Itinerari Pugliesi – Sullastradadelvino tra Primitivo e Negroamaro in Puglia con Produttori di Manduria

Itinerari Pugliesi – Sullastradadelvino tra Primitivo e Negroamaro in Puglia con Produttori di Manduria

Rubrica a cura di Susanna Schivardi e Massimo Casali

Cooperativa di 400 soci e sviluppata su 900 ettari intorno a Manduria, oggi produce una larga quantità di vini, dove Primitivo e Negroamaro regnano sovrani, ma lasciano spazio anche ai bianchi come Fiano e Verdeca.

LA STORIA – un viaggio iniziato nel 1928

Le tappe che hanno portato alla grandezza attuale della rigogliosa azienda pugliese Produttori di Manduria possono essere raccontate in pochi passi, a partire dal lontano 1928 quando gli illuminati vignaioli del posto uniscono le forze nella Federazione Vini, che dopo quattro anni ed esattamente il 9 Luglio del 1932 diventa cooperativa con l’istituzione del Consorzio produttori vini e mosti rossi superiori da taglio per la zona di Manduria. Da qui a maggiori traguardi il viaggio non è breve né facile. I frutti di questa terra molto vocata al Primitivo andavano infatti ad arricchire le tavole dei francesi, che consumavano le bottiglie blasonate come quelle del Nord Italia, e dalla terra di Puglia arrivava il mosto che avrebbe dovuto ammorbidire e irrobustire come prodotto da miglioramento.

Dopo anni di prestigio, tanto che la Puglia poteva essere considerata l’Alto Adige d’Italia, arriva lo scandalo del metanolo che ne intorpidisce la fama, fino agli anni ’90 quando esplode una vera risalita all’Olimpo, realizzando quello che al Nord erano stati capaci di fare alcuni decenni prima. Giovanni Dimitri, direttore commerciale dell’azienda, è collegato con noi da Manduria per raccontarci proprio il momento di splendore della Cooperativa ed esaltarne le qualità. “In quel periodo avviene la grande metamorfosi, una filosofia del vino imbottigliato e non più solo da consumo locale. Il cambiamento di prospettiva è stato possibile grazie ad una serie di scelte coraggiose, il turismo era ancora rarefatto, e anche la produzione di vino in bottiglia marginale. Ma fu quello il momento di un patto allora considerato per così dire scellerato, tra coloro che ancora oggi sono i soci”. Oggi sono ben 400, tutti produttori di Primitivo, che vengono trattati a pari livello come membri fondamentali di una grande famiglia. Se si contano gli abitanti del posto e si fa un rapido calcolo, pare chiaro che un’intera area geografica dedichi la sua vita alla produzione dei vini di Manduria.

MAESTRI DI MANDURIA

I 900 ettari di oggi si sviluppano su buona parte dei comuni nell’areale di produzione del Primitivo di Manduria DOC e ogni singolo socio produce le uve che vengono conferite per la produzione dei vini con il marchio della Cooperativa. Il riferimento ai soci nella menzione Maestri in Primitivo, visibile anche sul sito, è un recupero del passato, pieno di storia legata al vino e specialmente a questo vitigno autoctono meraviglioso, il Primitivo, nella produzione del quale i vignaioli sono quasi dei talebani, conoscendone ogni singola pianta e ogni singolo appezzamento. Tutta l’uva per obbligo statutario deve essere conferita integralmente alla cantina, in cambio la cantina si impegna a non includere più alcun nuovo socio.

MANDURIA – la cantina e la doc

Manduria si trova proprio accanto al mare, nel sud della Puglia in posizione equidistante da Brindisi, Taranto e Lecce, un punto strategico dove fin dall’inizio il latifondo è stato cuore pulsante della nascita e dello sviluppo di questa immensa realtà, pensata dai grandi proprietari terrieri dell’epoca, e che oggi conosce un’esportazione rilevante in più di 40 paesi, e teatro di una crescita che in cinque anni passa da circa 600.000 bottiglie a ben 2.000.000. Un nome e una Doc che coincidono, il come e il dove in una sintesi perfetta.

La bellissima cantina è ancora quella del primo nucleo, e il vino Primitivo di Manduria DOC si chiama così perché nelle vicinanze si trova la stazione da cui partivano i vagoni treno, con l’indicazione della località. Il vino che partiva verso il Nord era semplicemente il “Manduria” ancor prima che la Doc nascesse.

LA PRODUZIONE – tradizione e innovazione

Giovanni Dimitri lavora in cantina da 6 anni ma conosce il mondo del vino da 20, dopo una lunga esperienza in Toscana torna in Puglia e qui rimane innamorato del posto e dei suoi frutti. Tradizione ad alberello mai dismessa, Manduria produce Primitivo, Negroamaro ma anche il bianco, con Fiano, Minutolo e Verdeca, che stanno mietendo stupore in tutto il mondo. Dimitri li chiama i vini pop, insieme al rosato che Massimo tempo fa ha già assaggiato, l’ottimo Aka.

I bianchi, come ci dice Giovanni, appartenevano un tempo più alla zona interna, su rilievi di almeno 400 mt s.l.m. della valle d’Itria, a cavallo tra Costa Ionica e Adriatica, ma da qualche anno la produzione si è spostata vicino al mare dove i vini acquistano sapidità e freschezza grazie alla natura calcarea e sabbiosa del terreno. Complici la tecnologia, lo studio del terroir, le innovazioni che accompagnano costantemente la tradizione, in un percorso di recupero di essa ma anche di emancipazione dalla ruggine del passato. Dove la natura generosa regala la base da cui partire, così la mano dell’uomo migliora ed esalta con la scienza, la cultura e la ricerca. Il vino è un’esperienza culturale, non è un processo casuale. “Oggi non beviamo come i nostri bisnonni perché evolviamo, nonostante i vitigni siano sempre gli stessi, cambiano i metodi per avvicinarsi sempre di più ai gusti di oggi”. Un percorso di innovazione che comprende enologia ma anche gastronomia, in Puglia come in ogni altra parte d’Italia. In Puglia l’offerta, tuttavia è ancora molto genuina “il visitatore in Puglia si sente viaggiatore e non turista, è la sensazione di sentirsi come uno del posto”.

Il risultato nella produzione si costruisce in cantina e in questo l’azienda pugliese sembra essere davvero in pole position. Il team che segue la produzione è un gruppo di esperti che si occupano costantemente di comunicare con i soci e indicare le direttive da seguire per un prodotto ottimale. I disciplinari sono legge e ciascuno rispetta con attenzione il focus e gli obiettivi. La socialità è uno slogan che sigla la natura della cooperativa, una goliardica partecipazione che sfocia in eventi, feste e commemorazioni legate a frange artistiche e storiche direttamente connesse alla regione e alle sue tradizioni.

Il Primitivo ha una natura generosa ma anche difficile, non è un vino per tutti i giorni e produrlo ha bisogno di mano esperta e cauta. Nel tempo le lavorazioni hanno ammorbidito la sua ruvidezza e lo hanno reso più elegante, appetibile, ma rimane comunque sempre un puledro indomito, ribelle e impareggiabile.

Lo andiamo ad assaggiare in varie declinazioni, che la cooperativa ci ha inviato come campionatura di eccellenze, ma prima di addentrarci nel mondo del rosso, andiamo a conoscere i bianchi che ci attirano con nomi ed etichette assai esotici.

Zin e Alice, i bianchi proposti quest’oggi e definiti da Giovanni Dimitri vini pop, nel senso alto della parola, “un’accezione del termine che indica un messaggio che si apre ad un pubblico grande, dicendo qualcosa senza essere banali, un po’ come avviene nell’arte e nella musica”. Vini non cerebrali ma che accompagnano in maniera fresca e piacevole il finire della giornata.

Analisi gustativa con Massimo Casali

Tra i prodotti un assente giustificato, l’Aka, il rosato che abbiamo nominato, non inviato per motivi logistici ma di cui vogliamo ricordare le caratteristiche “color rosa corallo, al naso frutta rossa, ciliegia e frutti di bosco e note floreali di rosa soprattutto, sempre arricchito da una buona mineralità. In bocca un buon corpo e freschezza. Ottima anche la persistenza. Lo abbiniamo a ostriche o ad un primo piatto di pesce”.

Tra i bianchi in degustazione il primo che apriamo è Alice. Verdeca in purezza, nonostante in passato fosse un’uva poco amata, tanto da essere utilizzata per allungare il Vermouth. Oggi invece la troviamo in questo prodotto dalla freschezza e mineralità davvero accentuate, dove spiccano profumi di fiori bianchi e agrumati. Non mancano gli accenni balsamici. In bocca troviamo un’ottima intensità, dove le note minerali e floreali sono accompagnate da accenni rotondi di frutta matura. Equilibrio nell’acidità e di buona persistenza questo vino si sposa bene con orata al guazzetto o tartare di tonno.

Il nome Alice e l’etichetta che lo ricalca sono un richiamo al mare che lega in un unico filone anche Aka, che in giapponese significa rosso ed è anche il nome di un corallo molto noto per il suo colore acceso. Alice è simbolo del pesce molto comune nel Mediterraneo e il disegno è un fregio che impreziosisce l’aspetto esteriore di un prodotto che non ci delude.

Come del resto lo Zin che apriamo a seguire, una bottiglia che si vanta di un’etichetta alquanto originale. Il guscio di un riccio, come tanti se ne trovano sulle spiagge d’inverno, che viene descritto nel retro dell’etichetta attraverso la citazione di un lemma di un dizionario in dialetto ligure, perché zin appunto in genovese significa riccio. Il mare onnipresente in questi bianchi che sprigionano un carattere che nulla ha da invidiare ai rossi.

Zin è un Fiano, blendato al 10% col Minutolo, al naso rotondo e minerale, sprigiona frutta matura, mela golden e pesca bianca. In bocca ottima l’intensità. La spalla aromatica è sicuramente data dal Minutolo in aggiunta rispetto al fratello Alice che è Verdeca in purezza. In bocca sapido e con un finale mandorlato. Buona la persistenza. Lo abbinerei ad un tagliolino all’uovo con datterini e polpa di orata. Oppure ad un’ottima zuppa di pesce.

Con i rossi apriamo un capitolo a parte, perché qui davvero entriamo nel vino di Manduria.

Il primo ha un nome intenso già in sé, ossia Memoria, come componimento letterario in cui si evocano ricordi del passato, al pari questo vino fa riaffiorare sensazioni lontane in chi lo beve. L’intensità al naso è piena di frutti rossi di bosco e prugna, oltre a profumi di cacao e pepe nero. Non manca in bocca una mineralità intensa e corposa, capace di avvolgere tutto il palato con sapori di mora, prugna e spezie. Il tannino è morbido e di ottima qualità. Affina in vasche di acciaio. Da abbinare a gulasch di manzo o fettuccine al ragù.

Come secondo rosso abbiamo un Abatemasi, nome preso dalla località dove si incontrano Negroamaro e Primitivo per dare vita a un’uva importante raccolta a metà settembre. Il 10% di Primitivo potenzia e ingentilisce in questa bottiglia il Negroamaro e a completarne il gusto ben 12 mesi in barrique di rovere. Colore di un bel rosso rubino. Al naso non percepiamo assolutamente la parte alcolica nonostante questo vino possiede una gradazione di 15°.

La frutta rossa prende il sopravvento con mora, ribes e prugna secca, stupendoci con una parte morbida di vaniglia e cannella, senza far mancare il tabacco e il cacao.

In bocca la frutta avvolge il palato aiutata da una buona acidità. L’alcol che qui arriva a 15% è ben equilibrato e integrato. L’astringenza è causata dal tannino presente ma di buona qualità. Da abbinare a piatti come fiorentina alla brace e tartare di filetto.

Con Elegia si continua il filone letterario/poetico che distingue queste bottiglie in un’ottica di emancipazione già iniziata negli anni ‘90. Composizione di sei + cinque, ossia esametro e pentametro che si alternano come nella migliore tradizione greca e latina, questo vino è un capolavoro enologica, con il suo Primitivo in purezza e l’affinamento di 12 mesi in barrique. Al naso siamo invasi da mirtillo e prugna secca, nonché mora. Presenti anche la vaniglia, il pepe nero e la noce moscata.

In bocca arriva tutto il carattere di questo vino corposo e strutturato, dove tuttavia frutta rossa e fiori regalano morbidezza equilibrata con acidità e ottimi tannini. Nel finale una vaniglia che accompagna ogni sorso. Da abbinare ad uno spezzatino di manzo alla cacciatora, e come ci consiglia Giovanni Dimitri, un agnello al forno con patate e una spolverata di pecorino a fine cottura.

Sonetto è l’ultimo vino che ahinoi apriamo questa sera. Come una poesia, stavolta composta da quartine e terzine, questo rosso è una punta di diamante nella produzione enologica dell’azienda. Prodotto dalle uve proprio limitrofe alla cantina, quelle che nascono sugli alberelli eroici che si sono salvati all’estirpazione, con tronchi consumati dal tempo e ormai di vetusta memoria. Qui avviene una raccolta di 35 q/h al massimo, quini una resa eccezionale per un vino di questo calibro. Fermenta in cemento e macera sulle bucce, da qui 24 mesi in legno. Questo è l’unico vino su cui si spinge veramente, abbiamo oggi il 2015 ma è ancora relativamente giovane, sarebbe bello aspettare 10 o 20 anni e vedere come diventa.  Al naso è molto intenso, ci regala mora molto matura, prugna e sul finale una scorza di arancia. Tabacco, cacao e pepe nero insieme ad una buona balsamicità. In bocca avvolge con quella tipica acidità che preclude ad un ulteriore invecchiamento con risultati ottimi. Infine il tannino vellutato proietta questo vino al top delle eccellenze italiane. Abbinarlo non è semplice perché qui c’è bisogno di tanto corpo, quindi un brasato o spezzatino di cinghiale. In inverno può fare il pari anche con una castagna o una buona cioccolata rigorosamente amara.

Un saluto ancora alla Puglia, ricordando che la cantina è sostenibile come da certificazione in chiaro, come sottolinea Giovanni Dimitri, con ingenti energie investite proprio in ogni passaggio della filiera. Salutiamo il nostro ospite con l’augurio di vederci un giorno di persona.

***Foto e video forniti dall’azienda – intervista a cura di Susanna Schivardi e degustazione con note tecniche a cura di Massimo Casali

DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO

Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

Lascia un commento

Your email address will not be published.