Eutanasia: il potere della morte in mano a chi?

Eutanasia: il potere della morte in mano a chi?

Editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso

Non so quante sono le persone che leggono queste righe sono al corrente del fatto che il suicidio, nel sistema giuridico italiano, è considerato un illecito.

Leggete qua:

Art. 5 del Codice Civile: (Atti di disposizione del proprio corpo). Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrita’ fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.

La definizione non è troppo chiara, ma è proprio quella che mette nelle mani dei giuristi la condizione su cui porre le basi per analizzare l’eventuale riconoscimento di atto illecito quando un individuo decide di porre fine alla propria esistenza. Per ovvie ragioni, ogni caso va analizzato e valutato attentamente: disperazione, malattia grave, patologie psichiatriche…esistono troppe variabili per potersi permettere il lusso di generalizzare.

E’ bene riflettere su questo tema, a poche ore dal distacco dei macchinari che hanno tenuto in vita per otto mesi la piccola Indi Gregory. La decisione è stata presa, inderogabilmente, da 4 giudici della suprema corte britannica, tra cui una donna.

La piccina non poteva ancora decidere se porre fine o meno alla sua esistenza – la tenera età non lo ha permesso – in molti oggi dibattiamo sul tema dell’eutanasia e del potere di imporre la morte da parte di qualcuno che, è il caso della piccola appena deceduta, non è un genitore bensì un giudice.

La domanda da porsi è: a chi appartiene la vita dei nostri figli?

La risposta è abbastanza conoscita: allo Stato di nascita.

I genitori sono, a tutti gli effetti, coloro che detengono la responsabilità di curarli e crescerli fino alla maggiore età. In realtà, secondo alcune recenti sentenze, anche oltre qualora la prole decidesse di passare la vita a spese dei genitori, ma questo è un altro discorso.

Di seguito ecco il link a un mio articolo che fu pubblicato nel 2018:

Eutanasia: in Italia non possiamo ancora decidere di morire

Ricordiamo tutti casi eclatanti di richiesta di eutanasia come quelle portate avanti per anni dai genitori di Emanuela Englaro, Luca Coscioni o quello, più recente, di DJ Fabo.

Se le tue condizioni di salute sono tali da tormentare gravemente la tua esistenza su questa terra, in Italia devi pregare che lo Stato ti permetta di farlo e, nella maggior parte dei casi, non otterrai il permesso.

Non a caso l’associazione intitolata a Luca Coscioni e presieduta da Marco Cappato, da anni di occupa del riconoscimento al diritto all’eutanasia riuscendo, in alcuni casi, ad accompagnare malati gravissimi e sofferenti, in cliniche svizzere dove l’eutanasia non corrisponde a reato.

Il caso più recente portato avanti da Cappato e l’assocazione Luca Coscioni è quello dell’eutanasia compiuta dall’attrice Sibilla Barbieri.

Dopo ogni eutanasia portata a termine con il supporto dell’associazione, Marco Cappato deve auto-denunciarsi sul territorio italiano. E’ la prassi e i giudici, ancora una volta, sono chiamati a decidere. Un giro di lavoro non di poco conto.

Eutanasia: in Olanda è un diritto o una strategia?

Cosa accade altrove? La situazione è diversa per esempio in Olanda, nazione nota per idee contrastanti, spesso anche paradossali ai nostri occhi, sulla condizione delle persone fragili.

Fu proprio in Olanda che il primo Aprile 2002 fu varata la legge che prevede il suicidio assistito e non solo per le persone adulte gravemente malate che ne fanno esplicita richiesta, anzi richiesta “esplicita, ragionata e ripetuta”, ma anche per i giovani dai 16 ai 18 anni che presentano domanda scritta o per i giovanissimi dai 12 ai 16 anni ma col consenso dei genitori o dei legali rappresentanti.

Dal 2002 al 2021 il numero delle persone decedute in Olanda per eutanasia sono state 75.342

Le motivazioni che possono condurre a questa decisione? Sempre le stesse: malattia grave o condizione di dolore cronico e ingravescente insostenibile che in alcuni casi permette l’eutanasia anche su minori di 12 anni.

Nel 2014 arriva una riforma alla legge olandese sull’eutanasia, vengono abbattuti i limiti di età e così anche i neonati possono subire il fine vita a fronte di patologie terminali.

L’immagine che segue mostra un mio articolo realizzato in esclusiva per il quotidiano Libero che andò in edicola il 22 Maggio del 2019:

Nell’articolo riportai fedelmente le informazioni relative alla legge sull’Eutanasia in vigore in Olanda oltre alla situazione, evidentemente particolare, che si è creata intorno a questa delicata questione.

Poichè il sistema sanitario olandese è basato sule polizze assicurative ed ecco che si apre un’altra importante questione: quella dei casi di eutanasia decidi dai medici che lavorano all’interno di cliniche. Se il caso è incurabile, il medico può decidere di “staccare la spina” al paziente, senza dover ricorrere al giudizio di una corte.

Ciò che appare paradossale è il fatto che le compagnie assicurative riconoscono una certa cifra per ogni paziente “terminato” con l’eutanasia. Orribile? Si, e le ragioni lo sono ancora di più: le assicurazioni in tal modo riasparmiano un mucchio di soldi rispetto a quanti ne dovrebbero sborsare per il loro clienti assicurati, malati e improduttivi a cui dovrebbero riconoscere cure e diarie ospedaliere.

Conclusioni

Il dibattito è aperto ma non se ne discute mai abbastanza, soprattutto non si trovano soluzioni che accontentino tutti e le domande restano aperte, senza risposta.

A chi appartengono i figli? Noi apparteniamo a noi stessi? Se decido di smettere di vivere, compio un illecito? Su chi ricadranno i danni del mio gesto suicidario?

Ma sopratutto: perché gli esseri umani si accorgono sempre troppo tardi dell’invasione politica all’interno della nostra esistenza? Possiamo ormai decidere su poche cose e anche su quelle, il dubbio che siano decisioni indotte permane…

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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