Prontuario di educazione positiva

Prontuario di educazione positiva

Rubrica a cura del dottor Claudio Rao

La scorsa settimana abbiamo spiegato cos’è la genitorialità positiva. Con l’aiuto della docente Marie-Hélène Gagné, nota ricercatrice universitaria, abbiamo scoperto che un genitore “positivo” cerca di guidare il proprio figlio piuttosto che di controllarlo o di dominarlo. Un po’ come se il bambino fosse una pianta da coltivare e il genitore un giardiniere attento e premuroso.

Questa settimana cercheremo d’individuare alcune strategie efficaci per suffragarci nella quotidiana applicazione di questo orientamento alle nostre logoranti giornate di genitori.

Le sette regole d’oro

  • Concentrarsi sulle istruzioni positive

Quando da giovane maestro presentai alla direttrice il regolamento della nostra classe, elaborato di concerto con i miei allievi di prima elementare, ella mi fece osservare che tutti gli impegni erano espressi in negativo. Avevamo precisato tutto ciò che non dovevamo fare. E mi raccontò di essere stata colpita in uno dei suoi viaggi, all’ingresso del Sahara (se non ricordo male) dalla raccomandazione espressa “in positivo“: « Aiutateci a tenere pulito il deserto ». Correva l’anno (scolastico) 1989/90.

È ciò che ci insegna a fare l’educazione positiva. Dire ai nostri figli « Non correre, non picchiare tua sorella » focalizza l’attenzione del bambino su ciò che non deve fare. Quando gli intimiamo, per esempio di « non correre », la sua attenzione rischia di concentrarsi sulla parola « correre », esattamente ciò che non vorremmo! Infatti un bambino piccolo può avere difficoltà a controllarsi per rispettare un divieto. Gli esperti in materia ci spiegano che questo sarebbe dovuto al fatto che il meccanismo dell’inibizione si sviluppa molto lentamente nel nostro cervello.

Al contrario, le istruzioni positive indirizzano l’attenzione del bambino verso il comportamento desiderato. Sono quindi più facili da rispettare. Al posto di « Non si salta sulla poltrona! » possiamo riprenderlo dicendogli « Sulla poltrona ci si siede! ».

Oltre alla formulazione in positivo, potremmo adottare anche questo accorgimento: schematizzare, riassumere, evidenziare. Mi spiego. In presenza di troppe regole, i nostri bambini rischiano di dimenticarsene alcune. Un giorno, una mamma di tre figli mi diede una lezione sorprendente nel mio studio di Pedagogista Clinico®. « Ho affisso un cartello con le 5 regole della nostra casa: condivido, parlo con calma, riordino, mangio da seduto, rispetto gli altri e le cose. Ho rappresentato ogni istruzione con un’immagine. Per ricordargliene una, mostro loro la foto. »

  • Incoraggiare la riflessione

Per responsabilizzare nostro figlio e bypassarne l’opposizione, possiamo preferire le domande ai comandi. « Quando, finita al cena, le mie bambine dimenticano di mettere il piatto nel lavandino, chiedo loro: “Cosa facciamo tutti dopo cena?”. Ebbene, sono fanno a gara per rispondere per prima e lo fanno! » mi confidò un giorno un giovane papà.

In effetti, quando nostro figlio ragiona si sente grande e responsabile. E collabora di più!

Un altro consiglio è quello di lasciare che il bambino decida piccole cose per soddisfare il suo bisogno di autonomia e di conferma.

  • Riconoscerne le emozioni

Quando nostro figlio attraversa un momento difficile e sta vivendo un’emozione complessa, la tendenza è quella di dire frasi del tipo « Su, ora smettila di piangere », « Non è poi così grave », « Adesso calmati un pochino ». Il che equivale a non riconoscere l’emozione che prova o quanto meno a negarne l’intensità .

È quello che abbiamo vissuto un po’ tutti quando una persona più grande o con più esperienza minimizzava il nostro vissuto del momento. Qualche anno fa, dopo un’interessante riflessione sul tema, un’amica psicologa mi confidò: « L’altro giorno mia figlia era triste dopo aver litigato con un’amica per una storia di matite rubate. Invece di dire che non era un grosso problema, le ho detto: “È vero, fa schifo quando ti portano via le cose. Ti capisco.” Non ne ha più parlato, come se avesse digerito la cosa ». Sostanzialmente la figlia le chiedeva soltanto di essere compresa nel suo moto di rabbia.

Mostrare empatia verso nostro figlio, anche nelle cose apparentemente piccole o insignificanti contribuisce a limitarne le frustrazioni

Al posto di dirgli un « no » freddo e ingiustificato, potremmo modulare: « Capisco che vorresti un dolcino, ma è quasi ora di cena. Ne mangerai uno per dessert ».

  • Evitare le etichette

È naturale che alcuni comportamenti di nostro figlio ci indispongano, ma è importante non sminuirlo. Ricordo che mia mamma da piccolo mi diceva spesso «Claudio, sei lungo come la quaresima ». Definire il bambino sulla base di alcuni comportamenti ancorché ricorrenti («sei lento», «sei impaziente», «sei insopportabile», ecc.) oltre a ferire i suoi sentimenti  danneggia la sua autostima; il rischio è quello di ottenere il risultato contrario a quello auspicato: rafforzare i cattivi comportamenti. Il bambino che viene definito « fastidioso » finisce per crederlo e rischierà di comportarsi di conseguenza.

Se nostro figlio combina un guaio, è meglio descrivere la situazione senza giudicarlo né accusarlo. Se per esempio, rovescia un bicchiere di latte, potremmo reagire dicendo: « Accidenti, adesso c’è del latte sul pavimento! Che cosa bisogna fare in questo caso? ». Magari chiedendogli di aiutarci a pulire.

  • Prediligere la riparazione alla punizione

Quando nostro figlio commette uno sbaglio, la cosa migliore da fare è lasciargli correggere il problema. Contrariamente alla punizione, la riparazione gli mostra i comportamenti accettabili. Correggere il suo errore lo aiuterà a sentirsi meglio. « Quando una delle tue figlie fa arrabbiare l’altra, chiedile di scusarsi con un disegno o facendole un favore », mi consigliò una collega Pedagogista Clinica®.

Le conseguenze naturali o logiche sono un altro modo per responsabilizzare il bambino.

Roussoianamente¹, potremmo porre nostro figlio di fronte alle conseguenze delle proprie azioni. Rifiuta di mettersi i guanti? Lasciamolo senza, in modo che sperimenti il disagio e il freddo durnte la passeggiata. Lancia un giocattolo fuori dalla porta? Prendiamoglielo e facciamolo sparire per qualche giorno.

  • Rinforzare i comportamenti adeguati

Un altro suggerimento efficace è quello di concentrare le proprie energie nell’incoraggiare i buoni comportamenti di nostro figlio. Contrariamente alla tendenza più diffusa di lamentarne i lati negativi, è buona regola elogiare il bambino sulle cose che sa fare bene.

Dite « Ti sei messo il pigiama da solo? Bravo! » Più attenzioni positive daremo a nostro figlio, meno manifesterà dei comportamenti inadeguati. È quanto osserva la ricercatrice Marie-Hélène Gagné.

  • Non attribuirgli intenzioni arbitrarie

« Al supermercato il tuo bambino di due anni ti indica un peluche e pensi che lo voglia. E se volesse solo dirti che riconosce questo oggetto? “Se gli dici no, insisterà e inizierà a piangere di fronte a tanta incomprensione” » spiega Isabelle Filliozat, psicoterapeuta ed autrice². « È più probabile che tu eviti una crisi dicendo: “Sì, è un cucciolo. Ti piacciono i cagnolini!” ».

Potremmo traslare le stesse precauzioni fronte a nostro figlio di tre anni che usa sempre il verbo “volere“. A questa età, il verbo “volere” potrebbe significare per lui molte altre cose. Per esempio «Voglio un gelato » potrebbe voler dire che lo vede, lo riconosce, gli piace o che ricorda di averlo mangiato il giorno prima.

Non cediamo alla facile tentazione di pensare che nostro figlio faccia certe cose apposta per provocarci in un’età in cui è ancora incapace di manipolarci.

Probabilmente – e molto più verosimilmente – se ci infastidisce  manifesta un disagio, è segno che qualcosa non va. Allora sarebbe molto più opportuno interrogarsi sulle cause, quelle vere, che generano tali comportamenti: è stanco, ha fame, ha bisogno di scaricarsi muovendosi un po’? Oppure si comporta così perché non riceve attenzioni (es. genitore sempre al telefonino)?

Ci siamo riservati un momento tutto nostro nella giornata da trascorrere insieme per ascoltarlo, coccolarlo o semplicemente fargli sentire che è importante per noi?

Ho tutti i sintomi del “non ne posso più”

Inutile negarcelo, noi genitori possiamo sentirci sopraffatti. Tuttavia, arrabbiarsi con nostro figlio non è la soluzione. Questo non farà che spaventarlo e… fornirgli un cattivo esempio!

I vantaggi della respirazione che promuovono alcuni sport, possono venirci in aiuto. Facciamo dei respiri profondi prima di reagire magari visualizzando un momento affettuoso che abbiamo condiviso con lui. Ricordiamoci che nostro figlio non ha la malizia di un adulto, non è un estraneo che ci sta provocando, ma una parte di noi. Il suo cervello è ancora in fase di formazione e di sviluppo. Per questo sarà importante sforzarci di mantenere la calma nelle situazioni difficili.

Prendiamoci qualche minuto per riflettere su ciò che il comportamento di nostro figlio suscita in noi: « Ho aspettative realistiche su me stesso o su mio figlio? Sto rivivendo una situazione mi ricorda qualcosa del mio passato passato o una mia paura? ».

Mettersi in discussione e sforzarci di capire meglio noi stessi è certamente la via maestra per evolverci e maturare, soprattutto quando c’è in gioco una posta così nobile ed elevata: formare un altro uomo o un’altra donna.

¹ Jean-Jacques Rousseau, filosofo e pedagogista svizzero, è uno dei massimi esponenti del pensiero europeo del XVIII° secolo.

² Isabelle Filliozat, Le emozioni dei bambini, Piemme, 1999.

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