Rubrica a cura del dottor Claudio Rao
- Imparare ad accogliere le emozioni negative che ne derivano.
L’insuccesso, inutile negarlo, è sempre uno smacco. Quando ci investiamo con tutte le nostre energìe e il nostro entusiasmo in qualcosa è sempre difficile capire e soprattutto accettare di non avercela fatta. Spesso perfino le persone del nostro entourage, ancorché benintenzionate, non ci sono di grande aiuto.
Saper sdrammatizzare e relativizzare è dunque fondamentale. Ultima tappa di un mini percorso che comprende pure la còllera iniziale, la frustrazione, l’eventuale scoraggiamento o il senso di colpa. Solo accettando queste emozioni potremo imparare la resilienza che è un processo lungo e complesso.
- Distinguere ciò che siamo da ciò che facciamo.
Il problema dell’insuccesso è che ci rinvia al nostro valore come persona (Ho fallito perché sono un incapace). In sostanza, fronte a una sola attività andata male, tendiamo a generalizzare considerandola la pietra miliare di quanto valiamo! Una tendenza presente anche nel nostro giudizio sulle altre persone: quante vòlte abbiamo esclamato “Che idiota!” fronte a un automobilista che commette un’infrazione?
È necessario (e salutare) cessare di confondere ciò che siamo con ciò che facciamo; smettere di giudicare qualcuno – e noi stessi in primis – sulla base di una sola azione, di un solo avvenimento, di un unico insuccesso. È l’indispensabile premessa alla capacità di rimetterci in discussione in maniera costruttiva, imparando dai nostri errori.
- Reperire le “vere” cause dell’errore.
Una tendenza – piuttosto comune a quanto ho potuto constatare – è quella di attribuire la causa del nostro insuccesso agli altri (o alle “circostanze”). Alcuni invece hanno la predisposizione ad accollarsi l’intera responsabilità dell’evento. Se il primo caso è una protezione contro l’atteggiamento super-punitivo del soggetto che salvaguarda l’autostima, nel secondo l’autoflagellazione impedisce alla persona di “riprovarci” in futuro attivando tutta una serie di strategie di evitamento.
In realtà, a ben guardare, questi atteggiamenti sono le due facce della stessa medaglia perché entrambi ci impediscono di scoprire i veri motivi del nostro insuccesso. Dobbiamo infatti lucidamente riconoscere che le vere cause di un fiasco sono (nel 99% dei casi) una sottile miscellanea di fattori esterni (scadenze troppo ravvicinate, obiettivi troppo ambiziosi, etc.) e di responsabilità personali (impegno insufficiente, carenza di tempo, d’interesse, etc.).
- Cambiare prospettiva di osservazione.
Edison sostenne:« Non ho fallito, ho solo trovato diecimila metodi che non funzionano » e Mandela gli fece eco con:« Non perdo mai. O vinco o imparo ». Gli studî ci hanno dimostrato che esiste una parte del nostro cervello che si dedica unicamente ad analizzare gli errori in modo da apprendere a migliorarsi. Una parte del cervello che si atrofizza se non è sollecitata! Eppure i nostri sistemi educativi (almeno quelli a me noti: italiano, francese, svizzero e belga) sono ben lungi dal farne tesoro ed esorcizzano l’errore in luogo di valorizzarlo e di rifletterci.
Come nonni o genitori, educatori o docenti e nella relazione con noi stessi, ricordiamoci sempre che senza concederci il diritto all’errore ci precluderemo la via del progresso e dell’autonomia.
- Mettere il proprio insuccesso a servizio degli altri.
In diversi luoghi di lavoro, soprattutto all’estero, è d’uopo organizzare delle riunioni o dei “tutoraggi” in cui gli impiegati più anziani condividono con i neoassunti alcuni proprî errori, analizzandoli (riflettendo su cause, conseguenze, circostanze ed eventi). Oppure per mettere semplicemente in comune alcune dinamiche negative che si sono verificate. Io stesso vi presi parte in seno all’équipe psico-medico-pedagogica del servizio di neuropsichiatria infantile¹ con i brainstorming del venerdì.
L’analizzare i proprî errori, umilmente, ma con rispetto e determinazione, porgendoli a familiari e colleghi, cercandone insieme le cause e gli insegnamenti per migliorare è una pratica utilissima ed arricchente. Provare per credere.
- Assaporare sul serio il proprio successo.
Un altro insegnamento che ci viene da Edison è questo: « Molti insuccessi nella vita sono dovuti alle persone che non hanno realizzato a che punto fossero vicine al successo quando hanno rinunciato ».
Godiamoci i nostri successi, senza sminuirli o attribuirne ad altro (o ad altri) il merito. Sentiamocene artefici e consideriamo tutte le difficoltà che abbiamo dovuto superare per arrivarci. Non rinunciamo ad analizzarne le dinamiche per trarne i dovuti suggerimenti.
Assaporiamo le nostre riuscite, autorizziamoci le emozioni positive. Con il dovuto realismo, ma anche con un pizzico di follìa.
¹ Presso il reparto“Domino”, Cliniques St. Jean di Bruxelles nel 2005.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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