Diversamente giovani

Diversamente giovani

Rubrica a cura di Claudio Rao

“Accetta docile la saggezza dell’età, lasciando con serenità le cose della giovinezza” recita un manoscritto anonimo trovato nell’antica chiesa di S. Paolo a Baltimor

Invecchiare non è facile .

L’avanzare degli anni non è solo difficile dal punto di vista personale e familiare. Ma è un “vissuto sociale”complesso e contraddittorio.

In una società individualistica, utilitaristica in cui ciascuno tende a percepire l’esistenza secondo il proprio capitale di seduzione spendibile nei rapporti interpersonali, l’avanzare degli anni acquisisce una densità particolare caricandosi di zone d’ombra.

Nell’economia di mercato che domina il nostro modo d’interpretare la vita, la vecchiaia è fatalmente collegata alla scarsa produttività, alla perdita, alla decadenza, al declino.

Le ricerche psicosociali si orientano in tre direzioni: la senilità psicofisica, la senilità sociale, e la senilità psichica.¹ 

« La nostra società si caratterizza sempre di più per una percentuale assai elevata di anziani, a cui si raccomandano attenzioni per promuoversi e garantirsi il benessere fisico e mentale definendo spazi e organizzando eventi che hanno troppo spesso una funzione ghettizzante ».²

Non piacere più, essere meno efficiente significa non avere più spazio, essere escluso dal mercato del lavoro o dalle relazioni amorose. Simbolicamente, invecchiare significa diventare trasparenti, invisibili. Scomparire socialmente. Così, per piacerci e per piacere agli altri, ci sforziamo di sembrare più giovani.

Secondo alcuni studî condotti in Francia nel 2013, è intorno ai 68 anni che incominceremmo a sentirci vecchi. Senza sapere esattamente perché. Una sensazione che verrebbe ad abitarci, insinuandosi alla chetichella.

Se in passato le cose erano più chiare (l’uomo non era più in età di lavorare o di partire per il fronte, la donna di procreare), attualmente la percezione sociale dell’invecchiamento è decisamente più vaga e confusa. L’infanzia cede il passo più rapidamente alla preadolescenza e raramente riusciamo a trovare un impiego prima della trentina. Ma per le imprese siamo già seniors a partire dai 45 anni! Tuttavia, anche grazie ai progressi compiuti dalla medicina soprattutto preventiva, la vita media attualmente supera gli 80 anni per entrambi i sessi.³

Una miscellanea assai contraddittoria di vissuti, sensazioni, inputs socioculturali che favorisce vissuti fortemente ansiogeni in cui il timore d’invecchiare ci coglie prima ancora che il corpo ne risenta gli effetti!

L’immagine che ci proietta lo specchio impatta fortemente l’idea che ci facciamo di noi stessi. Il nostro corpo, il nostro viso circolano, appaiono in pubblico, sono visti e guardati. E lo sguardo altrui ha un peso non indifferente sui nostri stati d’animo e sulla stessa immagine che ci facciamo di noi.

Spesso il velo di Maya dietro al quale ci sentiamo al riparo si squarcia quando un giovane ci cede il posto a sedere. Questo ci mette brutalmente a confronto con la percezione che gli altri hanno di noi. E rifiutiamo, interiormente rivoltati per i vissuti che questo gesto fa emergere.

Vecchio, anziano, senior. Parole orribili, quasi spettrali in una società che inneggia al bello, al giovane, al nuovo, al moderno. E che ci portano agli invecchiamenti che ci sono noti: genitori, amici, nonni. A coloro che da giovani ci sembravano già vecchi, indipendentemente dalla loro età.

Ma c’è di peggio. A partire dai 60 anni uomini e donne formano una categoria particolare: i “seniors”.* E ciò senza tenere in minima considerazione quello che ciascuno di loro è o fa, il suo ruolo e il suo stile. Soprattutto perdendo di vista che avere 50, 60, 70 anni oggi,  non ha più nulla a che vedere con ciò che poteva significare fino a una trentina d’anni fa!

Un’etichetta, quella di senior, che è carica di significati psicologici e  sociali (tutti negativi).

Nel mercato del lavoro senior equivale a meno performante. In quello dell’immagine (onnipresente, dalla pubblicità a internet) significa meno bello e attraente, non più desiderabile. Per la donna ciò è particolarmente pesante sia sul piano personale (fine della fertilità, menopausa, inizio di controlli e dépistages medici periodici), sia sul piano sessuale e sociale.

Allora, che fare? Il consiglio della psicanalista francese Claude Halmos è quello di trasformare questo nemico in compagno. Considerando l’invecchiamento come un vecchio marito brontolone che abbiamo difficoltà a sopportare, ma col quale è sempre possibile trovare un compromesso. Con fatica, certo, con disciplina, ma anche con un certo successo.

Al posto di sottomettersi alla vecchiaia bisogna lottare, sforzandosi di adottare quotidianamente l’immagine che la società ci veicola. Seniors vivaci, dinamici, sportivi, pieni di interessi e di relazioni sociali; capaci di giocare con l’età, di affascinare con quella maturità armoniosa ed intrigante che non è meno seducente delle improbabili silhouettes femminili sventolate da certi spot pubblicitari. Insomma, secondo l’espressione di mia figlia Maëlle verso nonna Alda, sforzarsi di essere “Diversamente giovani”.

¹ Umberto Galimberti, Nuovo Dizionario di Psicologia Psichiatria Psicoanalisi Neuroscienze, Feltrinelli, Milano, 2021, voce « Psicologia dell’invecchiamento ».

² Guido Pesci, Marta Mani, Dizionario di Pedagogia Clinica, Armando Editore, Roma, 2022, voce «Anziano».

³ In Italia, la vita media degli uomini è 81,1 anni, mentre per le donne è di 85,2 (dati ISTAT 2023).

* Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, è a 65 anni che si diventa anziani.

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