Berlino, Vienna, Monaco: capitali virtuose del mondo a venire

Berlino, Vienna, Monaco: capitali virtuose del mondo a venire

Editoriale di Daniel Abbruzzese

Berlino è la prima città al mondo per l’efficienza dell’E-Goverment, ha decretato uno studio dell’ONU. E si prepara ad essere entro il 2030 la prima capitale europea ad emissioni zero. Ma anche Vienna e il Land della Baviera sono al centro di un processo di modernizzazione esemplare – un processo che, naturalmente, punta in primo luogo a responsabilizzare il singolo nella vita di ogni giorno.

Elegia berlinese

“Come fa una potenza economica rilevante come la Germania ad avere una capitale degna di un paese in via di sviluppo? Berlino è sudicia, fatiscente, sciatta”: il giudizio di Ai Weiwei sulla città da lui eletta temporaneamente a luogo di esilio è stato impietoso, ma – e su questo converrebbe chiunque conosca Berlino un po’ più a fondo – ha un fondo di obiettività.

La classifica diramata recentemente dall’ONU, una fra le tante che regolarmente riempie le prime pagine dei giornali, dando così carburante ai dibattiti sui social, ha messo Berlino al primo posto per l’efficienza dei servizi digitali al cittadino. La valutazione si baserebbe però su uno studio di oltre trecento pagine, ci informa il quotidiano Berliner Zeitung, e fra uno studio basato su modelli e la realtà possono prodursi divaricazioni importanti (che, ad ogni modo, si assottigliano in caso di situazioni emergenziali).

Lo studio sarà probabilmente passato inosservato all’artista dissidente più dotato degli ultimi decenni, ormai esiliatosi sulle coste del Portogallo, ma ha offerto ai berlinesi un nuovo motivo di sdegno – o, più propriamente, un’occasione per rumnörgeln, l’attività berlinese per eccellenza: un brontolare che si nutre della speranza che nulla cambi e che la realtà continui ad offrire ragioni sufficienti per lamentarsi. Sfogata l’indignazione su qualche medium, continua ad apparire normale che, anche se l’E-Government funziona come prescritto dai modelli, possano trascorrere mesi fra una chiamata al numero verde ed un appuntamento all’ufficio anagrafe, o fra l’upload della dichiarazione dei redditi sul sito dedicato ed una risposta da parte dell’Agenzia delle Entrate. Il settore pubblico, su cui da anni grava una carenza di personale, non può certo competere con la velocità con cui l’E-Government progredisce, né la struttura urbana può adattarsi così alla svelta al progresso tecnico e allo sviluppo demografico.

Di fatto, il mezzo milione di persone, trasferitosi nella capitale e nei suoi dintorni negli ultimi quindici anni, si è trovato davanti una città già in emergenza abitativa, una rete ferroviaria ed una rete stradale ferme all’inizio degli anni Novanta, servizi alla persona insufficienti. Un afflusso così imponente non era prevedibile da nessun modello, almeno non quando si decise di trasferire la capitale federale da Bonn alla città un tempo divisa.

E Berlino è la città che è sempre in divenire, senza mai arrivare ad essere qualcosa, come recita il detto di Karl Scheffler. Lo sa bene l’amministrazione locale, che, dopo aver fatto della città del muro un’attrazione turistica internazionale, grazie soprattutto al turismo low-cost (“Berlino è povera, ma sexy”, così l’ex-sindaco Wowereit), si lanciava in un processo di rinnovamento, che avrebbe dovuto rendere la metropoli smart e a emissioni zero entro il duemila e… Ci si è messo di mezzo un vizio di forma nelle ultime elezioni, dichiarate irregolari dalla Corte Costituzionale. Un vizio di forma (l’impossibilità di votare per molti aventi diritto, che arrivati al seggio non hanno trovato più schede) che rischia di interrompere il lavoro dell’attuale amministrazione proprio sul più bello. Per fortuna, una piccola parte della società civile è riuscita a raccogliere firme sufficienti, affinché in occasione delle elezioni, che dovrebbero essere ripetute nel 2023, abbia luogo anche un referendum per rendere Berlino climate neutral entro il 2030.

Una Dubai al centro dell’Europa

Nelle aree vuote lasciate dai bombardamenti dell’ultima guerra e dal Muro, sono spuntati come funghi nuovi quartieri, fatti di parallelepipedi intonacati, addolciti da qualche linea curva, che ricalca formalmente la svogliatezza con cui nelle serie televisive si ricostruiscono gli anni Venti, e grattacieli strabilianti, che nel gusto e nell’utilità sono una copia esatta delle  metropoli della Penisola Arabica. Totalmente astruse dal contesto urbano, queste aree, riservate agli uffici di rappresentanza delle multinazionali e ad investitori privati di grandi capitali, sono legate al resto della città solo grazie al trasporto privato ed al car sharing  – e naturalmente grazie ai monopattini, dettaglio ormai ovvio di ogni città europea che si rispetti, e ai servizi di delivery, che funzionano grazie ad un esercito di indiani e nordafricani, che per pochi spiccioli all’ora consegnano pizze e food etnico. La consegna di pasti a domicilio è stato uno dei doni che la nuova normalità ha lasciato a tutti gli abitanti della capitale, specialmente a chi, per scelta o per profitto finanziario, vive al di fuori del divenire della città.

Se dunque le amministrazioni cittadine degli ultimi anni hanno fallito nel piano regolatore e nel risolvere l’emergenza abitativa, sono tuttavia riuscite a dare un’impronta green alla città, puntando sulla condivisione di mezzi a noleggio prevalentemente elettrici. Non solo, ma nell’anno e mezzo in cui la giunta guidata dalla sindaca Franziska Giffey è stata al potere, sono state numerosissime le strade in cui si è introdotto il limite di velocità di 30 chilometri orari, o persino chiuse al traffico a motore: un segnale all’imbocco della via, una corsia tinta di verde ad indicare il percorso riservato alle biciclette, e già il panorama urbano assume un carattere più sustainable

Casomai all’osservatore fosse sfuggito quanto il governo ha lavorato per una città più ecologica, è una voce registrata sui mezzi pubblici a ringraziarlo, a nome di Madre Terra e degli Scientists for Future, per aver scelto un mezzo di trasporto a impatto ambientale quasi nullo. E nel caso l’insistenza sull’argomento andasse a infrangersi contro l’insofferenza di qualche ascoltatore, gli esponenti della maggioranza rosso-verde al potere si sono impegnati a cancellare annualmente almeno 60.000 posti auto privati. Alla domanda della stampa su quali potrebbero essere le reazioni della popolazione, la politica ha risposto: “È ovvio che una parte della società non accetterà queste misure. Ma sarà un problema loro”.

È quasi certo che le elezioni che si ripeteranno dovrebbero riconfermare i socialdemocratici e i verdi alla guida di Berlino, almeno in base alle proiezioni dei giornali. Dall’altro luogo centrale per la democrazia attuale, le piazze che trovano posto sui media, arriva la richiesta che l’azione del governo (che sia o meno legittimamente eletto) dovrebbe essere più incisiva. I ragazzi più o meno giovani di Fridays for Future e Letzte Generation, che quotidianamente si incollano sulle principali arterie cittadine, o a qualche opera d’arte, oppure scalano indisturbati la Porta di Brandeburgo, pretendono che il governo agisca immediatamente contro il climate change, abbassando i limiti di velocità, dando una stretta al traffico privato, offrendo a tutti i residenti in Germania un biglietto unico per spostarsi ovunque sui mezzi pubblici per soli 10 euro – come successo l’estate scorsa. Insomma, la richiesta è che il governo proceda più speditamente nel realizzare il programma per cui è stato eletto. Senza dubbio, una società in cui i giovani scendono in piazza per chiedere al governo di continuare a lavorare come sta facendo, solo più velocemente, si avvicina molto al migliore dei mondi possibili.

Crediti sociali? No, solo un piccolo contributo per il benessere comune

Il progetto pilota del Kulturtoken doveva partire a Vienna già nel gennaio del 2020, ma, a causa della pandemia, la sua entrata in vigore definitiva è avvenuta solo nel novembre 2021. Si tratta di una App che, basandosi sul meccanismo delle blockchains, quantifica la produzione individuale di CO2 per ogni individuo. Per ogni 20 kg di CO2 risparmiati (ad esempio, percorrendo per due settimane il tragitto casa-lavoro a piedi o con i mezzi pubblici), il possessore della App guadagna un token, che, previo download di un QR-code, può essere speso per accedere ad una manifestazione culturale.

Il “gettone culturale” viennese ha ispirato un progetto simile nel Land della Baviera – fra l’altro il primo stato federale ad essersi dotato di un codice di leggi ad hoc per raggiungere la neutralità climatica entro il 2035. Anche il Bayerntoken funziona al momento su base volontaria: il cittadino che si dimostra particolarmente diligente nella raccolta differenziata e che rinuncia a spostarsi con mezzi privati può godere di sconti sull’ingresso a teatro, al cinema, in piscina e sull’acquisto di prodotti biologici. L’amministrazione bavarese sta lavorando per allargare la rete di aziende che collaborino al progetto, cercando di convincere la popolazione della validità della proposta.

È il professor Jurij Christopher Kofner, dell’Istituto per l’integrazione dei mercati e l’economia politica di Grünwald, a dar voce alle perplessità che serpeggiano nella popolazione: l’idea alla base di questi token ideologici è che gli eventi culturali, ma anche l’accesso ad altri spazi del tempo libero, siano una concessione delle autorità, che in ogni momento può essere revocata. Non solo, ma un meccanismo del genere rappresenterebbe una rischiosa ingerenza del governo nelle abitudini di consumo e nelle scelte private del cittadino, ingerenza che potrebbe spingersi a valutare i comportamenti del singolo sul modello cinese. Tuttavia, paragonare questa retribuzione dei comportamenti virtuosi ad un sistema di controllo sociale sarebbe totalmente fuori luogo e rappresenterebbe un argomento a favore della destra liberal-populista, sempre pronta a sfruttare questi temi per fare propaganda; piuttosto, il sistema degli eco-token assomiglierebbe più alla tessera fedeltà del nostro caffè preferito, assicura la giornalista Eva Wolfangel dalle colonne dello Zeit – giornale distintosi nell’ultimo anno per aver apertamente incitato all’emarginazione e alla discriminazione di chi non condividesse le scelte sanitarie caldamente consigliate dal governo.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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