“A” come Amicizia

“A” come Amicizia

Di Claudio Rao

In questo periodo di festività natalizie, fronte ad un uso e abuso della parola « amore », ho voluto interrogarmi su una delle sue forme più diffuse : l’amicizia. Amicizia reale, amicizia virtuale. Amicizia come sentimento resiliente.

« Innamorarsi non conviene » scrisse un giorno il filosofo napoletano Luciano De Crescenzo. « In ogni relazione amorosa, infatti, c’è sempre uno che soffre e l’altro che si annoia e questo perchè l’amore inizia contemporaneamente per poi finire in tempi diversi. Meglio allora l’amicizia: quella vera, dura più a lungo e cresce con il passare degli anni ¹».

Chi di noi non si è interrogato almeno una volta nella vita sul significato della parola amicizia?

Un altro napoletano, scrittore sceneggiatore e traduttore, Raffaele La Capria, le ha dedicato pensieri e riflessioni ancora più incisive. « É difficile parlarne perchè l’amicizia è un sentimento delicato ed esigente, che richiede affinità elettiva ed affetto, ed un’intesa di fondo forte come quella di due alpinisti legati ad una stessa corda ».   

Secondo l’eminente psichiatra novarese Eugenio Borgna « Non c’è vera amicizia se non quando tra due persone nasca una relazione nutrita di ascolto, di comprensione, di accoglienza della gioia e del dolore ²»

Nelle nostre società postindustriali il tempo per cogliere questa opportunità, stabilendo incontri e maturando questo sentimento ci difetta sempre di più. Per questo molti tendono a preferirle quella virtuale, più semplice, immediata e vissuta come più libera. Una ricerca pre-pandemìa (2018) rivelava già che una larga fetta della popolazione adulta italiana (circa una persona su tre), “non riteneva di avere tempo per l’amicizia”. Sia per i ritmi troppo frenetici della propria quotidianità che per la mobilità lavorativa o per modifiche nel proprio stile di vita. Il sondaggio aveva monitorato i principali siti social, forum, blog e community.

Stando al Dott. Borgna tuttavia, l’amicizia non ha ancora dato forfait perchè, spiega, è un “sentimento resiliente”. Egli anzi la considera niente di meno che un pilastro nella resistenza contro lo tsunami del cambiamento. « L’amicizia ha una dimensione sociale: ci unisce gli uni agli altri, è una lampada sempre accesa, che dà un senso non solo alla nostra vita, ma anche a quella degli altri ».

Le riflessioni su questo fenomeno hanno radici antiche, se pensiamo che occupavano già la mente del filosofo greco Aristotele (colui al quale si è soliti attribuire l’adagio “L’uomo è un animale sociale”). Nell’ “Etica Nicomachea” egli riconosceva un ruolo fondamentale all’amicizia quale fonte di felicità.

Tuttavia noi, oggi, nel ventunesimo secolo, chi intendiamo designare con la parola “amico”? Il conoscente, il “poco più che” collega di lavoro, la persona conosciuta sui networks?

Il britannico Robin Dunbar, psicologo e professore di antropologia evoluzionistica “Ridà i numeri sugli amici” (come titola un articolo su La Repubblica a firma Giuliano Aluffi del 30 aprile 2021). Egli ritiene che, in media, ogni essere umano non abbia più di 150 amici. Nella dottrina nota come “La teoria del numero di Dunbar” che risale al 1993, infatti, lo studioso dimostra che nel corso della crescita esiste un numero massimo di amicizie che si raggiungerebbe nella fascia di età che va dai 20 ai 30 anni, quantificata appunto in centocinquanta. Quelli su cui contare sarebbero al massimo cinque, mentre i cosiddetti intimi sarebbero un paio in tutta la vita. Come a dire che l’antico detto “Chi trova un amico trova un tesoro” non ha perso un’oncia della sua validità. Almeno agli occhi della scienza.

La proliferazione degli “amici social” non deve trarci in inganno. Nè darci adito a pensare che riguardi prioritariamente giovani e giovanissimi. Secondo il professor Borgna, anzi, le giovani generazioni starebbero resistendo alla crisi di valori proprio grazie all’amicizia. E va oltre. L’amicizia tra giovani e anziani, spiega, può costituire un formidabile ponte che – in barba al dilagare delle tecnologìe imperanti – riavvicina le generazioni, bypassando i conflitti e le incomprensioni che permangono invece tra giovani e adulti. Perchè, spiega « la lontananza delle età genera la vicinanza emozionale ».

E l’amicizia, questo benefico sentimento resiliente, avrebbe perfino qualità “terapeutiche”! Secondo uno studio USA della Michighan State University dello scorso anno, infatti, i benefici dell’amicizia sarebbero particolarmente evidenti proprio nelle società più individualistiche. Gli amici rafforzerebbero le difese immunitarie, riducendo lo stress ed abbassando la mortalità. Accrescendo l’autostima e allontanando depressione ed Alzheimer.

Ludwig Binswanger, psichiatra e filosofo elvetico, sosteneva che essa è addirittura “un metodo di cura”, anzi « la premessa alla cura ».

Per noi Pedagogisti Clinici®, in cui ogni incontro si svolge in un contesto di ascolto, di empatìa e di collaborazione educativa, l’amicizia acquisisce un valore capitale. Un “sentimento-perno” da nutrire, incoraggiare, (ri)attivare nella vita di ciascuno per (ri)svegliare il proprio essere al mondo, la propria dimensione sociale, quel contatto inter-attivo che solo può garantirci una certa qualità del nostro benessere relazionale e personale.

¹ L. De Crescenzo, “Non parlare, baciami. La filosofia e l’amore”, Mondadori, 2016.

² Così nella sua ultima opera “Sull’amicizia”, Raffaello Cortina Editore, Milano, 2022.

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