Prontuario della distensione – Come fare con i proprî figli?

Prontuario della distensione – Come fare con i proprî figli?

Rubrica a cura del dottor Claudio Rao

Come genitore, come docente e soprattutto come Pedagogista Clinico® mi rendo conto che in famiglia e con i figli staccare la spina e concedersi un momento di distensione possa sembrare una “missione impossibile”.

Che siano neonati, bambini, adolescenti o giovani adulti i nostri ragazzi tendono ad assorbire una buona parte del nostro tempo e delle nostre energie fisiche e mentali. E noi, in quanto genitori, difficilmente riusciamo a prendere le distanze, ad essere realmente lucidi ed obiettivi.

Il nostro amore per loro, le speranze spesso implicite o inconsce – come direbbero i colleghi psicanalisti – che abbiamo nei loro confronti in un mondo sempre più complesso ed esigente, la matassa intricata dei legami sociali, familiari, amicali condizionata dal nostro passato, dalla nostra educazione rendono estremamente complessa una visione oggettiva del nostro essere genitori.

Così rischiamo di dimenticare che i nostri figli sono soltanto bambini e non adulti in miniatura.

Individui giovanissimi che non sanno ancora gestire le proprie emozioni. Che vivono intensamente il presente, talora in maniera un pochino teatrale, ma sempre in modo vero e sincero. Non sono commedianti, bipolari o depressivi! Sono davvero intensamente tristi per cinque minuti e vivacemente eccitati poco dopo.

Non sono ancora autonomi né responsabili. Meglio evitare di proporre loro scelte complesse, imponendo ruoli e responsabilità inappropriate.

Mi fa sempre un certo effetto, lo confesso, sentire genitori moderni che si vogliono aperti e al passo coi tempi, chiedere al figlio: « Perché ti comporti così? Che cos’hai che ti porta a farlo? ». A parte risposte immediate e assai prevedibili (tipo “è lui che ha cominciato” o “perché mi ha fatto arrabbiare”),le ragioni profonde vanno sondate con competenza e professionalità da noi adulti! A meno di avere un piccolo Freud in casa.

Soprattutto, ricordiamoci che i bambini, in particolare ad una certa età, hanno bisogno di dire e di sentirsi dire dei no.¹ Per costruirsi e strutturarsi.

Cito a braccio e posso sbagliarmi, ma non fu Freud che disse “bisogna fare il lutto dei genitori perfetti”? In altre parole, anche se ciascuno di noi cerca o ha cercato di farlo, nessuno ha il manuale per educare perfettamente la propria prole: non esistono ricette o formule magiche! In fondo ne siamo coscienti, anche se perseguiamo pertinacemente nell’idea illusoria del genitore ideale.

Questo dovrebbe spronarci a dominare ansia e senso d’inadeguatezza, essendo meno tesi, ad immagine dell’approccio più esperienziale dei nonni. Discutere con altri genitori come noi, condividendo esperienze e difficoltà (tra prove ed errori) ci aiuterà a sentirci meno soli, meno colpevoli e soprattutto a relativizzare, contestualizzando serenamente le cose.

Un suggerimento interessante è quello di adottare un approccio educativo capace di responsabilizzare i nostri piccoli. Personalmente lo ritengo un autentico crocevia per gli apprendimenti: quello di lasciare sbagliare i bambini, lasciandoli sperimentare le conseguenze delle proprie azioni.

Gli studiosi ci spiegano che le fasi dell’apprendimento sono quattro: l’incompetenza inconscia, quando la mente ignora completamente qualcosa; l’incompetenza cosciente, quando c’è qualcosa che vorremmo fare, ma non sappiamo come; la competenza cosciente, quando sappiamo come ottenere ciò che vogliamo, ma non dominiamo ancora tutte le fasi e i passaggi per raggiungerlo; la competenza inconscia, quando la mente ha capito il procedimento, ha imparato a dominarlo grazie alla ripetizione e lo ha acquisito come un “automatismo”.   

Concedere ai nostri figli di sperimentare l’incompetenza incosciente significa permettere loro di sbagliare, di fare errori, accompagnandone i dubbi ed appoggiandone le ricerche, ma senza offrire loro “la” soluzione su un piatto d’argento!  

Questo approccio, scardinandoli dall’iniziale senso di onnipotenza o di totale dipendenza (entrambi sterili e controproducenti), consentirà ai nostri ragazzi di sviluppare la propria autonomia (ivi compresa la capacità di chiedere aiuto e consigli quando non ci riescono da soli) e a noi genitori di staccare da quel controllo – spesso totalizzante ed illusorio – per prevenire ogni errore.

A volte i nostri figli non vogliono ascoltarci, adottando perfino un atteggiamento provocatorio. Questo per testare i limiti  e verificare la coerenza delle nostre reazioni. Dal punto di vista genitoriale, sono momenti che possono essere stancanti e perfino stressanti. Un suggerimento utile potrebbe essere quello di modificare il nostro approccio al problema. Un esempio? La figlia adolescente di un’amica psicologa ultimamente si esprimeva con una caterva di parolacce. La madre, smettendo con i rimproveri “tradizionali”, le chiedeva di ripetere a iosa (finché non si stufava) la volgarità espressa. Per poi riprendere sotto altra forma la riflessione sulla corretta espressione del proprio vissuto. Ebbene: mi ha certificato che il problema era in fase risolutiva!

Relativamente agli adolescenti e alla loro tendenza a infrangere le regole, potremmo immaginare un’altra situazione. Un ragazzo che lascia la sua biancheria sporca in giro per casa (senza mai metterla in bagno o nel posto deputato). Ogni giorno viene rimproverato, ricordandogli dove deve riporre le cose da lavare (magari mentre lo si fa al suo posto). Quasi sempre la cosa non funziona e si entra in un circolo vizioso in cui comunque i panni vengono lavati e stirati.Allora, perché non “contrattaccare” con ingenua (e coraggiosa) semplicità? Raccogliendo la sua biancheria sporca (per evitare che la casa somigli ad una discarica) ma rimettendogliela nel suo armadio: così com’è, senza ripiegarla, insieme agli abiti puliti. Alle sue proteste potremmo giocare la carta dell’utile idiota.« Come?! Era sporco?! Ma non era nel cesto della biancheria da lavare… ». Ci sono buone probabilità che il nostro principino si adegui.

In fondo l’educazione tradizionale che spronava ciascuno ad assumersi le proprie responsabilità, acquisendo un discreto grado di autonomia nel rispetto degli altri garantiva ai genitori (e a ciascuno dei membri della famiglia, secondo l’età) qualche breve pausa in cui ritrovare se stessi. Recuperarne qualche suggerimento potrebbe essere vantaggioso per tutti.

¹ Asha Phillips, I no che aiutano a crescere, Feltrinelli, Milano, 2000.

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