Rubrica a cura del dottor Claudio Rao
Finalmente Dicembre! E le sue tradizionali feste familiari che sognamo calorose e felici. Eppure basta poco per risvegliare il bambino infelice che siamo stati, un esserino pronto a vendicarsi!*
«I miei genitori hanno troppe aspettative su di me e poi sono ancora choccati dal mio recente divorzio» confidava Tonino qualche anno fa in un gruppo di parola e mediazione che ho avuto modo di animare.
Toni, trentaduenne, spiegava: «Stenterò a non reagire quando mi ripeteranno che sono immaturo per la mia età!».
Natalia, quarantacinquenne, asseriva: «Sono già stressata da questo pranzo di Natale e da mia sorella che si atteggerà a primadonna volendo stupire tutti!».
Silvia, quarantenne: «Mia figlia è adolescente e recita il ruolo di ribelle controcorrente. Si rifiuterà di partecipare al cenone. Si rifugerà nella sua stanza, rovinando l’intesa famliare».
Stressati all’idea dei prossimi ritrovi familiari? Un po’ come Tonino, Natalia e Silvia? Allora, che fare?
Per molti di noi le feste comandate costituiscono un fattore di difficoltà e di tensione. Certo, in fondo siamo in famiglia, ma i ritrovi possono favorire il riemergere di dinamiche complesse, di ferite non rimarginate, di disagi non sopiti.
Dalle rivalità fraterne agli attriti intergenerazionali, sono diverse le ragioni che possono farci dubitare di vivere in un’astmosfera incantata le festività di fine anno.
La cosa più fastidiosa è recitare un copione già prestabilito, rassegnandoci al peggio. Allora, perché non cogliere l’occasione per innovare, per cambiare? Esploriamo qualche pista di cambiamento.
Impariamo a deludere i nostri genitori.
Il filosofo e gesuita tedesco Michael Bordt, in un libro intitolato «L’arte di deludere i propri genitori»¹, spiega come la nostra inquietudine fronte a questi ritrovi derivi dalle aspettative familiari che generano una certa pressione affinché tutto si svolga al meglio, mettendo in sordina conflitti e problemi irrisolti.
La sua ipotesi è che se abbiamo una sofferenza irrisolta con nostro padre o nostra madre che si è protratta sino all’età adulta, il timore di perdere il loro affetto sia ancora presente ed operante. «Quando scontentiamo i nostri genitori – spiega – può succedere che percependo questa delusione, ci sentiamo a nostra volta delusi, frustrati. Delusi da loro che non ci hanno sostenuto, ma anche da noi stessi perché incapaci di corrispondere alle loro aspettative».
Questo ingenererebbe la creazione di un doloroso circolo vizioso.
Come fare? Il consiglio di Bordt è quello di stabilire una relazione serena e matura, smettendo di idealizzare i nostri genitori. Sono stati i nostri primi maestri, consolatori e consiglieri, ma sono persone normali. Essere adulti significa cessare questa idealizzazione infantile, per quanto amaro possa sembrare.
Osserviamoli per quel che sono: con le loro fragilità e i loro limiti, ma anche con i loro difetti. «Accettare di confrontarsi a ciò che vi è di deludente in loro, ci permette di diventare più tolleranti» assicura Bordt.
E se, nonostante tutto, si ostinano nelle loro posizioni criticando la nostra nuova compagna o la scelta di cambiare mestiere o il nostro modo di educare i figli, assumiamoci le nostre responsabilità. Non temendo di deluderli. Smettiamo di ricercare la loro benedizione e precisiamo che il loro modo di ragionare non corrisponde (più) a ciò che noi siamo diventati.
Lasciamo i nostri ragazzi tranquilli.
Proviamo a tendere l’orecchio verso i nostri adolescenti. Spesso per loro le feste comandate sono una noia, fonte di obblighi impliciti ed espliciti e generano comportamenti coatti.
Probabilmente anche noi alla loro età avevamo una forma di rigetto che ora però abbiamo dimenticato. Il loro scarso entusiasmo, la loro ingratitudine, la flemmatica mancanza di volontà ci interpellano come genitori: cosa abbiamo fatto per meritare tutto questo?
¹ Edizione francese «L’art de décevoir ses parents», First éditions, 2018.
Ciò che crea attrito, spiega lo psicologo clinico Samuel Dock², sono le nostre esigenze genitoriali. «Per loro è difficile gestire le nostre richieste.
Mentre stanno maturando la loro identità, noi chiediamo loro di rientrare nel ruolo del bambino bravo ed ubbidiente. Come non sentirsene contrariati?». Insomma, i nostri adolescenti, con tutte le difficoltà annesse e connesse, stanno abbandonando l’infanzia per indossare il ruolo adulto e noi chiediamo loro una sottomissione tutta infantile agli imperativi dei ritrovi familiari (ascoltare, accogliere, collaborare…).
Normale che la vivano come una costrizione! Come fare? Non imporsi con obblighi e divieti, consiglia Dock.
Se durante il cenone il nostro ragazzo vuole rinchiudersi in camera per giocare online si potrà obiettare che il suo comportamento è poco corretto ed inadatto. Ma quando reagirà alle battute razziste dello zio zuzzurellone, potremo mostrarci più tolleranti. In fondo i nostri ragazzi possono riproporci una trasparenza offuscata da anni di esperienze e compromessi.
Insomma, sempre meglio preferire il dialogo per relazionarci con loro. Ricordandoci che non è più il bambino di un tempo, né l’adolescente che avremmo sognato che fosse. Reinventiamoci insieme. Rispettiamo il suo modo di crescere e contrattiamo una serata in cui anche lui possa divertirsi un po’.
Dimentichiamo le rivalità fraterne.
Dana Castro, psicologa e psicoterapeuta, nel suo libro sulle relazioni fraterne³ ci illustra come le relazioni fraterne oscillino tra amore e rivalità.
Difficile prevedere se prevarrà lo spirito di rivalsa o la solidarietà durante le feste comandate. Secondo la dottoressa Castro per una buona relazione in età adulta è necessario che ciascuno possa affermare la propria identità e delimitare il proprio territorio.
Cosa non facile e per nulla scontata nelle nostre famiglie. «La relazione fraterna è estremamente complessa» precisa Castro e se durante il cenone le rivalità prendono il sopravvento, la commedia rischia di trasformarsi in tragedia. Riemergerebbero, secondo la psicoterapeuta, i dissapori infantili: chi è stato il privilegiato, il cocco di casa? Chi la Cenerentola? Con tutta la miscellanea d’invidie e gelosie nei confronti di mamma e papà!
² Samuel Dock, edizione francese «Punchlines- Des ados chez le psy», First éditions, 2018.
³ Dana Castro, edizione francese «Frères et sœurs, les aider à s’épanouir», Albin Michel, 2017.
Come fare? « La prima cosa – secondo Dana Castro – è accettare l’idea che provare un po’ di gelosia nei confronti dei proprî fratelli o delle proprie sorelle è normale ». Se una risposta della nostra sorella minore ci addolora, non facciamone un dramma.
È normale, ma questo non deve farci perdere di vista ciò che siamo, con i nostri valori e le nostre esperienze di vita. Non lasciamocene invadere interiormente, non permettiamo a una battuta d’inquinare la nostra serata.
Ricordiamoci che alla base di ogni situazione critica c’è sempre una causa che va disinnescata prima che degeneri. Nostro fartello ci provoca continuamente? Nostra sorella ci tormenta con i suoi paragoni? Difficile che cambino! Ma noi sì.
Possiamo prepararci, formattandoci per mantenere la calma. Immaginiamo le situazioni più fastidiose e financo dolorose che potrebbero verificarsi per non farci trovare impreparati. «Per essere pronti all’ora x, allenatevi in maniera ludica con un amico o un’amica a parare i possibili attacchi – consiglia Castro. In realtà, i nostri dérapage sono sovente dovuti all’essersi lasciati sorprendere». Non siamo comunque tranquilli? «Cerchiamo un invitato col quale instaurare una certa complicità e concordiamo un segnale che ci inviterà a ridere della situazione invece di soffrirne!» conclude la psicologa. Dopotutto perché dovremmo conferire a qualcuno il potere di rovinarci la serata?!
I migliori auguri di un sereno Natale.
- Per semplicità di esposizione è stato usato il genere maschile, onnicomprensivo del femminile. In un’epoca complessa e controversa com’è la nostra, tengo a confermare alle lettrici la profonda ammirazione che nutro verso il genere femminile.
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