Rubrica a cura del dottor Claudio Rao
«Con il termine “lutto”, in psicologia, s’indica lo stato d’animo che si vive in seguito alla perdita di una persona cara. Questo processo psicologico doloroso può mettersi in moto non solo dopo la morte ma anche nel caso di una separazione, di altri avvenimenti legati all’abbandono o alla fine di una relazione importante. Elaborare il lutto è fondamentale per poter riprendere a vivere nuovamente con serenità».
( https://www.guidapsicologi.it/elaborazione-del-lutto )
Il nostro primo pensiero fronte a questo termine è quello della dipartita di una persona cara. La parola lutto però può altresì riferirsi alla fine di una relazione (come nelle rotture sentimentali), alla rinuncia ad un ideale (politico, ideologico, religioso), al tramonto di un sogno (come la rinuncia ad una competizione olimpica a seguito di una grave lesione).
Vivere un lutto significa subìre una perdita, ma anche attraversare il periodo necessario per sormontarla e sperimentare le manifestazioni emotive, cognitive e comportamentali che la caratterizzano.
Non è necessario possedere nozioni di antropologia culturale per capire che le espressioni del lutto variano a seconda delle epoche storiche e delle culture. Nell’antichità, com’è noto, si assumevano delle donne che partecipavano alle esequie del caro estinto per recitare il ruolo della disperazione, onorando così il defunto. Fino all’inizio del secolo scorso, poi, alla scomparsa di un parente, c’era l’usanza di rispettare un periodo di lutto con atteggiamenti ben codificati ed un vestiario adeguato.
Nella nostra cultura contemporanea esiste, al contrario, una tendenza alla resilienza, un imperativo sociale a riprendere in mano la propria vita nel più breve tempo possibile. Quasi un obbligo a mostrarci felici che può paradossalmente complicare il percorso di elaborazione del lutto di coloro che, così feriti, si sentono in dovere di reprimere le proprie manifestazioni esteriori, talora fino ad assumere antidepressivi per allontanare la propria tristezza!
Così facendo, dimentichiamo – personalmente e socialmente – che il lutto è un periodo che dobbiamo vivere pienamente perché rappresenta un processo di decostruzione e di ricostruzione in cui necessitiamo riflettere, piangere, sperimentare la tristezza; ripiegarci su noi stessi, la nostra storia, i nostri vissuti. È indispensabile accogliere e vivere queste emozioni perché, per quanto penoso, sono il riflesso del legame che avevamo verso ciò che abbiamo perduto. L’impotenza, la rabbia, la sofferenza, la disperazione, l’ansia e i sensi di colpa fanno parte di questa fase passeggera ma necessaria.
Concedersi tempo per metabolizzare e superare questo momento è molto importante. La fretta non ci aiuta a cicatrizzare efficacemente “ferite” di questo genere.
Uno degli accorgimenti che consente di elaborare positivamente il proprio lutto è il nostro entourage. Questo non significa essere continuamente “tra la gente” perché questa modalità, se esclusiva, potrebbe costituire una fuga, un silenziare il proprio vissuto nella chiassosa confusione dell’esistenza, mettendo il necessario processo di elaborazione del lutto in un pericoloso stand by.
Ciò che è veramente importante è circondarsi di persone care, di fiducia, capaci di autentica empatìa. Amici o parenti capaci di accogliere il nostro dolore, in un ascolto genuino, scevro dal pressante desiderio di consigliarci o di rassicurarci. Persone capaci, con la loro semplice e discreta presenza, di ascoltarci e compatirci, senza giudicarci. Quasi a dirci: « Lo so che per te è difficile, ma sappi che puoi contare su di me, anche solo per restarti accanto silenziosamente a tenerti la mano ».
A seguito di un lutto abbiamo la tendenza a pensare continuamente alla cosa o alla persona che abbiamo perso. Così, invasi dalla tristezza e dalla malinconia, subiamo passivamente la vita anche quando vorremmo scuoterci un pochino. Una ruminazione quasi ossessiva che ci impedisce di progredire e che abbiamo difficoltà a controllare.
Se volgiamo il nostro sguardo ad Oriente, possiamo trovare dei suggerimenti utili. In Asia, per esempio, è d’uopo avere un altarino domestico dedicato ai proprî defunti davanti al quale raccogliersi qualche minuto al giorno. Un istante di preghiera, una condivisione della nostra giornata, delle nostre emozioni, dei nostri pensieri; magari il ricordo di un insegnamento che ci hanno trasmesso e grazie al quale continuano ad essere presenti nei nostri cuori e nelle nostre vite.
Un momento che dedichiamo al nostro caro estinto e che viene a cadenzare le nostre giornate consentendoci di riprendere il controllo dei nostri vissuti e non semplicemente di subirli. Un passo verso l’accettazione psicologicamente intesa¹.
La nostra vita non procede in modo fluido e lineare, ma conosce interruzioni, cambiamenti repentini, fastidiosi imprevisti che dobbiamo accettare per continuarne il percorso. Un blackout, un sogno distrutto, la perdita di un essere caro sono dei vissuti che ci cambiano dentro, inesorabilmente. Ed è proprio questo cambiamento che abbiamo difficoltà ad accettare, in quanto lo percepiamo come una disgrazia, una caduta, una regressione, un ostacolo. A cui inizialmente non riusciamo a dare un senso.
La ricerca di un significato, di un’interpretazione, di una chiave di lettura richiede del tempo. Ed è soltanto quando siamo riusciti ad accettare una morte, una perdita, un cambiamento che la risposta fa capolino!
Percepiamo che quello che abbiamo vissuto ci ha consentito di “crescere”, di progredire, di apprezzare in modo nuovo e diverso doni come l’amore, l’amicizia, la vita stessa; il tempo condiviso con i nostri cari, la forza interiore che non credevamo di avere ma che ci ha aiutati, sostenuti, guidati attraverso le tenebre del dolore. Che la vita ha un valore aggiunto che dobbiamo sforzarci di cogliere. Sempre.
¹ https://www.ospedalemarialuigia.it/psicologia-applicata/accettazione-come-superare-un-fallimento
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