Il senso di colpa

Il senso di colpa

Di Sergio Ragaini

Il senso di colpa, come diceva anche Karl Riedl, Maestro nella Tradizione Zen Vietnamita di Thich Nhat Hanh, ci fa vivere nel passato, facendoci credere che quel passato possa essere cambiato. È quindi un sentimento distruttivo, che va ad impedirci qualsiasi spostamento verso il divenire. Quello che, invece, occorre fare, è prendere coscienza degli errori compiuti, per comprenderli e non ripeterli. Tuttavia, il senso di colpa viene fortemente indotto oggi, nella situazione attuale. Prenderne coscienza, qui, è forse la chiave giusta per uscire davvero dalla situazione in cui ci troviamo ormai da oltre un anno, riprendendo in mano la nostra esistenza, e vivendo in maniera gioiosa e responsabile.

Il senso di colpa è quella cosa che fa vivere nel passato, credendo che, continuando a pensarci, il passato possa essere cambiato.

Questa frase è di Karl Riedl, Maestro nella Tradizione Zen Vietnamita di Thich Nhat Hanh. In quell’occasione ero a Pomaia (Pisa), all’”Istituto Lama Tsong Khapa”, il più grande Centro di Cultura Tibetana d’Italia, e tra i principali d’Europa. Ed era l’estate 2005.

L’incontro non era nella Tradizione Buddhista Tibetana, ma, appunto, in quella Buddhista Zen Vietnamita di Thich Nhat Hanh. Questo però non era importante: lo stesso Karl Riedl, e la moglie Helga, erano prima praticanti in quella tradizione, con la quale mantenevano ottimi rapporti, al punto da essere lì invitati a tenere i loro ritiri. Il Mondo Buddhista è un insieme di scuole e tradizioni anche molto diverse tra di loro, e tuttavia con dei capisaldi ben precisi al loro interno. Che, con le varie differenze, le accomunano. Ovviamente, quando parlo di “Mondo Buddhista” intendo quello vero, genuino, e non quello sicuramente discutibile di coloro che, apertamente, si definiscono “Buddisti” (senza la “h”), e riducono il Buddhismo a una recitazione quasi ossessiva di un mantra.

Queste persone, di cui non faccio il nome, perché chi è interessato avrà capito di chi sto parlando, hanno in sé anche simpatia: tuttavia, il Buddhismo è un’altra cosa, anche se può essere molto “semplificato”.

A parte questo inciso, che credo possa fare capire molte cose, il Mondo Buddhista ha, tra le sue caratteristiche, quella di eliminare il senso di colpa. La Tradizione di Thich Nhat Hanh, in particolare, parla di “vivere nel momento presente”, nel “qui ed ora” (“in the here and the now”, come lo stesso maestro afferma). Il senso di colpa fa vivere nel passato, non nel presente, perché porta la persona a considerare sempre un “se avessi fatto diversamente…”.

Il senso di colpa, tra l’altro, non è imparare dai proprio errori: questo è perfettamente corretto. Infatti, se una persona commette un errore che gli causa sofferenza, capirlo è la migliore occasione per non commetterlo più. Citando un altro Maestro Spirituale di valore, anche se “discusso”, quale è Osho, questi diceva che, se noi potessimo ricordare le nostre vite passate, potremmo vedere che abbiamo fatto sempre le stesse cose. L’Uomo non impara nulla dai suoi errori, e il fatto che la Storia si ripeta sempre, all’infinito o quasi, lo dimostra molto bene.

La capacità di imparare dai propri errori, quindi, è fondamentale. Tuttavia, questo non è “senso di colpa”. Il “senso di colpa” è proprio il contrario: rimanere all’infinito nell’errore compiuto, e non muoversi da lì. Appunto: vivere nel passato, senza andare avanti.

Rimanendo sempre nel Mondo Buddhista, cito un’altra meditazione che avevo avuto occasione, diversi anni fa, di fare con un altro maestro Buddhista, stavolta di Tradizione Theravada, la più antica (e per qualcuno l’originale). La meditazione si chiamava “Metta”, nome sanscrito per “Gentilezza Amorevole”. Ricordo il maestro quando indicava di dare Metta, come prima cosa, a sé stessi. Faceva quindi andare con la mente ad un episodio della nostra vita in cui un errore compiuto ci aveva causato sofferenza. Invitando a capire che, essendo uomini, non siamo perfetti.

Infatti, se è vero che siamo “scintille divine”, o, per dirla alla Buddhista, il seme dell’illuminazione è dentro di noi, è similmente vero che questo è “sommerso” da molta polvere, e che occorre un lavoro su di sé per farlo brillare ancora. Occorre, quindi, accettare che si possono commettere errori.

Inoltre, credo sia importante comprendere che, quando abbiamo commesso una scelta, in quel momento poteva essere la migliore, in base agli elementi che avevamo a disposizione.

Anche questo ricordava Karl Riedl in quel Convegno. “Col senno di poi”, come si suole anche dire, è molto facile decidere: tuttavia, nel momento del “senno di poi”, si hanno molti più elementi per decidere. E, soprattutto, qualche volta quella decisione deve avvenire “lì sui due piedi”, senza nemmeno tanto tempo per considerare e ponderare.

Un esempio può essere preso dal mondo del Calcio: spesso, quando viene commentata un’azione, vista alla moviola o comunque registrata, o anche in diretta, il commentatore dice cosa un determinato giocatore “avrebbe potuto fare”. Tuttavia, lo dice seduto, mentre sta comodamente guardando il tutto. E non considera che il giocatore, in quel momento, sta magari correndo, è affannato per quanto ha già fatto in precedenza, è forse marcato da qualcuno, e deve decidere in una frazione di secondo: non h, quindi, la stessa visione che può avere una persona che sta guardando l’azione. Insomma: è facile discutere da casa cosa avrebbe potuto fare qualcuno che, in quel momento, era in  ben altre condizioni, e ha fatto quello che, istintivamente, gli è sembrata la cosa migliore da fare, in quell’attimo, in quella frazione di secondo a disposizione per decidere.

Quando si ripensa al passato, alle scelte fatte, quindi, occorre considerare anche che, in un determinato momento, poteva essere molto più difficile operare delle scelte, e che, in quel momento, il tutto doveva avvenire in modo “simultaneo”. Cosa ben diversa da chi sta su una poltrona a discutere qualcosa che un’altra persona avrebbe potuto fare.

Discutere l’operato degli altri può essere utile, talvolta, per capire: tuttavia, occorre, come qui facevo notare, comprendere quali sono le situazioni e le circostanze in base alle quali la persona deve decidere. Circostanze che non sono di certo quelle di chi osserva “da fuori”.

Per questo motivo, frasi come “potevi fare così” hanno poco senso, perché pronunciate da qualcuno che, in un determinato momento,m non era lì a decidere. E la sua sensazione, di conseguenza, è ben diversa!

Lo stesso Karl Riedl, nel citato Convegno, affermava addirittura che la scelta che avevamo fatto era la migliore, in base agli elementi che avevamo a disposizione in quel determinato momento. Credo proprio che Karl avesse ragione: come dicevo prima, decidere “col senno di poi” ha poco significato, in quanto quel “senno” deriva anche dai maggiori elementi che abbiamo a disposizione.

E poi, come possiamo dire che la scelta fatta non sia “realmente” la migliore? Quando facciamo una scelta, l’altra strada viene abbandonata. Decidere è molto importante, e significa proprio “tagliare fuori”. Quando decidiamo, tagliamo fuori l’altra possibilità, quella che non scegliamo. Per questo, molti, evitando la responsabilità della decisione, non decidono mai, e vivono sempre in un eterno limbo sospeso, dove vorrebbero fare tutto simultaneamente, ed, essendo questo impossibile, non fanno nulla.

Quanto detto prima sulle scelte, quindi, è fondamentale da tenere presente: occorre scegliere. Tuttavia, per la Teoria della Complessità, noi viviamo in un insieme di cause ed effetti. Il Mondo Buddhista afferma che tutto nasce e deriva da cause e condizioni, e la Fisica anche, portando prove empiriche e dimostrazioni. Ogni effetto è causa di altri effetti, mentre ogni causa è effetto di altre cause. E questa catena è in realtà una struttura multidimensionale, in quanto coinvolgiamo nelle nostre azioni anche altre persone e altre cose. Che a loro volta innescano altre catene di cause ed effetti.

Un esempio: facciamo conoscere due persone che poi si innamorano. Tutto quello che accadrà poi tra di loro è stato propiziato da noi. A loro volta, se loro conosceranno altre persone, influenzeranno anche i loro eventi.

Tutto questo, collegato alla nostra situazione attuale, vuole dire che, quando compiamo una scelta, della scelta opposta conosciamo solo il primo passo, il primo evento: la scelta stessa, appunto! Non possiamo, quindi, conoscere cosa sarebbe accaduto, compiendola, nella catena di eventi che da questa si sarebbe generata. Forse, gli eventi a questa successiva sarebbero stati molto peggiori di quelli che abbiamo vissuto!

Di questo parlo nel mio romanzo “Bivi Esistenziali”: Paolo, un uomo deluso della sua vita, continua a rimpiangere una decisione di anni prima. Sul suo cammino incontra Patrizia, artista affascinante quanto particolare, la quale gli offre la possibilità di ritornare alla scelta di anni prima. Paolo, però, scoprirà a sue spese che quel “binario esistenziale”, che non ha scelto. non era il migliore, e dovrà passare diverse vicissitudini prima di poter ritrovare una nuova vita.

Qui si aprirebbe anche un discorso legato ai “Mondi Paralleli”, in base al quale le varie scelte si verificano sempre in Mondi Paralleli. Di questo argomento ho parlato più volte, a diverse Conferenze, tra cui posso citare quella per “AISM Metapsichica” nel 2016 e quella tenuta presso la biblioteca “Fondazione Bozzano Boldrini” di Bologna, organizzata dalla giornalista e scrittrice Paola Giovetti, nel 2017.

il discorso sui Mondi Paralleli, però, ci porterebbe molto lontano. Ne avevo parlato anche in un articolo per la rivista “Karmanews”, diretta dalla nota divulgatrice di tematiche spirituali Manuela Pompas. Al termine indicherò il link all’articolo.

Quello che mi interessava, qui, fare comprendere, era però il fatto che il seno di colpa è piuttosto inutile: infatti, oltre a farci rimanere perennemente nel passato, invece che farci “volare” verso il divenire, non ci fa considerare che, forse, come dicevo, quella scelta, per cui ora ci rammarichiamo, era magari la migliore possibile, non potendo conoscere quale sarebbe stata la nostra vita, e cosa sarebbe accaduto, nel caso avessimo scelto altrimenti.

Lo stesso vale anche nel caso di un’azione non bella nei confronti di qualcuno. La citata meditazione “Metta” ci aiuta a capire che si può sbagliare. Occorre sempre lasciare andare il passato, sapendo che, come anche lo stesso Claudio Baglioni cantava in una sua canzone, “La vita è adesso”.

Proprio per questo fatto anche il concetto di “peccato” viene superato. Il concetto stesso di “peccato” pesa come un macigno, così come il concetto di “espiazione” dello stesso.

Il Cattolicesimo, purtroppo, è in questo “specialista” nel far nascere e coltivare senso di colpa.

Consideriamo solo il riconoscimento dei peccati all’inizio della liturgia: “Confesso a Dio onnipotente e a voi fratelli che ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni, per mia colpa, mia colpa, mia grandissima colpa”. E intanto ci si batte il petto.

Questo atteggiamento ha fatto sì che Freud affermasse che la Religione è una forma di nevrosi collettiva, mentre la Nevrosi è una sorta di Religione personale. Un giudizio forse un po’ “eccessivo”, ma tuttavia il fatto di battersi il petto è un simbolo di autolesionismo, come in effetti nel Cattolicesimo è spesso avvenuto: basti pensare a mezzi quali il “cilicio” della penitenza, di cui parlano anche “I Promessi Sposi”.

Nel Mondo Buddhista, questa ossessiva ricerca della sofferenza non esiste: infatti, nel Buddhismo Tibetano, la Confessione è immediata e diretta: “Qualsiasi azione non virtuosa, di corpo parola e mente, io abbia compiuto da tempo immemorabile, dispiacendomene profondamente, la confesso continuamente con profondo rincrescimento”.

Il senso è lo stesso, ma la soavità è diversa, e quello che da una parte è greve come un macigno dall’altra diviene più leggero.

Credo, quindi, che già sostituendo la parola “peccato” con “azione non virtuosa”, si potrebbero cambiare molte percezioni.

L’altra parola da eliminare è quella di “colpa”. Nel Mondo attorno a noi non esiste la Colpa, ma esistono solo cause ed effetti. Si può, quindi, sostituire la parola “colpa” con “causa”, e quella “colpevole” con “responsabile”. Ricordo, anni, fa, quando stavo partecipando ad un ritiro nella Tradizione di Thich Nhat Hanh, un partecipante che stava facendo giocare dei bambini. Il gioco era di tipo poliziesco. Quando uno dei bambini ha detto “abbiamo preso il colpevole”, che seguiva il loro gioco ha detto: “non il colpevole, il responsabile!”. Fare passare questo a dei bambini è molto importante, perché nasceranno liberi dalla deleteria idea di colpa.

Un altro modo per generare “senso di colpa” è, talvolta, anche quello di esaltare il successo di chi abbiamo vicino a noi, in termini di cose che non abbiamo fatto. Ad esempio, esaltare il comportamento virtuoso di qualcuno, per far notare che il nostro non lo è.

Un atteggiamento di questo tipo, se, sotto certi aspetti, può stimolare l’introspezione, sotto altri aspetti, se spinto al parossismo, può essere un generatore di senso di colpa.

La situazione attuale, purtroppo, appare come una notevole generazione di “senso di colpa”. Anche nel senso di “dare meriti ad altri”. Infatti, sin da circa un anno fa, tutto è stato tenuto in piedi da una “attribuzione di colpa”. Le restrizioni avvengono, secondo i Media ufficiali, perché le persone non rispettano le regole, e di conseguenza “portano in giro il contagio”. Ricordo una ragazza, lo scorso anno, durante il lungo Lockdown di marzo/aprile 2020, che ripeteva quasi ipnotizzata quanto il Mainstream raccontava, la quale diceva: “Per “colpa” di persone come voi non ci faranno uscire più”. Allo stesso modo, se una regione vedeva aumentare l’”indice di contagio”, che più volte abbiamo visto non significare nulla, come ho fatto notare, ad esempio, in questo articolo, era “colpa” dei suoi abitanti, che venivano tacciati di assembrarsi, e di non seguire le regole. Non importa se questo fosse vero (talvolta nemmeno lo era!): tuttavia, questo bastava per imporre nuove restrizioni, dicendo ai cittadini, per utilizzare le parole di Diego Fusaro, che “se la sono cercata”.

Allo stesso modo, funziona anche l’esaltazione di chi invece “si è comportato bene”, per incentivare il senso di colpa. È di questi giorni, ad esempio, la notizia della prima regione in “zona bianca”, che è la Sardegna. Sulla pagina Facebook del “Corriere della Sera”, tra i commenti all’articolo che ne parlava, una persona di quella regione ha commentato: “La zona bianca bisogna meritarsela”.

Insomma: chi è in “zona rossa”, vale a dire gli abitanti di Molise e Basilicata, sono in una situazione che “si sono meritata”. E chi di loro deciderà di ignorarla, facendo quello che vuole a discapito delle “regole di lockdown”, sarà il “colpevole” del fatto che la regione permarrà in zona rossa.

Tuttavia, come dicevo in precedenza, il “senso di colpa” mantiene nel passato. E così, da questa situazione non si esce più. Un anno fa iniziava la seconda settimana di tutto questo. Pochi potevano immaginare che, ad un anno di distanza (peraltro bisestile!) saremmo stati ancora in una a situazione simile, con differenza che ora le “zone rosse locali” sono molte di più di allora.

Come uscire, quindi, da questo “impasse” mentale? Semplicemente considerando che non esiste colpa, ma solo cause ed effetti. E che le cose avvengono anche se non lo vogliamo: non siamo noi, ad esempio, che causiamo un terremoto o un’alluvione. O, meglio, se lo facciamo lo facciamo indirettamente, ma non direttamente. Poi è tutto collegato, ma non possiamo maturare “senso di colpa” per tutto: piuttosto, un sano “senso di responsabilità”. Che però non è accettare restrizioni senza senso, in nome di questa responsabilità: le malattie ci sono, esistono, possono essere più o meno gravi: tuttavia, come lo stesso Diego Fusaro ricordava, se anche ci fosse un virus mille volte più potente, non potrebbe giustificare la rimozione dei diritti e della libertà.

Concludo con una riflessione legata al Mondo Buddhista Tibetano: le prime due delle Quattro Meditazioni Incommensurabili del Buddhismo Tibetano recitano:

“Possano tutti gli esseri senzienti avere la felicità e la sua causa”.

“Possano tutti gli esseri senzienti essere liberi dalla sofferenza e dalla sua causa”.

Lo scopo della vita non è soffrire ed espiare qualcosa, ma essere felici e vivere al meglio, cercando sempre quello che permette alla felicità di perdurare.

Credo che, nel caso attuale, questo sia anche un invito a “riprendersi la vita in mano”: come detto prima, le malattie ci sono, e possono essere più o meno gravi. Come direbbe il Dalai Lama, fanno parte della nostra stessa Natura Umana.  Tuttavia, non è “cancellando la vita” che si affrontano, ma vivendo in modo consapevole. Tenendo presente questo, ci si riprende la vita. Col sorriso, senza danneggiare nessuno, ma è importante riprendersi la vita: in fondo, siamo qui per questo!

Riferimenti

Il sito del citato “Istituto Lama Tsong Khapa” si trova all’indirizzo: https://www.iltk.org

Al suo interno potrete reperire tute le informazioni per Corsi e Ritiri (compatibilmente col periodo in cui ci troviamo)

Per chi volesse approfondire l’affascinante Tradizione del Buddhismo Tibetano, molto analitica e complessa, un’ottima opera di riferimento è quella dell’esperto Aldo Franzoni. Potete trovarla in formato Pdf all’indirizzo:
https://www.centroyogadalmine.it/buddhismo.html

Per quanto riguarda la Tradizione di Thich Nhat Hanh, il Centro Europeo più importante è “Plum Village”, in Francia. Il suo sito di riferimento è all’indirizzo: PlumVillage

Il sito di riferimento per la Pratica di Thich Nhat Hanh è quello dell’Associazione “Essere Pace”. Il suo indirizzo è: https://www.esserepace.org . Al suo interno, anche i principali Gruppi di Pratica in Italia e non solo.

Il Sito della Comunità Italiana dell’Ordine Buddhista fondato da Thich Nhat Hanh, l’Ordine dell’Interessere, è: https://www.interessere.it

Il citato maestro Karl Riedl gestisce, con la moglie Helga, un bellissimo Centro nella Tradizione di Thich Nhat Hanh, a Hohenau, Germania, nella Foresta Bavarese. Il suo sito è: https://www.intersein-zentrum.de . Vedo però che il Sito è solo in tedesco.

Esiste però anche un Centro di Pratica in Italia, a Castelli (Teramo), il “Centro Avalokita”. Il suo sito web è:

https://www.avalokita.it

Per quanto riguarda la Tradizione di Bhante Sujiva, potete ascoltare alcuni insegnamenti del Maestro all’indirizzo: https://www.piandeiciliegi.it/it/file-audio/sujiva.html

Il Centro di Pian dei Ciliegi, situato nel Comune di Ponte dell’Olio (Piacenza), ha ospitato diversi ritiri nella Tradizione di questo Maestro. Ha ospitato in passato anche diversi ritiri nella Tradizione di Thich Nhat Hanh. All’indirizzo sopra indicato si può verificare se questi sono ancora tenuti, soprattutto considerato il periodo attuale.

Per quanto riguarda la Meditazione Metta, su Youtube c’è un video dove il Maestro la guida. Il video è recentissimo (1 gennaio 2021). Lo potete trovare all’indirizzo: https://www.youtube.com/watch?v=PICxVTJ1P7s

Parlavo di un mio articolo sugli Universi Paralleli. Si tratta di un lavoro in due parti.

La prima la potete trovare all’indirizzo: https://www.karmanews.it/13637/multiverso-infiniti-mondi-possibili/ , mentre la seconda la trovate all’indirizzo: https://www.karmanews.it/15007/il-multiverso-che-dicono-i-fisici/ . I due articoli sono del 13 luglio 2016 e del 10 novembre 2016.

Sempre sui Mondi Paralleli, il mio citato romanzo: “Bivi Esistenziali” è in vendita online. Lo potete trovare, in formato cartaceo ed elettronico, all’indirizzo:

Chi ha voglia di cimentarsi con una matematica piuttosto impegnativa, e legge in Lingua Inglese, può leggere, sul tema degli Universi Paralleli, La Tesi di Laurea di Hugh Everett III, del 1957, che ha aperto la strada a questa affascinante Teoria. La trovate all’indirizzo: https://www.pbs.org/wgbh/nova/manyworlds/pdf/dissertation.pdf

Sempre in inglese, ma di carattere decisamente più divulgativo, c’è il lavoro di Max Tegmark, della MIT (Massachusetts Institute of Technology), che potete trovare all’indirizzo:

https://space.mit.edu/home/tegmark/multiverse.pdf . Nella dispensa si parla di tutte le possibili tipologie di Universi Paralleli.  

Ho parlato delle tematiche relative a Cristianesimo e Buddhismo in un mio libro, nel quale ho cercato di delineare come potrebbe risultare il Cristianesimo alla luce di questa Filosofia Spirituale, che cancella la colpa e porta a cercare di spiegare ciò che il Cristianesimo, in particolare Cattolico, pone come Mistero. Il libro si intitola “Il Cristianesimo alla luce del Buddhismo e delle Filosofie Orientali”. Lo potete trovare in vendita, in formato cartaceo ed elettronico, all’indirizzo:

DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO

Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

Lascia un commento

Your email address will not be published.