Editoriale di Claudio Rao
È noto dall’antichità: l’ironia, il sorriso possono veicolare critiche e riflessioni difficili da comunicare altrimenti. Pensiamo ai giullari medievali o ai Saturnali romani in cui il travestimento garantiva l’anonimato e lasciava libero sfogo ad ogni tipo di scherzo.
Più recentemente, se mi suffraga la memoria, la frase « Guai a quel maestro che non sa ridere di se stesso! » è del filosofo Friedrich Nietzsche.
Tuuuavia, nell’epoca moderna e contemporanea, caratterizzata dal ritorno della censura di matrice religiosa, di stampo islamico in particolare, e dal pensiero unico veicolato dai Media, cosa rimane dell’ironia?
La parola, ricordiamolo, deriva dal greco (eirōneìa) e significa dissimulazione, affermare il contrario di ciò che si pensa allo scopo di provocare ilarità; il che implica una critica, senza però sconfinare nel sarcasmo che implica disprezzo.
Attualmente l’ironia sembra addirittura diventata rischiosa. Molti sono i casi in cui dei comici hanno dovuto “scusarsene”. Una tendenza al politicamente corretto che tenderebbe ad intensificarsi. La riflessione è confortata dall’analisi della dottoressa Caterina Scianna, assegnista di ricerca all’Università degli Studi di Messina (Dipartimento di scienze cognitive, psicologiche, pedagogiche e degli studi culturali) dove si occupa di linguaggio e cognizione umana. Tra le sue pubblicazioni spicca una ricerca con un approccio multidisciplinare sul fenomeno in oggetto: « Ironia. Indagine su un fenomeno linguistico, cognitivo e sociale »¹.
L’ironia è un fenomeno linguistico complesso e affascinante che gioca con le parole, altalena tra i significati, sottende pensieri, giudizi e stati d’animo. « Un pò d’ironia fa bene a tutti i livelli – suggerisce la studiosa – perchè alleggerisce le critiche, spinge ad essere più flessibili e porta le controversie ad un livello più fine ».
Pensiamo a Socrate, a Victor Hugo o, più recentemente (e meno prosaicamente) agli statisti italiani del Novecento, da Alcide De Gasperi ad Aldo Moro. O perfino all’ironia di Giulio Andreotti. Tutti costoro non disdegnavano il ricorso alle battute, alla sana ironia capace di colmare ogni lacuna. Cose oggi impensabili (e non solo per la decadenza a livello linguistico e culturale delle nostre élites).
Perfino la Chiesa ne ha sovente sposato lo stile e la vivacità, cogliendo per certi versi lo spirito presente in alcune pagine de La Bibbia. Perchè l’ironia può essere un efficace strumento che permette ai deboli di deridere i potenti.
Recentemente un amico mi ha offerto un libro sorprendente (appena iniziato). Scritto da Sergio Gaburro, docente incaricato di Teologia fondamentale presso la Pontificia università Lateranense, « L’ironia, voce di sottile silenzio »² ci indica appunto come questo accorgimento linguistico contribuisca a sdrammatizzare, ridurre le distanze, rilassare in modo intelligente, libero e creativo.
Nel mondo del cinema, molti sono gli esempi capaci di illustrarci il valore del sorriso su avvenimenti oltremodo drammatici. Pensiamo a « Il grande dittatore » di Charlie Chaplin o, più recentemente, a «La vita è bella » di Roberto Benigni.
Allora in nome di chi e di che cosa cosa dovremmo autocensurarci o impedirci il pensiero critico ed il ricorso all’ironia? Non è forse lo scrittore Milan Kundera che, a partire da un proverbio ebraico, afferma « L’uomo pensa, Dio ride »?!
* Frase latina («corregge i costumi col ridere») composta dal letterato francese J. de Santeuil (sec. XVII°) per il busto d’Arlecchino che doveva decorare il proscenio della Comédie Italienne a Parigi; si ripete talora riferendola a persona che sa ammonire senza che nelle sue parole si senta il rimprovero, e spec. a scrittore che dà insegnamenti morali attraverso forme letterarie apparentemente leggere e, comunque, divertenti. (Def. Treccani)
¹ Caterina Scianna, Ironia. Indagine su un fenomeno linguistico, cognitivo e sociale, Carocci editore, 2022.
² Sergio Gaburro, L’ironia, voce di sottile silenzio, San Paolo edizioni, 2013.
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