SullaStradaDelVino a Rome Wine Expo

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Rubrica a cura della giornalista Susanna Schivardi e del sommelier Massimo Casali

Il Barcelò Aran Mantegna apre le sue porte ad un evento di quattro giorni, dedicato a diverse aziende italiane e internazionali, in un contesto rilassato e piacevole, coordinato dal 20 al 23 maggio, nella cornice romana declinata alla sua massima espressione primaverile. Non potevamo mancare e infatti, pur essendo il terzo evento della settimana, abbiamo onorato soprattutto l’invito arrivato direttamente da Gabriele Pezzuto export manager di Beni di Batasiolo, a cui è stato riservato un banco di assaggio all’interno della sezione dedicata al Nebbiolo.

Come non ricordare Riserva Grande, Associazione che si è occupata dell’organizzazione di questo evento, ospite di cantine e aziende vinicole ma anche di operatori food e agenzie di rappresentanza, in un concerto di energie che hanno puntato sulla centralità del vino e di tutte le sue caratteristiche in base alle zone di provenienza.

Appassionati, winelover, operatori del settore sono stati accolti per degustare ma anche immergersi nel mondo del vino attraverso le curatissime masterclass alle quali non abbiamo sfortunatamente partecipato, dedicate tanto per citarne alcune all’Alto Piemonte, al Barolo di Sergio Germano, alle comparazioni alla cieca di Cesanese, alla retrospettiva ampelografica della Malvasia Puntinata e la presentazione dell’Associazione ORV, Oltre le Radici della Vite, con sede a Orvieto.

Proprio da loro vorremmo partire, perché è il primo banco dove ci soffermiamo, incuriositi di assaggiare l’Orvieto proposto dalle cinque cantine che aderiscono alla Rete di Impresa ORV. Un ventaglio di ben tre tipi di terroir per un’unica varietà, l’Orvieto, che in prima battuta andiamo ad assaggiare nella versione Classica Superiore 2020 dell’azienda Madonna del Latte, nata su terreni sabbiosi e ricchi di minerali, arricchita da una cantina scavata nel tufo e ideale per i tonneau in legno e l’affinamento. Soprattutto una realtà che nasce dalla ferma volontà di Manuela Zardo e Hellmut Zwecker, che nel 2000 dopo aver viaggiato come giornalisti enogastronomi, si sono fermati a Orvieto e hanno creato Madonna del Latte. Leon, il loro figlio, si specializza in enologia in Austria e semina le sue esperienze in tutto il nord d’Italia. Da qui a diventare titolare di un’azienda che produce 20mila bottiglie l’anno non ci vuole molto, anche perché Leon non vuole strafare ma opera sempre nel massimo rispetto della natura, lontano dalla chimica e dai diserbanti, in attesa che la burocrazia gli riconosca il marchio biologico. Il vino che ci propone oggi è coerente con il terroir molto sabbioso e vulcanico, striato di crete piene di limo dalla roccia biancastra. Quindi giallo paglierino alla visiva per un’amplificazione minerale al naso con note floreali, la freschezza che conduce alla beva sapida, di struttura e persistente.

Seconda azienda a cui dedichiamo attenzione è Le Velette. Lunato, Orvieto Classico Superiore 2020, da terroir vulcanico, al naso più gentile del precedente, versatile, elegantemente declinato in mela golden e albicocca, in bocca ci stupisce con una bella sapidità verticale, un’avvolgenza calda e ricca per una perfetta armonia di sensazioni. Qui ci immergiamo in grotte e cantine profonde nel tufo, che raccontano la storia degli Etruschi e della loro mirabile civiltà, ancora latrice di tante tradizioni e tanto colore, sapienza, cultura e concezione del mondo. Si respira a pieno la storia che permea queste mura, per un percorso che parte dal 1870 ad oggi, un vino che in sé racchiude la saggezza degli antichi e la tecnologia dei moderni.

Terza cantina è Azienda Neri, che sorge su un terreno calcareo e argilloso, esattamente a Bardano a due passi da Orvieto, e come tante aziende, anche questa racconta una storia di famiglia che negli anni ’50 acquista 42 ettari di terreno delineati da boschi, olivi e viti, ma solo nel 2000 con l’entrata del figlio si decide a vinificare parte dell’uva prodotta. Il Ca’ Viti 2020 di Grechetto e Trebbiano che assaggiamo oggi ci offre l’espressione di un blend che avviene solo a fine fermentazione in acciaio inox, delineando un profilo giovane, fresco ma deciso, un vino di medio corpo, armonico tra acidità e mineralità che in bocca si trasforma in persistenza dalle note fruttate tendenti al mandorlato, e una breccia di erbaceo che lo rende audace. Una vivace giovinezza che si sposa bene con piatti estivi e colorati.

Passiamo così al quarto Orvieto, con l’azienda Palazzone, Campo del Guardiano 2019. Su terreni di natura sedimentaria- argillosa la famiglia Dubini-Locatelli decide di impiantare 24 ettari affacciati di fronte alla bella rupe di Orvieto, e ad oggi con la terza generazione, Palazzone si merita un podio di prestigio tra le realtà vitivinicole del posto.  L’azienda si affida completamente alla bontà dell’uva per produrre l’Orvieto classico, un vitigno non facile, che richiede pazienza e continuità, più che scelte dai toni miracolosi. L’integrità di questo vino, già esatto nelle vinificazioni rudimentali fatte per la casa, incoraggia la produzione verso prodotti dal prezzo amichevole, proponendo però una qualità molto alta. Il Campo del Guardiano al naso molto complesso, coerente in bocca con un carattere setoso ma deciso, tendente all’invecchiamento, potrebbe arrivare a dieci anni senza problemi.

Per terminare, siamo con la tenuta Mottura, 130 ettari, di cui oggi 36 vitati, delimitati dalle colline argillose di Civitella d’Agliano e dalla pianura umbra bagnata dal Tevere. Sull’etichetta del loro Tragugnano 2021 appare un bell’istrice tipico di queste zone, animale gentile ed elegante, molto discreto che ama la terra sana e ricca, spesso in compagnia della coccinella altro animaletto amante degli ecosistemi salubri. Orvieto prodotto da un blend di varie uve indigene, da cui vengono selezionati i cloni più adatti, Procanico, Verdello, Grechetto e Rupeccio, in varia percentuale, che esprimono perfettamente il terroir con sentori dalle note profumate, una vaniglia al naso che in bocca diventa un ventaglio di spezie come timo e salvia, grazie anche ad un periodo di maturazione. Al palato molto complesso e persistente.

Lasciamo l’Umbria per tornare nel Lazio, precisamente a San Vito Romano, con il giovane titolare Alessandro Luciani, che ha preso i 3 ettari di vigneto dal nonno Renato, colui che gli ha insegnato tutto, a partire dal lavoro in vigna, dove Alessandro fin da piccolo mette i piedi e le mani. Le tradizioni non lo abbandonano e anzi ne fa tesoro per produrre i vini che assaggiamo qui oggi. Il Moro è l’azienda chiamata così da un soprannome di famiglia dato per la carnagione scura, qui abbiamo vecchie vigne anche del dopoguerra immediato, siamo nel ’49 e si operano degli innesti sugli autoctoni per salvare varietà indigene, senza cedere alle mode dei vitigni internazionali. Ne vale la pena, perché qui Bellone, Ottonese e Cesanese hanno davvero la loro da raccontare.

Il Bellone 2020, Eughen, dedicato allo zio Eugenio, prende sentori dalle uve in surmaturazione lasciate sulle bucce per 10 giorni e da un 25% di passaggio in legno, i 14 mesi in bottiglia lo affinano per arrivare ad un naso molto floreale, una pesca matura che rimane coerente in bocca. Il 2019 in bocca risulta rotondo, pieno, energico, avvolgente grazie ad una buona acidità e freschezza virile. Il Pentima 2020, di Ottonese al 90% e Bellone al 10%, fatto con uve dello stesso appezzamento da 75 anni, vinificate separatamente vengono poi riassemblate in acciaio, il colore giallo dorato, l’Ottonese molto acido viene ammorbidito dal Bellone, un accorgimento, questo, preso dal nonno. Per i rossi abbiamo un Cesanese di Affile, che ha poca resa e tanta qualità, dalla buccia spessa, ottima contro i patogeni, fa una macerazione di 20 giorni e 8/9 mesi sui lieviti, passando per acciaio, per poi rimanere almeno 12 mesi in bottiglia. Molto rotondo e dal tannino gradevole, lavorato alla perfezione. Diamo ragione al consiglio del giovane enologo incontrato tra i banchi di assaggio, Fabio Giuli, che ci ha indirizzato verso questa azienda giovane e promettente sul mercato.

Ci spostiamo nei pressi di Anagni per parlarvi di Casale della Ioria, rinomata cantina nell’area di produzione del Cesanese del Piglio, 30 ettari di vigneti, tutti figli di reimpianti per salvare l’autoctono, abbiamo il rosso Cesanese, l’estroversa Passerina bianca, e l’ultima arrivata l’Olivella. Assaggiamo subito il Cesanese Superiore DOCG 2019, al naso molto elegante, e in bocca riscontriamo un profilo deciso di frutta rossa poco matura, speziato, e un tannino per un vino importante dalla bassa resa per ottima qualità. Torre del Piano Superiore Riserva 2019, Cru di uve Cesanese selezionate, un’attenta vinificazione che prevede 6/8 mesi in barrique di massimo terzo passaggio. Alla visiva, colore rosso rubino, intenso, al naso molto elegante e profumato, si rivolge ad una vaniglia, e il corpo che sorprende per una struttura da vino di grande qualità.

Un saluto meritano Stefano e Gabriella dell’azienda L’Avventura, diventata realtà partendo da un sogno coltivato per anni. In località Piglio, vigneti e ulivi circondano l’elegante resort, arricchito da camere di grande charme. I primi 3 ettari e mezzo poi aumentano, delineandosi tra vitigni autoctoni quali il Cesanese del Piglio, la Passerina, ma anche il Pinot Nero, bella scommessa, per non dire del Metodo Classico Brut da Passerina, grazie alle origini bresciane di Gabriella. Noi oggi ci dedichiamo ad un Rosato di Cesanese del Piglio, che fa 14 ore sulle bucce e quindi dal colore molto intenso e al naso, infatti ci ricorda un rosso, anche nel lieve tannino che si affaccia al gusto. Dieci belle etichette ci rapiscono l’attenzione, così ci concediamo un altro calice, con Amor, un Cesanese che fa barrique per 6 mesi, e 2 mesi di tonneau, risultando molto profumato di rabarbaro e spezie, per un sorso molto leggiadro ma pieno ed elegante. Il Picchiatello ci attira pere il nome, dal gruppo di amici di amici di Stefano dalla vena evidentemente pazzerella. Cesanese del Piglio DOCG Superiore, dal colore rosso rubino con riflessi violacei, al naso spiccano pepe nero e spezie, e sul finale torrefazione che al gusto ci porta verso un tannino molto elegante e pulito. Vino elegante e armonico.

Con un rapido passaggio presso i banchi di Nebbiolo e Barolo, salutiamo il nostro caro amico Gabriele che con Beni di Batasiolo propone come sempre prodotti tra i più eccellenti degustati finora, ricordiamo che abbiamo dedicato all’azienda un lungo ed elaborato articolo di cui lasciamo il link.

Passiamo per Albugnano 549, dove finalmente abbiamo il piacere di assaggiare Carpinella Albugnano Doc 2017 di Pianfiorito, un rosso che ci regala note fruttate di prugna secca e viola, al gusto il vino è pieno, caldo e morbido, la tipologia del terreno compatta e calcarea regala al vino molta struttura, con tannini setosi ed eleganti.

Un saluto al nostro caro Paolo Carlo Ghislandi che ci regala un sorso della sua Berbera dell’azienda I Carpini, la sua signora come la chiama sempre, una bella donna che sa aspettare il tempo giusto per uscire fuori e difatti questo vino aspetta fino a dieci anni prima di vedere il mercato, vi assicuriamo ne vale la pena.

Un ringraziamento vivace a tutta l’organizzazione, ricordiamo che interviste e foto sono originali di Susanna Schivardi, le degustazioni a cura di Massimo Casali.

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***Foto di Susanna Schivardi

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