Belgio: approvata una legge che legalizza la prostituzione

Di Jean Pierre Stroobants 

Una legge entrata in vigore mercoled’ 1 giugno consente alle prostitute di beneficiare di diritti in termini di status, protezione sociale e salute come gli altri lavoratori autonomi.

Sarebbero 3.000 in Belgio secondo stime più o meno ufficiali, sette o otto volte di più secondo gli studi effettuati sul campo: le lavoratrici del sesso (TDS) occasionali o regolari stanno vivendo, in ogni caso, una rivoluzione dal 1 giugno. Una legge votata a marzo dai deputati ed entrata in vigore mercoledì consente loro, infatti, di uscire dall’illegalità, di vedere depenalizzata la propria attività e di beneficiare di diritti in termini di status, protezione sociale, salute, ecc.

Queste disposizioni, volute dal ministro federale della giustizia Vincent Van Quickenborne, liberale fiammingo, fanno del Belgio il primo stato europeo ad adottare tali misure e il secondo al mondo dopo la Nuova Zelanda. In futuro, le prostitute (donne, in una proporzione del 95%) avranno gli stessi diritti degli altri lavoratori autonomi, compreso il diritto alla previdenza sociale, alla disoccupazione, all’accesso all’assistenza sanitaria, al congedo di maternità, ecc. E inoltre “tutti i terzi che sostengono la loro attività non possono più essere perseguiti, se non in caso di anomalo profitto”, sottolinea l’associazione Utsopi, che dal 2015 si batte per i loro diritti.

Fino ad ora, un banchiere, un contabile, un assicuratore, un consulente legale o anche un web designer che avrebbe aiutato una prostituta potevano, infatti, essere considerati autori di un reato. Proprio come i proprietari di una dimora che ha ospitato la sua attività. In futuro, non rientreranno più nell’ambito di applicazione della legge, a meno che non realizzino profitti eccessivi addebitando – come spesso accade – affitti superiori al normale. “È la fine della legge della giungla”, si rallegra Daan Bauwens, direttore di Utsopi.

“Le donne che lavorano non vanno più stigmatizzate”
Concedere uno status alla prostituzione libera, considerandola un lavoro con diritti e doveri, è il modo migliore per combattere la prostituzione forzata, ha affermato Van Quickenborne. “Le donne che lavorano non dovrebbero più essere stigmatizzate, sfruttate, dipendenti”, ha affermato. Una minoranza in Parlamento non ha approvato la sua iniziativa, ritenendo che allentando il diritto penale, al contrario, faciliteremo l’attività delle reti di traffico di esseri umani.

Spesso descritto come “un vago manicomio”, il regno merita questa qualifica per il trattamento che ha riservato finora alla prostituzione. Regolato da una legge del XIX secolo che vietava “adescamento, incitamento alla dissolutezza e sfruttamento della prostituzione”, era infatti tollerato e visibile a tutti in alcuni quartieri di Bruxelles, Anversa o Liegi. Sviluppando un proprio regolamento, città e paesi avevano anche stabilito, nel tempo, un proprio regolamento e deciso di tassare questa attività, che si presumeva tuttavia vietata.

Alcune prostitute dovevano, inoltre, svolgere un’attività retribuita come “massagiatrici” o “cameriere“, ma non godevano dei consueti diritti sociali come ferie annuali, assicurazione sanitaria, pensione, ecc. La “gestione” del settore è stata, è vero, sempre equiparata all’approvvigionamento ma ha anche beneficiato della famosa tolleranza. Non si faceva quindi distinzione tra gestione e sfruttamento: era impossibile imporre regole a un settore etichettato nel suo insieme come criminale…

Repressione più severa del sfruttamento della prostituzione
L’atteggiamento delle autorità era infatti volto a rendere il più difficile possibile la prostituzione, a scoraggiarla privando di status coloro che la praticavano. Lo sviluppo dei social network e della pubblicità online incontrollata ha ovviamente infranto questo modello, che differisce da quello della Svezia (divieto) o da quello dei Paesi Bassi (legalizzazione regolamentata, previa autorizzazione). Anche le associazioni belghe si sono battute contro la criminalizzazione del cliente decisa in particolare dalla Francia, nel 2016. “Una scelta ideologica, che promuove l’emarginazione dei TDS, il loro isolamento e incoraggia la tratta di esseri umani”, giudica Utsopi.

La riforma è accompagnata dalla promessa di una più severa repressione del sfruttamento della prostituzione e degli abusi sessuali. Le sanzioni per stupro saranno raddoppiate – vanno da un minimo di sei mesi a un massimo di dieci anni – e le circostanze aggravanti (violenza sul partner o su un minore, somministrazione di psicofarmaci, abusi di gruppo, ecc.) comportano automaticamente una pena di almeno cinque anni.

Anche il concetto di consenso viene rivisto: senza il consenso esplicito di una persona, qualsiasi rapporto sessuale con essa sarà punibile. La maggiore età sessuale (16) non cambia, ma una relazione con un minore di età pari o superiore a 14 anni sfugge alla sanzione se la giovane donna o il ragazzo acconsente e il suo partner non ha più di 17 anni. Infine, la nozione di voyeurismo si estende alla diffusione di immagini intime.

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