Di Padre Maurizio Patriciello
«Appello agli influencers: aiutiamo ad aiutare a far nascere e a non fare aborti», aveva twittato don Mirco Bianchi. La risposta di Fedez non si è fatta attendere: «Appello a tutti i preti: non rompete le p. alle donne che scelgono di abortire. Grazie». Sono un prete anch’io. Il colorito invito, quindi, è rivolto anche a me. Quanto siamo strani. Ci sono servizi alla vita che i preti rendono – nel mondo della tossicodipendenza, della prostituzione, della povertà che si fa miseria, eccetera – che suscitano applausi e incoraggiamenti; e altri, invece, che ricevono solo denigrazioni e male parole. Il mondo va così.
Ognuno vive secondo i ‘suoi’ valori e si spende per quello in cui crede. L’aborto è, e sempre rimarrà, un pugno nello stomaco per tutti, credenti e non credenti. Per il semplice motivo che dentro ogni storia d’aborto oltre alla donna e al suo diritto c’è un altro essere umano, piccino piccino, che, come tutti noi, reclamerebbe il diritto di nascere se solo gli dessimo modo e tempo. Argomento spinoso, l’aborto; talmente spinoso che per alcuni è meglio non parlarne più. Non credo, però, che sarebbe un bene. Non lo credo non perché me lo impone il mio essere prete, ma perché in questo momento davanti ai miei occhi stanno passando i nomi, i sorrisi, i volti di tantissimi bambini nati anche grazie all’impegno mio e della mia comunità. In questi anni, infatti, decine di donne sul punto di abortire sono ritornate sui loro passi, hanno cambiato idea, hanno portato avanti la gravidanza e hanno messo al mondo un bambino o una bambina che oggi è la luce dei loro occhi.
Donne che non smettono di ringraziare questo povero prete che «non si fece i fatti suoi». Sarebbe falso, fuorviante, ipocrita, pensare che tutte le donne che decidono di abortire, lo stiano facendo per il medesimo motivo, o che hanno tutte la stessa, granitica, convinzione. Non è vero, e lo sanno bene tutti coloro che operano in questo campo. Alessandra, mia collaboratrice, conserva con amore le fotografie di questi bambini, delle loro mamme, del loro battesimo. Io no, dopo aver fatto quello che potevo fare e, da credente, affidato tutto nelle mani del buon Dio, cerco di dimenticare.
Ma non è semplice. Vedere i piccoli sgambettare in chiesa, seguirli nella loro adolescenza, ritrovarmeli di fronte ormai adulti, mi commuove sempre. Ma credo – e lo dico senza nessuna ombra di ipocrita ironia – che commuoverebbe anche il signor Fedez e chiunque inneggi all’aborto facile. Penso che sia una questione d’amore. Dimmi in che cosa credi e ti dirò per che cosa lotti. Qualche domanda, allora, s’impone: «Quanto vale la vita di una persona? È giusto chiudere gli occhi nei confronti di una donna che decide di abortire in un momento tanto delicato?». Naturalmente, le risposte saranno tante e tanto diverse tra loro.
Ognuno fa le sue scelte, tra cui quella di non scegliere. Io, prete, ho fatto la mia e ne vedo i frutti. Se la vita di un bambino ha un valore immenso, nel mio piccolo ho permesso al mondo di godere di inestimabili tesori. Io non so che cosa sia davvero la gioia, ma sono convinto che debba somigliare molto a quel sentimento che tante volte ho provato nello stringere tra le braccia un neonato che aveva corso il rischio di non nascere.
No, non penso che la ragione stia dalla parte di chi grida più forte. In genere è sempre il contrario. In Italia abbiamo una legge che dovrebbe aiutare a riflettere le donne che chiedono di abortire; poi, dovrebbe farsi carico dei loro problemi, anche – e sottolineo – economici, per evitare l’aborto; infine, quando ogni tentativo fosse risultato vano, obtorto collo, malvolentieri, le si concede di abortire in ambiente sicuro, ospedaliero. In questi anni abbiamo visto che non è stato così; che la legge 194, nella sua prima parte, non sempre è stata osservata. Tutti possiamo fingere di non vedere i poveri e i deboli, e tirare avanti per la nostra strada. È tanto comodo. Ma c’è chi non ci sta e si ferma a dare loro aiuto. Durante i mesi in cui eravamo in clausura forzata, alcune persone, che non conosco, in preda a una terribile crisi esistenziale, avevano pensato di farla finita. Attraverso il mondo dei social, mi hanno chiesto aiuto.
E il prete non si è tirato indietro. Non è stato semplice, da lontano, eppure il dialogo che ne è seguito, il rispondere alle loro chiamate a ogni ora del giorno e della notte, ha fatto superare loro quel terribile momento e hanno ripreso a vivere. Che gioia. Per tante donne in procinto di abortire è stata la stessa cosa. Un aiuto concreto, una mano amica, una spalla su cui poggiare la propria fragilità, la promessa di rimanerle accanto anche dopo, ha regalato ai loro genitori e al mondo un essere umano unico e irripetibile.
***Pubblichiamo su gentile concessione dell’autore – articolo originale su: Avvenire
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