Rubrica a cura di Susanna Schivardi e Massimo Casali
Siamo al Mercato Centrale di Roma, proprio accanto alla Stazione Termini, dove invece di salire sul primo treno in partenza, capitiamo in uno degli eventi più azzeccati della stagione, ideale per divertirsi e conoscere nuove realtà. Stiamo parlando di Due passi in Vigna, il 5 novembre organizzato da Vinario4, collocandosi in una metrica perfetta per duettare con i piatti serviti nei vari food store del mercato, dal giapponese al tradizionale romano, dal mediterraneo fino all’argentino. Tante le etichette, oltre 70 per più di 20 produttori, tra new entry di livello e conferme sul mercato. Ricca la delegazione di aziende, ricordiamolo, dello studio di ATWine Consulenze enologiche, che ha condotto una delle tre masterclass organizzate per l’occasione:
Wine speed date: una lezione di avvicinamento al vino per imparare le tecniche di degustazione.
Suoli e percezioni olfattive: focus per conoscere l’influenza che hanno i terreni sul vino. Seguirà una degustazione alla cieca a premi (a cura di ATWine Consulenze enologiche).
Bottiglie in verticale: 3 annate in degustazione di Petit Verdot Pantaleone (The Wine Hunter Award Rosso 2020/2021/2022, 4 grappoli Bibenda 2022, 2 stelle Guida Veronelli 2022, 3 tralci Guida Vitae 2022) e Magnum di Aita dell’azienda Muscari Tomajoli.
Quest’ultima, la verticale di Muscari Tomajoli, ci ha accolto nello spazio adibito per la degustazione al secondo piano. Siamo rimasti piacevolmente coinvolti perché Marco lo conosciamo bene, il titolare diplomato sommelier, e tuttofare di questa azienda relativamente giovane ma che ricordiamo con affetto perché fu la prima che andammo ad intervistare all’inizio di questa nostra avventura. La sala non è stata concepita come luogo chiuso ma in maniera fluida e collegata al resto dello spazio, dove alle nostre spalle, molti ragazzi e winelover meno giovani, ai banchi di assaggio, si affollano per degustare i prodotti e commentarli. Tanta gioia, tanta festa, che ha circondato l’evento con brio e leggerezza.
Ad introdurre l’approfondimento lo staff di Vinario4, con breve introduzione della cantina, di cui poi ha parlato ampiamente Marco Muscari Tomajoli. Tanto per dare qualche informazione, ricordiamo che siamo a Tarquinia, a 150 mt slm, vicino al mare ma anche coperti dalle montagne che riparano dai venti freddi. Qui si è sempre coltivato Montepulciano e noi abbiamo ancora in memoria l’ottimo Vermentino che ha trovato in queste sponde un terroir prediletto. Ma cavallo di battaglia di oggi è il Petit Verdot, in triplice versione, Pantaleone 2020, 2018, 2016.
La cantina sorge su un vecchio appezzamento del nonno, che fa parte di quei lotti dati ai veterani della Prima guerra mondiale, e qui abbiamo la fortuna di trovare piante vecchie anche più di cento anni, su terreni vergini. Dal 2007 l’azienda ha cominciato la sua lunga strada verso il successo, da un’idea di Sergio Muscari Tomajoli, padre di Marco, che gli è poi succeduto prendendo in mano vigne e cantina nel 2016. Con la forte spalla dell’enologo Gabriele Gadenz, si decide di lavorare tutto a mano, eliminando gli erbicidi, e affidandosi all’inerbimento permanente. Le rese bassissime promettono alta qualità e qui siamo sui 25-40 quintali/ha, per una produzione di 8000 bottiglie l’anno.
Il terroir argilloso-calcareo permette una buona idratazione delle piante, non eccessiva, adatta per questi vitigni che risentono dell’influsso del mare e della zona relativamente calda. La bellezza di questo territorio non si esaurisce però al solo fatto di essere vitato e produrre ottimi vini, l’arte qui si sposa bene con il nettare, se pensiamo alla bella necropoli di Monterozzi che qui è di casa, dove le tombe con le loro pitture dai colori esaltanti hanno ispirato l’artista delle bellissime etichette, Guido Sileoni. Con il Pantaleone facciamo un tuffo nella ricchezza archeologica dell’area, infatti l’etichetta raffigura un dettaglio, il leone, della tomba delle Baccanti del VI a.C., mentre il nome ripercorre la storia di un’antica Chiesa dedicata appunto alle reliquie del santo. Marco fin da giovanissimo è rimasto affascinato dalla vastità storica del suo territorio e riconosce, con profonda sensibilità, che il vino è un prodotto culturale capace di penetrare in profondità, creando connessioni tra la storia e la terra.
Ma torniamo al nostro Petit Verdot, versato nel primo calice. Nell’annata 2020 appare con un bel rosso rubino non troppo intenso, al naso molto profumato di frutta rossa, prelude a spezie come noce moscata, in bocca si risolve in morbidezza e setosità, ma si chiude in una bella sferzata sapida. A pochi minuti dalla mescita arriva anche una bella ventagliata di caffè. L’annata si è dimostrata poco regolare, le temperature alte, qualche pioggia in agosto e una vendemmia anticipata per mantenere l’acidità vivace.
Passiamo alla 2018, dal clima siccitoso del 2017, arriva un’estate più mite, e una temperatura che permette un’ottima maturazione fenolica. Il colore diventa rosso intenso con venature quasi violacee, molto profondo al naso, esuberanti la susina e la ciliegia, nel gusto ritroviamo la struttura e la forza tannica, grintoso nella sua compostezza. Ricordiamo che la lavorazione prevede 3 mesi sulle fecce fini in cui avviene la malolattica che lo rende rotondo. Si riposa in solo acciaio per sei mesi e poi altri tre mesi almeno trascorsi in bottiglia.
Terminiamo quindi con la 2016, un’annata perfetta, da manuale, con pioggia esatta, e primavera mite, vendemmia a settembre. Rosso rubino violaceo e fitto, si apre un bouquet di mora e mirtillo e fiori macerati, si chiude al naso con erba aromatica. Al sorso la forte base sapida concede spazio al frutto maturo e alle spezie, che lo avvicinano molto all’annata 2020.
Il finale, fuori dalla verticale, ci riserva un vino eccezionale, Montepulciano 2019, Aita, che viene versato da una delle poche Magnum ancora disponibili. L’etichetta è già un biglietto da visita, bellissima nella fattura, da un’idea di Guido Sileoni, che si è ispirato direttamente alla Tomba dell’Orco, che andò a visitare col papà a soli 8 anni, innamorandosene per sempre. Una folgorazione che oggi ritroviamo in questo capolavoro grafico. Ma non solo nell’aspetto, perché anche alla visiva, al naso e alla bocca, la coerenza gustativa si dipana in un susseguirsi di sentori pieni e vigorosi. Abbiamo nel calice una super selezione di Montepulciano proveniente da una parcella di ettaro con una resa di soli 0,5 kg per pianta. Raccolta tardiva per un’annata che per l’azienda si è dimostrata ottima, riuscendo a dribblare il rischio di gelate. La fermentazione spontanea e al termine affinamento in barrique di rovere di primo passaggio per ben 18 mesi. La barrique utilizzata è un top di gamma di un’azienda francese che lavora il legno selezionato da una sola foresta e stagionato all’aperto per 5 anni. Altri nove mesi di bottiglia per arrivare sulle nostre tavole semplicemente perfetto. Il colore rosso impenetrabile, fitto al naso di prugna, ribes e mora. Sovvengono alla memoria olfattiva cannella, cacao e liquirizia per svilupparsi in bocca con grande ampiezza e complessità. L’alcolicità viene ben distribuita dalla polpa, da una struttura carnosa, piena. Davvero equilibrato, qui il Montepulciano supera sé stesso con una persistenza che ci soddisfa pienamente.
Salutiamo Marco e il suo mondo per imbrigliarci nella folla che anima gioiosamente il piano terra, dove ci attendono tanti assaggi.
Cantina Tempere di Sant’Arsenio, Campania, partiamo subito con un Aglianico 2017, Tempere rosso, da terreno argilloso a 500 mt slm, un passaggio in rovere che promette evoluzione di frutti rossi, in bocca un tannino fitto ma anche una buona freschezza. Il Tempere Primo 2017 matura in acciaio e poi si affina in botti di rovere per quattro anni. Il rubino è molto vivo, al naso è fieramente fruttato, al sorso è avvolgente con una trama tannica affusolata, diritta. Una bellissima espressione del territorio anche fuori dal contesto dell’Irpinia e del Vulture.
Azienda Agricola Nic Tartaglia, assaggiamo il Montepulciano d’Abruzzo Doc, 2019, colore intenso per un naso di prugna, amarena e liquirizia, al palato un bel corpo tannico, molto piacevole e di persistenza, può affrontare il tempo senza paura. Perfetta espressione del territorio.
Rocca di Castagnoli, Chianti Classico 2019, siamo nella sottozona di Gaiole, sopra Siena, vocata per un Sangiovese verticale, esatto. Risultato perfetto di una lavorazione che prevede malolattica in acciaio, un anno di legno in botti tipiche chiantigiane e poi altri 3 mesi in acciaio. Sei mesi in bottiglia lo rendono completo, equilibrato, destreggiandosi tra la frutta rossa all’olfatto, la ciliegia in bocca e il tannino ben bilanciato.
Tenute Filippi di Cori, ci concediamo un rosato di Nero Buono, Ipazia, dall’etichetta stilizzata ed essenziale che attira l’attenzione. Il nome un omaggio alla libertà, un elegante color cerasuolo, segue le direttive della biodinamica. Rosa canina per aprire, un’intensa ciliegia rossa e per completare un sorso di finale sapido, fresco e persistente.
Vigne del Patrimonio, Ripatonna, Igt Lazio 2020, Cabernet Franc 90% e Pinot Nero 10%, il suolo è vulcanico perché siamo a Ischia di Castro, dove limo e brezze regalano vini profumati ed eleganti. Colore rubino intenso, si esprime con frutta rossa, e sparute vene speziate che donano armonia alla polpa presente. Al palato sempre piacevole, tannico al punto giusto, fresco e fragrante negli aromi. Dell’azienda abbiamo apprezzato già al Bere Rosa 2022 la versione spumantizzata Alarosa, Brut Rosé, da uve Pinot Nero e Chardonnay in minima percentuale. Metodo Classico di grande spessore, un perlage raffinato per una beva coerente al naso, di fragoline e piccoli frutti rossi, sottofondo di pan brioche, confetto. Il finale persistente, sapido e avvolgente.
Azienda Agricola Pontevignola, a Ceprano, che produce Maturano, Lecinaro e Malvasia, da vigneti antichi autoctoni, per vini ricchi di sapidità, eleganza ed equilibrio. Il 6-30 nasce di Lecinaro, Cabernet e Merlot per un vino caldo e avvolgente, esprime una prugna matura, ma anche balsamicità che lega bene con le note erbacee. In bocca pieno, la potenza alcolica si districa bene con la rotondità del tannino.
Murgo, nel gotha mondiale della spumantistica, con sede a Catania ma che nel Lazio si difende bene grazie alla versione ferma del Nero Buono. La versione Brut spumantizzata è stata una delle nostre ultime esperienze gustative ultimamente a Lazio Wine Experience. Dal 1860, si producono vini di grande spessore, dalla Sicilia la sapienza della famiglia Scammacca si è spostata nel Lazio, prendendo a cuore le sorti della Tenuta La Francescana ad Aprilia, dove si valorizzano gli autoctoni, che andiamo ad assaggiare oggi: al naso ha un bouquet affabile di ciliegia e susina matura, il sorso è agile e la liquirizia sul finale impreziosisce. Sembra quasi di stare all’interno delle grotte sotto la tenuta, un luogo mistico che fu rifugio durante la Seconda guerra mondiale e che oggi rende il terreno molto adatto alla coltivazione della vite, e alla sua maturazione.
Last but not least Donato Giangirolami, azienda di Cori, 80 ettari di cui 38 vitati, tecnologia all’avanguardia come pressatura sottovuoto (vacuum system), conduzione biologica, troviamo molte varietà, dal Merlot al Petit Verdot, Montepulciano e Nero Buono e tra i bianchi la Malvasia Puntinata che andiamo ad assaggiare. Il Cardito è una valida interpretazione di questi territori, suolo vulcanico, giallo paglierino con riflessi dorati, persistente sapidità, al naso fresco di fiori bianchi, una beva intensa, frutta bianca matura, una pesca che arriva all’agrume, ben delineato come prodotto coerente del terroir da cui nasce.
Tempo tiranno ci costringe a lasciare il Mercato di Via Giolitti, ma vogliamo vivamente ringraziare Vinario4, rete di professionisti nata nel 2019 dalla comune passione per il vino. Un obiettivo costante è la divulgazione esatta delle aziende e delle loro precipue caratteristiche, attraverso eventi e incontri che coniughino gli interessi degli operatori del settore e del pubblico. In questo caso, lo ribadiamo, l’organizzazione è stata ineccepibile, la scelta del luogo apprezzabile sia esteticamente ma anche logisticamente, al centro della città, cuore pulsante di Roma, arricchita da food corner che innegabilmente invitano all’assaggio dei vini, in un rincorrersi di gusti che sembrano non esaurirsi mai. Un augurio vivissimo a tutto lo staff, nella speranza di incontrarci di nuovo presto.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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