Rubrica a cura del dottor Claudio Rao
Empatìa, simpatìa… ma che diavoleria? Perché Aristotele aveva ragione...
«La simpatia è un sentimento condiviso, un’emozione affettiva […]. È una funzione grazie alla quale si va oltre se stessi e si riconosce l’altro […]. Stare in una relazione simpatetica presuppone quindi uno stare in realzione, in qualche modo, meno profondo rispetto a quello empatico»¹.
Empatia è una parola con cui abbiamo imparato a familiarizzarci. Secondo l’enciclopedia Treccani² il termine indica la « Capacità di porsi nella situazione di un’altra persona o, più esattamente, di comprendere immediatamente i processi psichici dell’altro ». Di immaginare e percepire ciò che egli sente, pensa, vive.
Mi sembra di poter identificare due aspetti di questo fenomeno: uno emotivo e l’altro cognitivo.
L’empatia emotiva è automatica e non intenzionale. Quando vediamo qualcuno soffrire, ci sentiamo automaticamente partecipi attraverso un vissuto interiore. Come quando un calciatore si lussa una rotula. Questo tipo di empatia è molto precoce nel genere umano, considerarto che solo qualche ora dopo la nostra nascita siamo capaci di reagire all’angoscia degli altri neonati piangendo.
L’empatia cognitiva riguarda invece la capacità di rappresentarsi gli stati mentali altrui. Anch’essa sembra molto precoce nei bambini. Essi riescono non soltanto ad imitare, ma anche a percepire le intenzioni di chi li circonda.
Curiosamente, esiste anche quella che potremmo chiamare “l’empatia del camaleonte”: una forma di mimetismo comportamentale che vede una persona imitare e perfino riprodurre i gesti e le posture del proprio interlocutore. Essa è particolarmente frequente e perfino evidente tra persone che hanno buoni rapporti tra loro. Possiamo divertirci a intercettarla tra interlocutori al bar, in ufficio, al ristorante e perfino in famiglia! L’uno di fronte all’altro, vicini o più distanti, due persone possono assumere la stessa posizione: le braccia incrociate, le gambe accavallate… e perfino compiere gli stessi gesti e movimenti!
L’empatia è fondamentale nei nostri rapporti interpersonali. Tanto che la sua assenza rivela spesso turbe o difficoltà nelle relazioni sociali.
Empatia significa apertura all’altro; vuol dire permettergli di esistere nel nostro spazio. Non è un caso se chi soffre di depressione, di problemi di attenzione e perfino di comportamenti devianti ne difetti. Come emerge dagli studî del professor Daniel Favre, di Montpellier³
Secondo il noto psicologo ststunitense Carl Rogers, padre della cosiddetta terapìa centrata sul cliente, l’empatia è fondamentale nel rapporto terapeutico.
Le ricerche scientifiche sull’empatia si sono moltiplicate a livello esponenziale in seguito alla scoperta dei neuroni-specchio (vedi https://www.my-personaltrainer.it/fisiologia/neuroni-a-specchio.html).
Quando osserviamo lo stato emotivo di un’altra persona, sia esso di disgusto, di dolore o altro, si attivano in noi dei neuroni che ci consentono di provare emozioni analoghe a quelle percepite.
Vittorio Gallese, neuroscienziato cognitivo, è uno degli scopritori dei neuroni specchio. Egli sostiene che questo meccanismo neuronale è indispensabile per stabilire un legame empatico tra individui. Dai suoi lavori emerge che il nostro cervello è predisposto per un’interdipendenza sociale che ci consente di entrare in risonanza con gli altri, manifestando loro la nostra empatia. Una percezione che romanzieri, poeti ed artisti avevano già inconsapevolmente acquisito.
Insomma, l’asserzione aristotelica secondo la quale l’uomo sarebbe un “animale sociale” sembra ormai scientificamente provata.
¹ Guido Pesci, Marta Mani, Dizionario di Pedagogia Clinica, Armando Editore, Roma, 2022, pag. 299.
² https://www.treccani.it/enciclopedia/empatia/
³ Transformer la violence des élèves », Dunod, Paris, 2007.
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