Di Claudio Rao
Come genitore e Pedagogista Clinico® mi sono sovente interrogato sulle trappole della rete, sui limiti del virtuale, sui rischi che i “nativi digitali” corrono negli anni più fecondi dell’età evolutiva. Un amico e collega Gestalt-terapeuta mi annunciò di volersi aggiornare professionalmente sull’argomento già al termine della nostra formazione, più di dodici anni or sono!
Le nostre famiglie e le nostre scuole conoscono il fenomeno della progressiva digitalizzazione dell’insegnamento che ha subìto una notevole impennata negli anni della pandemìa. Il PNRR prevede un investimento di oltre due miliardi di euro per la “transizione digitale” che consiste nel dotare gli istituti di ogni ordine e grado di strumenti innovativi, in modo da trasformare le classi in ambienti connessi e digitali.
Questo, quando i “giganti” della Silicon Valley vietano ai propri figli un uso ancorchè minimo della tecnologia, andando perfino a includerne l’esclusione nei contratti con le rispettive baby-sitters! Stiamo parlando, tra gli altri di Steve Jobs, il fondatore di Apple e dello stesso Bill Gates, fondatore di Microsoft. Le scuole dei loro ragazzi, élitarie e privatissime, in cui l’iscrizione si calcola in decine di migliaia di dollari, promuovono un approccio educativo attraverso attività pratiche e ricreative in cui computers, LIM (lavagne interattive multimediali) e tablets sono semplicemente vietati.
Non è un caso se la psicologa statunitense Jean Twenge, in base a ricerche condotte per un paio di lustri, ritiene che il benessere dei nostri giovani sia influenzato dal tempo trascorso sulla rete e che coloro che svolgono abitualmente attività “non-screen” sviluppano una capacità d’interazione sociale e una percezione del mondo qualitativamente superiore ai loro coetanei iper-connessi.
Altrimenti detto, le classi dominanti americane si guarderebbero bene dall’inibire il pensiero creativo e ridurre i tempi di attenzione dei propri figli. Stimolandoli, al contrario, a sviluppare la memoria, la concentrazione, l’empatia e le capacità comunicative.
Mi si potrà ragionevolmente obiettare che ciò che conta è educare i bambini all’utilizzo dei dispositivi senza diventarne dipendenti. Verissimo. Ricordandosi però che le responsabilità dell’adulto educante sono grandi. Il ragazzo infatti sarà in grado di “pensare in maniera analitica e flessibile” non prima dei 12-13 anni; solo allora, dunque, potrà essere davvero autonomo nell’uso intelligente di smartphones, tablets e computers.
D’altronde, se perfino l’Organizzazione Mondiale della Salute ha ritenuto necessario esprimersi su questo tema dettando delle apposite Linee-guida, forse la questione merita una riflessione ad ampio raggio.
Secondo le statistiche infatti, bambini e adolescenti trascorrono mediamente davanti agli schermi dalle 5 alle 8 ore al giorno, a detrimento delle ore di sonno e delle relazioni sociali (non virtuali).
Nel suo saggio « Demenza digitale. Come la nuova tecnologia ci rende stupidi », il neuropsichiatra Manfred Spitzer tira il segnale d’allarme. Sapevamo già che un tempo eccessivo davanti agli schermi poteva favorire nei bambini l’insorgere di problemi di salute fisica e mentale come ansia, obesità, depressione, problemi comportamentali, ma anche difficoltà e disagi nello sviluppo motorio e cognitivo, oltrechè di salute psico-sociale. Perchè l’eccessiva esposizione a questi che dovrebbero restare strumenti rischia di alterare la nostra capacità di esprimere emozioni e perfino di comunicare.
Il dottor Spitzer, tuttavia va oltre. Puntando il dito sul giovane che “costruisce la propria sfera sociale nel mondo virtuale”, precisandone i rischi non solo nell’acquisizione delle competenze sociali, ma altresì sullo scarso sviluppo delle aree del cervello preposte al comportamento sociale. I giovani eccessivamente assorbiti dal digitale non avrebbero sufficienti opportunità di confrontarsi su “progetti reali nel mondo reale”. Il neuropsichiatra giunge perfino a ventilare il rischio di « morte neuronale »! Da cui il titolo del libro che parla di “demenza”.
Allora, come genitori, insegnanti, educatori, preoccuparsi dell’esposizione agli schermi dei nostri ragazzi s’impone come un problema sociale. Educhiamo i nostri bambini ad alternare le ore trascorse davanti al computer con sport e attività all’aria aperta; incoraggiamoli in attività creative e ricreative. Quando sono insieme in classe, in gruppo, in casa, tra amici, facciamoli interagire senza ricorrere a tablets o smartphones, riscoprendo i giochi che facevamo noi da bambini (da fazzoletto, alla settimana, da battaglia navale a rubabandiera o strega toccacolore, mosca cieca, rialto e tanti altri!). Togliamo smartphones, tablets, computers e televisori dalle loro camerette: è risaputo che le loro interferenze con i ritmi del sonno sono esiziali. Ed evitarne l’uso almeno una mezzoretta prima di andare a letto è una buona regola per tutti.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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