai microfoni in scena, vibrano scuotendo le profondità dell’abisso interiore. Acciaio e buio, physis e psyche. E così scale cimiteriali diventano coffe per l’avvistamento del mostro e carrelli ospedalieri trasfigurano le lance dalle quali i marinai scagliano i loro arpioni letali, concreti presagi di sventura.
La scena sul fondo è dominata da un fondale bianco, leggero e sinuoso. È un telo mutevole: ora rappresenta le vele della nave, ora le onde del mare, ora il capodoglio bianco che si avvicina ed emerge dalle acque, ora il destino di quei marinai inghiottiti negli abissi. Il gigantesco lenzuolo bianco agitato dalle macchine di scena durante la strenua lotta conto il mostro marino si fa, in ultimo, mimesi del sudario che avvolge l’equipaggio del Pequod nell’ora fatale.
Solo Ismael si salverà per permetterci di conoscere la vertigine dell’abisso.
***Tutte le immagini sono fornite dal Teatro Vascello
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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