Rubrica a cura del dottor Claudio Rao
All’approssimarsi delle festività natalizie, genitori, nonni e primi insegnanti dei nostri bimbi sono colti da un dubbio: perpetuare o meno il mito di Babbo Natale. Benché non esista, abbiamo tramandato tutti la storia di questo anziano signore, habitué dei caminetti, che viene nottetempo a ricompensare grandi e piccini.
Cosa ne pensano gli esperti? Pro e contro
«Continuo a spiegare al mio Thomas che non bisogna mentire, come faccio a raccontargli che un vecchio signore gli lascia i regali sotto l’albero?» mi interpellò un giorno una mia consultante, aggiungendo «Quando verrà a scoprirlo, perderà la sua fiducia in me»!
Diversi genitori ritengono che illudere i propri figli sia ingannarli, soprattutto coloro che conservano un ricordo doloroso della propria scoperta e disillusione.
Se sono molti i professionisti che pronano la libertà di parola e la verità a tutto campo, ve ne sono altri che incoraggiano questa sana illusione, capace di sviluppare l’immaginazione e la generosità dei più piccoli.
È il caso della psicologa francese Jeanne Siaud-Facchin.
Secondo lei tramandare il mito di Babbo Natale significherebbe tra l’altro contribuire allo sviluppo dell’immaginazione del bambino con un personaggio simbolo di generosità, capace di favorire il concetto di dono gratuito e fine a se stesso. Una maniera di coltivare l’ottimismo e l’idea di un giusto riconoscimento alle buone azioni.
«Credo che sia importante che ci credano – precisa la dottoressa Siaud-Facchin¹ – perché la figura di Babbo Natale simboleggia un amore incondizionato che travalica il colore della pelle, la condizione sociale e i problemi di ciascuno. Facendo del Natale una festa di amore e condivisione».
Secondo una ricerca condotta dagli psicologi dell’università britannica di Exter, invece, mentire ai nostri figli sulla questione potrebbe compromettere la fiducia che ripongono in noi. Soprattutto se questa bugia nasce più dal desiderio di rivivere le sensazioni della nostra infanzia che da quello di consentire ai nostri figli di sperimentare la magia del Natale.
Un’ambiguità di fondo che ne vizierebbe la trasmissione ed i vissuti ad essa correlati.
La figura di Babbo Natale che nella sua onnipotenza può conoscere e valutare ogni loro azione farorirebbe nei più piccoli una sorta d’insicurezza. Per questo i ricercatori raccomandano di non utilizzare Babbo Natale come uno strumento di controllo dei loro comportamenti, di non strumentalizzarlo a fini “educativi”.
Al contrario, l’opinione di molti neuropsichiatri infantili è che Babbo Natale faccia parte di quei riti che aiutano a crescere. Il varcare la soglia dell’infanzia, smettendo di crederci, costituirebbe il riconoscimento del principio di realtà. « Quando il pensiero magico cederà il passo a quello concreto – spiegano – la delusione della rivelazione dei compagni di scuola si mescolerà all’orgoglio di scoprire infine questa visione da grande ».
Alla scoperta di nostro figlio (cosa che generalmente avviene tra i 6 e i 10 anni), potremo reagire confidandogli che anche noi alla sua età ci abbiamo creduto e che lo abbiamo vissuto come una favola ed è per questo che glielo abbiamo riproposto.
Come parlargliene?
Come di un personaggio immaginario che possiamo vedere con gli occhi della fantasia.
Alla domanda in direttissima «Ma esiste davvero?», potremo rispondere «Ciò che conta è credere che Babbo Natale esista ». Magari aggiungendo che ci crediamo noi stessi: non come ad un vecchio signore con barba e capelli bianchi un po’ grassottello, ma come una Magìa di Natale, il periodo in cui l’amore è più forte di tutto il resto.
Soprattutto, convinciamoci che non stiamo trasmettendo una falsità o una menzogna: altrimenti ogni favola che raccontiamo lo sarebbe! Inoltre, ogni insegnamento che proponiamo dal rispetto all’onestà, dall’altruismo all’attenzione nei confronti degli altri si basa sulla trasmissione di valori che non sono affatto scontati né reciproci e che dunque richiederanno sempre un minimo di speranza e di fiducia nella vita.
Quando dirgli che non esiste?
Su questo punto, gli esperti sembrano unanimi. Quando un bambino incomincia seriamente a dubitare dell’esistenza di Babbo Natale, l’ideale è accompagnarlo verso questa amara scoperta della verità. Certi professionisti, tra cui il sottoscritto, raccomandano di precisare che l’amore, la generosità e l’altruismo che egli incarna sono reali e presenti e che ciascuno di noi può esserne portatore.
Questo contribuirà a far sentire a nostro figlio che è finalmente entrato nel mondo dei grandi.
… e la letterina?
Finché nostro figlio crede a Babbo Natale, la pratica della classica letterina, regolarmente imbucata insieme ai genitori, mi sembrerebbe da mantenere. Intanto perché rappresenta un momento privilegiato e quasi magico vissuto nella complicità familiare. Soprattutto per i più piccoli che non sapendo ancora scrivere, ricorrono all’aiuto di papà e mamma o dei fratelli e delle sorelle più grandi.
La lettera inoltre consente ai genitori di guidare le scelte dei doni e insieme di percepire i desideri di giocattoli altrimenti insospettati. In un’epoca in cui i regali rischiano di precedere (e perfino di narcotizzare) i desideri, molti genitori potrebbero restare stupiti dai desiderata dei propri figli! Soprattutto nella vita frenetica delle famiglie attuali in cui spesso i genitori vivono separati e in cui il tempo di ascoltarsi per davvero difetta terribilmente.
¹ Jeanne Siaud-Facchin autrice di “S’il te plaît, aide-moi à vivre (Per favore, aiutami a vivere), Ed. Odile Jacob.
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