Di Luca Sambucci
DeepMind è sempre stata un’azienda diversa dalle altre. Fondata per fare ricerca innovativa, ben presto ha avuto bisogno (fortunatamente trovandola) di un’azienda dal portafogli senza fondo che finanziasse i suoi progetti, togliendola dall’imbarazzo di doversi mettere a cercare clienti.
Alphabet, la capogruppo dell’universo Google, ha acquisito DeepMind nel 2014 per circa 600 milioni di dollari. DeepMind l’ha ripagata creando straordinari tool come AlphaGo, AlphaStar, Agent57, AlphaFold e il recente AlphaFold2, che potrebbe rivoluzionare (o perlomeno velocizzare) lo sviluppo di nuovi farmaci.
Poco male che DeepMind perda costantemente una montagna di soldi. Nel 2019 l’azienda londinese ha totalizzato perdite per 477 milioni di sterline (525 milioni di Euro), l’anno prima ne aveva perse 470 milioni. Come se non bastasse, pochi giorni fa Alphabet ha di fatto assorbito un debito di DeepMind del valore di 1,1 miliardi di sterline (1.2 miliardi di Euro), come si legge dai documenti ufficiali e come confermato dal Financial Times.
L’azienda ha dichiarato che non prevede di realizzare profitti a breve, cosa che tuttavia non ha preoccupato Google, che a sua volta ha dichiarato che continuerà a finanziare DeepMind. L’azienda di King’s Cross dà lavoro a circa 1000 ricercatori AI, alcuni dei quali con stipendi a sette cifre, anche a causa dell’intensa competizione che vi è nel mercato dei talenti di intelligenza artificiale. Non stupisce quindi che la maggior parte delle spese facciano riferimento alla voce “staff e costi collegati”.
“Sono molto contento del ritmo con cui la nostra ricerca e sviluppo sull’AI sta procedendo”, ha detto Sundar Pichai, amministratore delegato di Alphabet e Google, agli investitori e agli analisti nella call trimestrale di luglio. “Sono entusiasta del ritmo con cui i nostri team di ingegneria e R&D stanno lavorando sia su Google sia su DeepMind”.
Tutti contenti, insomma. Del resto innovazioni come quelle che si realizzano in strutture stile DeepMind oggi possono costare decine o anche molte centinaia di milioni, ma un domani potrebbero valere svariati miliardi. Investimenti che oggi forse solo i giganti del big tech possono permettersi.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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