Vittorio Sgarbi incanta il Teatro Olimpico col suo “Dante Giotto e l’amore” – in scena fino al 12 Dicembre

Vittorio Sgarbi incanta il Teatro Olimpico col suo “Dante Giotto e l’amore” – in scena fino al 12 Dicembre

Recensione della nostra inviata Susanna Schivardi

Serata di incanto e potenza quella che Vittorio Sgarbi con “Dante Giotto e l’amore”, al teatro Olimpico fino al 12 dicembre, riserva al pubblico silente e attento, incollato alla poltrona per ben due ore e mezza senza interruzioni. Il buon critico d’arte ormai abituato a queste lunghe performance da lui collaudate, con monografie dedicate ai grandi pittori del Rinascimento e non solo, o con gli arditi parallelismi come quello tra Pasolini e Caravaggio, monologhi di livello altissimo come solo lui può immaginare e mettere in scena. Un quadro in un quadro, quello di Sgarbi al leggio e fogli alla mano, per innescare un duetto audace e affascinante, un Dante e Giotto che quasi tutti si aspettavano, specialmente dopo i 700 anni dalla morte del sommo poeta. La carrellata artistica che ci attende è colma di sapienza e delizia, ma non senza prima dedicare una sorta di breve prologo innescato dal disappunto del nostro, verso la cosiddetta transizione ecologica, unico cammeo politico che il critico si concede per cantare una volta ancora le bellezze, ahi noi, deturpate d’Italia. Paesaggi infestati di pale eoliche in nome di un discutibile approdo alla green economy che all’Italia pare un torto più che un beneficio.

E’ breve il passo per ricordare che viviamo in un’epoca di luce, commenta il nostro, dai primi del ‘900 quando fu introdotta l’elettricità che cambiò le vite di tutti. A celebrarla i Futuristi, fiduciosi nel progresso e nel vitalismo, mentre ci accorgiamo oggi, dopo tanto frastuono, che non c’è nulla di più poetico del lume di candela a rendere i pensieri più intensi. Sulla scia di questo argomentare lirico, Sgarbi propone come prime suggestioni iconografiche quelle legate a Gioacchino e Anna, storia che Giotto mirabilmente raffigura nella Cappella degli Scrovegni, manifestando per la prima volta la potenza dello spazio e della prospettiva, e soprattutto donando finalmente ai volti caratteristiche umane e profondamente segnate dai sentimenti, come mai prima. Volti contriti, occhi gaudenti, corpi preoccupati e slanci, tutto quello che fino a quel 1300 circa non era mai stato raccontato in pittura. Giotto lo fa, immensamente, affabula disegnando, come Dante disegna con la  scrittura. Quella lingua eletta dal Bembo insieme a Petrarca e Boccaccio per tracciare una linea continua che arriva fino ai nostri giorni, perché l’Italia non è stata fatta nel 1800 ma è il ‘300 a segnarne la vera aurora.

Sgarbi non disdegna tracciati pindarici, che lo conducono, ad un tratto, al suo amato Morandi, nel parallelismo delicatissimo con l’intimo Petrarca, già che entrambi raccontano le proprie malinconie interiori attraverso opere immortali nei secoli. Gli stessi secoli che Giotto e Dante attraversano incolumi, laddove solo l’arte può avvicinare all’essenza di Dio, nel momento in cui l’artista dopo la sua morte lascia parole e immagini a ricordarci l’eterno.

Il pubblico ancora rapito dalla densa e dettagliata spiegazione delle opere pittoriche di Giotto, viene traghettato da intermezzi musicali con violino, viola e live electronics abbinati a video installazioni concitate, verso il terzo canto del Paradiso, dove Sgarbi inietta un entusiasmo feroce nei confronti di una figura femminile dal candore inestimabile, una Piccarda che pare davvero toccare le sue corde più profonde. Piccarda è una suora che viene strappata ai sacri voti per volere di uomini malvagi che le impongono un matrimonio combinato, e in questo angolo di Paradiso ci appare come la più umile delle creature, eppure la più sublime. Raffigurata nelle bellissime vestigia statuarie del Bastianini, scultore ottocentesco, con un’aria mesta ma beata, che guarda il basso ma tende in alto con un’anima pura. Amore verso Dio assoluto, che coinvolge sul finale anche un Dante fino a quel momento incastrato nella sua visione profondamente umana, quella dell’insaziabile sete di traguardi sempre più alti.

Chi meglio di San Francesco può esattamente rispecchiare questo voto estremo, se non quel santo proprio raffigurato da Giotto ad Assisi, dove in una pittura meno elegante degli Scrovegni ma tuttavia già potente, Francesco emerge in tutta la sua perfezione, nel completamento altissimo di un’esistenza dedicata a Povertà. Amore verso l’Altissimo è celebrato in Dante e Giotto parallelamente e con derive alterne ma tutte unite da fili conduttori riconoscibili. Come nell’ultimo affresco che Sgarbi ci regala, un omaggio solenne alla Maestà di Ognissanti a Firenze  di Giotto, dove Maria appare in tutta la sua donnità diremmo, disegnata con profondo senso dello spazio, con le sue forme, i seni, le vesti, e il volto consapevole, tridimensionale, e non più piatto come nelle raffigurazioni bizantineggianti di Cimabue e Duccio da Boninsegna. Tra le santità immense di questi capisaldi della Cristianità, non potevano mancare i due peccatori noti all’intero mondo, Paolo e Francesca che Sgarbi sceglie come estrema ratio di un sentimento che non cede nemmeno di fronte ai tormenti dell’Inferno. Quanto a raffigurazione meglio non avrebbe potuto fare il futurista Previati che con il pennello insiste su queste onde e questi corpi fluidi in movimento, a ricordare la furia del vento in cui le anime del girone degli adulteri pagano il prezzo  delle loro passioni sensuali.

Eppure non riusciamo a condannarli così come il poeta ne rimane incantato e muove quasi a compassione. E noi con lui. Con la meraviglia che ogni volta suscita la Pietà di Michelangelo si conclude questo viaggio che chiosa con la Vergine giustapposta alla Maestà di Giotto sopra citata,   assist perfetto alla preghiera di San Bernardo alla Vergine nell’ultimo canto del Paradiso, dove la madre di Gesù è simbolo estremo di Amore, luogo di confluenza tra Cielo e Terra. Alla nascita del Bambino quando fiera lo appoggia sulle ginocchia e il suo volto risplende in mezzo agli ori ormai sbiaditi rispetto allo splendore della ricerca giottesca, e d’altra parte la Pietà in cui la Madonna appunto “figlia del figlio”, sembra una diciottenne che non soffre con il corpo di Cristo morto in grembo, ma sa bene che diversa sarà la storia e quindi non si acciglia. E’ questo un monumento all’Amore assoluto, alla Cristianità, al valore eccelso di due colonne come Giotto e Dante che insieme anticipano e già elaborano il Rinascimento, lasciando ai posteri un’eredità talmente spropositata che ancora oggi ne risentiamo l’eco.

Un uomo tra i grandi, il nostro Sgarbi congeda con i saluti opportuni e i ringraziamenti alla squadra che ha reso possibile lo spettacolo, omaggio all’arte e alla cultura, semplicemente perfetto. Musiche originali ed esecuzione dal vivo di Valentino Corvino. Da un’idea di Sabrina Colle.

Repliche a Roma fino al 12 dicembre.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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