Di Lucaa del Negro
Il centenario della nascita del medico psichiatra FrancoBasaglia, si è celebrato l’11 marzo dell’anno in corso, quasi in concomitanza con le celebrazioni di “GO! 2025”, anno che registrerà negli annali della storia Gorizia (Italia) e Nova Gorica (Slovenija) cittadine capitali della cultura europea, l’evento sovvenzionato dal Parlamento europeo che dal 1999 con il concorso del Consiglio dell’Unione è stato regolamentato in modo tale da garantire a turno ogni membro dell’UE di ospitare la capitale.
Sebbene non sia facile tracciare valutazioni a lungo termine delle esperienze delle città ospitanti in tutti gli aspetti [cit. “Wikipedia“], la coincidenza di queste date, la congiunzione astrale volgarmente così scritta in assenza di licenza per questi luoghi, ha però un certo peso da doversi considerare, un onere particolare ed esclusivo che il municipio della città di Gorizia sembra scoprire con moderata e celata sorpresa, giacché l’affiancamento alla ex jugoslava e oggi sorella acquisita Nova Gorica, cittadina figlia di quel socialismo reale che bandì (abbatté) quasi totalmente la bellezza architettonica e praticamente tutta l’arte in favore della razionalità, della propaganda e del classicismo comunista funzionale alla classe operaia, sembra assumere oggi un tono ingannevole, un adattamento forzato dalla necessità di ottenere necessari ma pur sempre volgari fondi.
Gorizia, la “piccola Berlino” come qualcuno erroneamente e molto casualmente definì “la città giardino” degli Asburgo d’Austria, oggidì, dunque, si mette in mostra e presenta tra le altre cose al mondo e non esclusivamente a quello scientifico, il lavoro straordinario o meglio rivoluzionario del “dotòr dei màti“, per usare il dialetto goriziano, ossia le attività riabilitative del medico che aprì le porte dei manicomi, e proprio quello ubicato in Via Vittorio Veneto, 174 a Gorizia per primo al mondo.
Una precisazione: lo scrivente e per questa rivista, naturalmente, non ha la presunzione e la bravura di esporre la storia e soprattutto di decifrare e analizzare gli studi dello scienziato nato a Venezia e, considerando la latente immodestia, vaga nei territori del Celestini regista e scrittore con in mente l’intervista a Massimo Marà, eminente psichiatra che qualcuno definì donchisciottesco paragonandolo alla vicenda del sottomarino italiano della seconda Guerra Mondiale. Una lettura di parte, una possibile critica positiva edulcorata da provocazioni in giuntura alla realtà oggettiva che ci contiene a partire dai luoghi abbastanza desolati culturalmente e senza dubbio alcuno economicamente depressi (l’inserimento di capitali che Bruxelles spedisce nei Territori è significativo per definire le varie “capitali della cultura”) laddove l’emigrazione giovanile di oggi rappresenta uno scenario sconcertante, è -in definitiva- l’univoco compito da misurare.
Gorizia, insomma, focalizzando il tema qui proposto, nel corso degli anni ’60 in cui il partito-Stato della Democrazia Cristiana contava percentuali che oltrepassavano il 40%, frenò senza mezzi termini le pionieristiche cure del giovane Basaglia arrivato nell’isontino nel 1961 e, probabilmente, con il senno di poi in questa sperimentale contestualizzazione, riuscì ad arginare le attività di collaborazione di Franca Ongaro con il Partito Comunista, donna e moglie del professore molto attiva, figura fondamentale per definire e tradurre in norme giuridiche i punti sostanziali degli studi dell’équipe del marito.
L’attuazione della Legge 180 che ridefinisce la concezione di malattia mentale e che mette la persona al centro della cura entrata in vigore il 13 maggio 1978 e soprannominata “Legge Basaglia”, scritta e promossa dal deputato e psichiatra BrunoOrsin (DC) nel mentre lo scienziato Basaglia si trovava oramai a Roma incaricato di coordinare i servizi psichiatrici della Regione Lazio, inizia il suo corso in una fase storica straordinaria per i Governi Andreotti, periodo identificato dall’eccezionale e senza precedenti calo dei consensi del partito di estrazione democratico-cristiana che vide e per la prima volta nella sua storia affrontare il dialogo con la sinistra fino ad arrivare nel pentapartito degli anni ottanta.
Il Basaglia esistenzialista -questo è il primo indidioso interrogativo proposto- critico di fronte al potere dell’istituzione, sradicatore e più sovversivo che anticonformista, giunto a Roma e circondato dalle attività burocratiche, fu afferrato e in che grado dal nuovo corso democristiano che godè del sostegno della gerarchia ecclesiastica e che raccolse gran parte del voto cattolico soprattutto in funzione anticomunista?
Il diligente compito di Gorizia, “città impaurita” che chiuse nuovamente a chiave il reparto psichiatrico “C” come titolava il quotidiano “Il Piccolo” nel 1968, lontana provincia di Roma Capitale e distante pochi chilometri dalla “Zona A” che porterà Trieste all’Italia solamente nel 1954, quel territorio conteso proprio dalla socialista Jugoslavia che acquisiva come credito di guerra territori demarcati dalla “linea Morgan” di sbieco le strade goriziane, in questa ipotesi sopra scritta, non è discutibile e non è nemmeno interessante, tant’è che le risorse prese in esame svincolate dalla critica alla radicalità del pensiero di Basaglia, “Terra Santa” di Alda Merini inclusa, rimangono volutamente poche e sommarie per indicare un tratto di ragionamento al momento non necessario per considerare questo testo.
Dopo circa nove anni di servizio in città -riportando la cronaca dell’epoca- il medico che animava e incitava i colleghi a togliersi materialmente il camice bianco per operare, dovette emigrare con un pesante dossier in mano che il procuratore della Repubblica di Gorizia gli fece consegnare dai Carabinieri, non dimenticando quelli che alcuni suoi colleghi ricevettero dal tribunale di Udine: imputazioni di violazione di domicilio, danneggiamento aggravato, usurpamento di funzione pubblica e, anche una richiesta di incriminazione per omicidio colposo.
(Gli accadimenti sono stati registrati, questo è ovvio; l’assoluzione e tutti gli atti sono a disposizione).
Quantunque la storia può risultare tragicamente banale, senza però ferire abbastanza gli animi a centodieci anni di distanza rivisitando i luoghi bagnati dal fiume Isonzo teatro di battaglia della prima guerra mondiale in cui si macellarono a vicenda milioni di ragazzi per conquistare pochi metri di terreno, l’evento celebrativo goriziano europeo non può camuffare le tante correlazioni con il centenario di Basaglia, del suo operato e delle sue posizioni politiche, indi per cui le domande non formulate, forse non del tutto stabilite prima di considerare questa proposta, si possono riassumere chiedendoci se Franco Basaglia fallì oppure operò con estrema efficacia, domandandoci inoltre se lavorò bene, benissimo o normalmente e forse anche male.
L’azzardo, o meglio il tentativo di svincolo da elucubrazioni di questo mordace ragionamento semplicemente ingenuo, non è del tutto privo di fondamento, perché l’assioma (una volta riassunto e rielaborato il testo) suggerito, si placa sull’analogia tra le distanti terre di confine (Gorizia) così come barriera, ostacolo, impedimento al libero cammino e il manicomio di un tempo (struttura carceraria e muro di finzione sociale), luogo appunto di partizione, separazione e divisione.
(“L’ambiente curante” rovesciato in “ambiente trascurato, fonte di malattia”).
In conclusione, “Basaglia” e “GO25!“, rappresentano o no una ricerca identitaria che di fatto sfrutta il clima festivo, di pseudo condivisione culturale e sociale illustrata nello schieramento di polizia lungo tutti i confini cittadini H24 in barba alla convenzione di Schengen e dove ancora oggi gran parte della cittadinanza e i suoi ospiti sono da una parte abbagliati dal nazionalismo dei patrioti italiani e dall’altra dai partigiani di Tito?
La mitizzazione rimarrà e per quanto ancora l’oppio della società contemporanea occidentale che non considera affatto l’universalismo se non quello legato alla dottrina morale cattolica escludente dell’Islam che -per un esempio- sta avvolgendo l’Europa con la ferma liturgia pressoché estranea ai “Roosveltiani Diritti Umani” ONU del ’48?
E ancora, “accettare la follia per essere civili” [cit. Basaglia], significa aderire completamente al sistema che nel capitale si fonda e che nel consumismo si staglia alla voce “prodotto di consumo” come è oggi “il farmaco” che il Basaglia in esilio finì per catalogare nei meandri romani?
autorenegro.org
Riv. estr. dell’Autore dal saggio “Capitalismo e acqua minerale, spiccia analisi dell’allargamento del fenomeno occidentale nei Balcani post-socialisti con il sapore sloveno in bocca. (Balkanische Reise)” di prossima pubblicazione
[Foto copertina:“Triptih bolečine_1;2;3”]
www.edizionidelfaro.it/libro/photographx
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***Tutte le immagini sono state scattate dall’autore Lucaa del Negro
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