Di Susanna Schivardi e Massimo Casali – Video e foto: Susanna Schivardi
E’ una mite giornata di settembre ad accompagnarci, e percorrendo la Via Appia Antica arriviamo a via di Fioranello dove al civico 19 si apre un sentiero verso una delle tenute più belle del Comune di Roma, la Tenuta di Fiorano, storica azienda vinicola di proprietà del Principe Alessandrojacopo Boncompagni Ludovisi.
Ad accoglierci sono l’ufficio stampa, Rosanna Ferraro, e il Principe in persona, che arriva sulla sua vettura, in abito informale e smagliante nel sorriso. Il tempo di poche parole per inoltrarci in una realtà straordinaria, fatta di tradizione, storia, passione e cultura.
“L’azienda nasce con mio cugino Alberico, Principe di Venosa – inizia a raccontare il Principe Boncompagni – negli anni ’40 fa da pioniere nella viticultura portando in Italia vitigni internazionali come il cabernet sauvignon e il merlot”. La famiglia e il rango sono un trampolino di lancio nella ricerca e nella possibilità di viaggiare soprattutto in Francia per importare in Italia prodotti allora sconosciuti. Il pomeriggio settembrino continua ad allietarci in questa bella chiacchierata proprio in uno dei punti più alti della tenuta da cui si vedono il vigneto e il territorio circostante che si estende per almeno 200 ettari di cui 12 a vite.
Il nome di Alberico torna più volte a tracciare il percorso della tenuta “soprattutto per l’attenzione al biologico – sottolinea il Principe – il rispetto per il corso della natura e il rifiuto totale di utilizzare la chimica che invece negli anni 50, dopo la guerra, ha dilagato in modo ossessivo tra le aziende italiane. Un’attenzione che non si è mai fermata, anzi, che io sto potenziando con il supporto di tutti gli studi e le scoperte contemporanee”. Nella tenuta i campi coltivati a vite, e non solo, si espandono a macchia d’olio, offrendo al visitatore una vista che spazia dalla Cupola di San Pietro ai Castelli Romani, come nei più bei paesaggi dei quadri del ‘700, le fotografie del passato che raccontano di una Roma ormai superata.
Qui invece il tempo sembra essersi fermato, il Principe si sofferma molto nel raccontare perché la fretta non fa parte di questi luoghi. “In gioventù ho studiato economia e commercio vivendo sempre a Roma, e solo dopo la laurea mi sono avvicinato al mondo del vino, appassionandomi sempre di più a quello che mio cugino stava facendo qui”. Il legame tra Alberico e il principe quindi si infittisce quando il pioniere della tenuta si accorge che il giovane cugino è in grado di prendere il suo posto. “Ho studiato tutti gli archivi presenti – tiene a precisare- i carteggi, le lettere, gli appunti di Alberico, tutto scritto su carta e conservato gelosamente”. Il passaggio di consegna però non è così immediato, nel 1998 Alberico ha una fase di arresto, così tenace nel mantenere la sua linea di condotta nei confronti della terra, che poco prima di capire che Alessandrojacopo sarebbe stato pronto a prendere l’eredità del vigneto decide all’improvviso di espiantare tutto.
“Alberico non avrebbe accettato di lasciare tutto questo in mano a qualcuno che non seguisse la sua filosofia – ci spiega il Principe – per questo agli occhi di molti è sembrata inspiegabile la decisione repentina di espiantare le viti”. Passano pochi mesi tra l’espianto e il passaggio di consegna al nostro Principe Boncompagni, che rileva i diritti e reimpianta appena tre ettari di vitigno, che oggi possiamo vedere in fondo, proprio accanto alla Villa dove sorge la Cappella di Santa Fresca e l’edificio che era già di proprietà della famiglia Boncompagni Ludovisi. A questi tre ettari se ne sono aggiunti gli altri nove nel corso degli anni, mantenendo una coltivazione limitata e sempre con una minuziosa attenzione alla qualità “abbiamo sempre puntato all’eccellenza – sottolinea il Principe –e siamo arrivati ad una produzione di circa 40 mila bottiglie l’anno”. La produzione viene seguita direttamente da lui, ogni passaggio, dall’uva, al raccolto, e tutto il processo di macerazione e poi affinamento fino all’imbottigliamento e la messa in vendita, ed è lui a decidere il momento più opportuno per mettere in commercio i suoi vini nonostante le pressioni da parte dei suoi acquirenti.
La nostra passeggiata attraverso la tenuta prosegue, mentre il sole bagna di luce i grappoli e i campi si accendono di luce rosa. I vitigni di bianco, grechetto e viognier che hanno già visto la raccolta pochi giorni fa, e poi cabernet sauvignon e merlot che invece attendono ancora la vendemmia. Ad un tratto, scendendo per la strada sterrata e fermandoci davanti ai vitigni di bianco, si stagliano sullo le due alte Torri tra le quali “si trova la Cantina Storica – ci spiega il Principe – dove il vino arriva a cascata, per forza di gravità, dopo la macerazione, senza alcuna spinta dall’esterno. Il vino rimane lì ad affinarsi nelle botti da 10 ettolitri, in attesa dell’imbottigliamento. Non chiediamo di visitare la Cantina perché sappiamo che l’accesso non è mai stato consentito a nessuno se non agli addetti ai lavori. La passeggiata continua fino all’arrivo del pascolo di ovini, il pastore e il suo cane spingono gli animali per il sentiero e la bellezza del paesaggio in cui veniamo a trovarci avrebbe trovato solo nel Vate Virgilio una voce narrante degna di raccontarne la straordinarietà.
La leggera foschia invade l’orizzonte, e il Principe ci racconta che “in alcune giornate di pioggia, qui sopra si addensano nuvole nerissime, così dense da incutere timore, poi la pioggia sembra spostarsi improvvisamente e lontano da qui, laggiù all’altezza dei Castelli, irrompe il temporale, lasciando questo luogo intatto”. Le pecore si allontanano verso l’orizzonte e anche noi ci avviciniamo all’alba di questo piccolo Impero, dove sorge il parco e la Chiesetta di Santa Francesca Romana. “Un tempo qui c’era anche una scuola per i figli dei lavoratori della tenuta – ama ricordare il Principe – e tra questi personaggi uno in particolare, Gianni Valenti, che ora ha settant’anni ma sta qui da quando è nato. Era lui – sorride il Principe – ad intrufolarsi nelle botti per pulirle all’interno”. Il parco che circonda la villa è tempestato di piante di ogni tipo, portate qui tutte dal padre di Alessandrojacopo, il Principe Paolo, da ogni parte del mondo, lui che era un grande amante della botanica.
“Le ha piantate personalmente, scavando nella terra con le proprie mani”. Le firme di questa azienda, oltre al suo creatore e al Principe che ne ha preso l’eredità, sono state Tancredi Biondi Santi, enologo di fama internazionale, e Luigi Veronelli, enologo e scrittore- Entrambi strettissimi amici di Alberico con cui hanno sempre intrattenuto un rapporto avvincente, ricco di aneddoti, tanto che nel decennale della morte del Veronelli nel corso dell’evento si aprì una vecchia bottiglia di Fiorano proveniente direttamente dalla sua cantina, e quel giorno, come ricorda il Principe, fu un grande onore. Il Veronelli ha scritto a lungo e copiosamente della filosofia legata al rispetto verso il terreno che non doveva mai essere sfruttato eccessivamente, per mantenerne la bontà. Oggi l’enologo e agronomo della Tenuta è Lorenzo Costantini.
Entriamo infine nei locali dove il Principe Boncompagni Ludovisi organizza gli eventi e le degustazioni. “Stiamo progettando la ristrutturazione anche degli altri edifici nella tenuta per aumentare l’accoglienza”. La fama del Fiorano supera i confini dell’Europa, arrivando in America e in Cina. A Rosanna Ferraro chiediamo come mai nel Lazio la cultura del vino si stia imponendo in maniera più robusta solo nell’ultimo decennio, a dir tanto. “Contrariamente a quanto successo nelle altre regioni d’Italia, dove il mondo del vino si è sviluppato con uno schema preciso, una serie di iniziative e una filiera tra produttori e ristoratori che si è fatta sistema, qui nel Lazio si fa ancora difficoltà a lavorare su progetti comuni”.
Le realtà laziali sono effettivamente monadi, mondi isolati che tra di loro si toccano solo parzialmente, esiste uno scollamento tra produzione e grande distribuzione che non trova sempre sostegno da parte dei ristoratori, mediatori fondamentali tra il prodotto e il consumatore. “Si potrebbe sperare in un’inversione di tendenza – specifica Rosanna – in cui il consumatore, consapevole dell’esistenza di alcuni prodotti di qualità superiore, chieda ai ristoratori bottiglie specifiche, innescando un sistema di domanda e offerta che si arricchisca di eccellenze fuori dal mercato più comune”. Il Principe si dichiara soddisfatto della richiesta dei sui vini nonostante il Lazio sia una regione difficile “nei ristoranti più rinomati della Capitale si trovano le nostre bottiglie e sono felice del consenso che incontro ovunque”. Dopo un breve excursus su arte e musica, ricordando l’evento legato all’apertura del Castello di Trevinano alle opere del grande artista sacerdote contemporaneo, Sidival Fila, arriviamo al momento della degustazione.
La tavola con i bicchieri è pronta all’interno dei locali enormi -che una volta erano il ricovero dei bovini- e oggi ristrutturati e arredati con un gusto che emana eleganza, sobrietà. Le bottiglie sono ad una temperatura perfetta per godere appieno della loro raffinata perfezione.
Le quattro bottiglie raccolgono i raggi del sole che filtra attraverso l’importante ingresso al salone, la prima ad aprire l’assaggio è il Fioranello bianco 2018, Con uve Grechetto e Viognier bellissimo il colore giallo paglierino, al naso ci lascia un profumo piacevolissimo: minerale, fiori bianchi e frutta a polpa bianca. Al gusto ritroviamo perfettamente i sentori olfattivi con una sapidità che rispecchia perfettamente il terreno ed una persistenza lunga e piacevole.
Il secondo è un Fiorano bianco 2016 da uve grechetto e viognier. Vino pluripremiato, matura in botti di rovere e castagno, presenta bel colore giallo intenso quasi dorato dato probabilmente dalla selezione in vigna e dalla permanenza sulle bucce. Per questo vino vengono utilizzate le piante più vecchie con una resa di circa 40 quintali per ettaro. Al naso molto intenso con frutta matura e candita. L’utilizzo di botti grandi dona al vino piacevoli note di glicerina senza sottolineare troppo il gusto. Vino importante pieno, complesso e di grande struttura con una mineralità al naso molto intensa, che al gusto si presenta con un’ottima sapidità capace di avvicinare questo vino a piatti anche più elaborati.
Il terzo che andiamo ad assaggiare è un Fioranello rosso 2017, da uve cabernet sauvignon. Colore intenso rosso rubino. Naso molto piacevole minerale con frutti rossi di sottobosco. Vino di ottima beva con un tannino percettibile e piacevole, gusto caldo fruttato ed erbaceo da abbinare con piatti invernali di carne.
Il quarto ed ultimo vino è un Fiorano rosso del 2013, che matura due anni e mezzo in rovere di Slavonia. Vino dalle potenzialità elevate che può permettersi di bussare alla porta, e magari anche di aprirla, dei grandi supertuscan Toscani. Prodotto con il taglio bordolese di cabernet sauvignon e merlot, questo vino si presenta con un colore rosso intenso rubino quasi granato, naso molto piacevole con note di frutta rossa matura con una lieve presenza di affumicatura, balsamico ed estremamente elegante. Al gusto questo vino riempie il palato. Lo definiamo, insieme al Padrone di casa, quasi masticabile. Elegante minerale con i tannini perfettamente amalgamati ed una alcolicità che non disturba. Evidentemente la scelta di tenerlo a riposare per molti anni in bottiglia è quella vincente, sicuramente annate più datate regaleranno emozioni difficili da dimenticare. A cosa abbinare questo vino? Forse a tante pietanze importanti di carne e cacciagione ma, d’accordo con il Principe, anche da solo magari con un bel libro, un pezzetto di cioccolata fondente o in bella compagnia solo con la voglia di un buon calice di alta qualità.
La giornata volge al termine, all’ora del tramonto quando il cielo si imperla di colori rosati che dolcemente avvolgono la tenuta, in una profusione di bellezza e pace così estranei e lontani dal caos della città, ormai vicina.
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