Italia: un nuovo lock down? Forse no, ecco perché…

Italia: un nuovo lock down? Forse no, ecco perché…

Editoriale del direttore Emilia Urso Anfuso

Da mesi gli italiani si interrogano: ci sarà un nuovo lock down? Ci imporranno nuovamente di restare chiusi in casa? E per quanto tempo? L’economia crollerà miseramente? Saremo schiavi del virus, del governo, dei DPCM, delle mascherine e del distanziamento fino a tempo indeterminato?

Guarda il video editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso:
Ci sarà un nuovo lock down? Forse no…

I quesiti che riempiono la mente di milioni di italiani sono più che leciti: considerando la scarsa predisposizione del governo Conte bis a manifestare una reale capacità, non tanto di gestire un’emergenza di proporzioni planetarie, quanto di informare la popolazione in maniera trasparente e con tempistiche che non facciano precipitare tutti nello sconforto, non si può non temere il peggio. O meglio: non si può non temere.

Cosa? Di tutto. Perché diciamolo: siamo passati dal periodo degli attacchi terroristici di matrice islamista, che comunque non intimorivano l’italiano medio, in quanto accadevano altrove, alla minaccia reale, concreta, diffusa, che ha aggredito il pianeta intero, e fa vittime ovunque, e non solo per gli effetti del Sars Cov2. Tra le peggiori condizioni da valutare, vi è infatti la caduta, forse per sempre, di qualsiasi senso di sicurezza. Se si cancella il senso di sicurezza decade ogni forma di democrazia, di futuro e di progetti di vita. Non servono più i dittatori per provocare questo tipo di dissesto, basta  un virus, un batterio, un componente invisibile a occhio nudo, per gettare miliardi di persone nella prostrazione, nella peggiore crisi economica dopo gli sfasci provocati dalla Seconda Guerra Mondiale, e per mettere in uno stato di allerta perenne chiunque, anche le persone dotate di maggiore intelletto e lucidità mentale.

Torniamo al punto centrale. Ci sarà un nuovo lock down come quello che ci ha costretti in casa per oltre du mesi? Potrebbe verificarsi, come sta accadendo nuovamente in Isralele, e come si minaccia di tornare a fare in Inghilterra e in altre nazioni.

Eppure, se volessimo considerare la cosa da un punto di vista unicamente economico, potrebbe non accadere o non esattamente come è accaduto in precedenza.

Per spiegare ciò che intendo fornirò un dato importante. Durante il periodo di isolamento e di chiusura delle attività produttive, ogni mese è costato l’enorme cifra di 47 miliardi di euro. A tanto è ammontato l’onere scatenato dal blocco della nazione, e il dato l’ho evinto dal report realizzato dalla Swimez, l’Associazione nazionale per lo sviluppo del Mezzogiorno, che ha verificato le perdite economiche nel periodo di chiusura della nazione attraverso l’analisi degli economisti Salvatore Parlato, Carmelo Petraglia e Stefano Prezioso, coordinati dal direttore Luca Bianchi.

A questa cifra mensile è necessario sommarne altre, come per esempio quelle diffuse attraverso i dati dell’Inps e relative ai bonus che il governo ha dovuto erogare a una folta platea di protagonisti, tra lavoratori autonomi e professionisti, che di fronte al crollo delle attività lavorative sono stati – anche se minimamente e con molti ritardi nell’erogazione – sostenuti con somme mensili per un trimestre o qualche mese in più, in alcuni casi specifici. La cifra – il dato è aggiornato al 17 Giugno 2020 – è stata di circa 15 miliardi solo per i bonus di questo genere.

Malgrado le cifre erogate siano ragguardevoli, tanto da essere molti simili a quelle che ogni anno sono messe in bilancio per le consuete leggi finanziarie, gli italiani stentano – in molti casi – a campare. Stentavano in molti a tirare avanti ben prima dell’avvento del Coronavirus, figurarsi ora.

Se il governo decidesse per la seconda volta di bloccare la nazione per un periodo più o meno prolungato, dovrebbe di conseguenza mettere in cantiere nuovi bonus a sostegno dei lavoratori autonomi, delle partite i.v.a e delle classi meno abbienti.

Considerando il fatto che l’Italia non era messa bene da anni, sempre in bilico sul precipizio del default, mai  raggiunto davvero solo a causa delle tante trattative svantaggiose per noi italiani, strette con la UE – vedi per esempio quelle poi dichiarate apertamente dal mondo della politica inerenti i flussi migratori che siamo obbligati a far approdare sul nostro territorio in cambio dell’elasticità sui conti pubblici – considerando lo spauracchio del MES, con le sue regole e riforme drammatiche per la popolazione civile, e considerando prestiti e sussidi europei che ci mettono comunque in una situazione non certo di privilegio nei confronti delle altre nazioni europee, non sono certa che un secondo blocco delle attività produttive possa convenire a chi governa il paese.

Ciò che già si sta notando, infatti, sono lock down “spontanei” e a macchia di leopardo. Con la riapertura delle scuole, per esempio, stiamo apprendendo che basta un solo studente risultato positivo per chiudere un intero istituto scolastico. Stessa cosa per i ristoranti, e capiterà senz’altro ad altri settori.

Un conto è decidere a livello politico la chiusura di tutto e di conseguenza dover poi sostenere economicamente i nuclei familiari e i lavoratori. Un altro conto è chiudere certe attività perché qualcuno risulta infettato dal virus: in questo caso, il governo non ha responsabilità sugli effetti derivanti dalle perdite economiche.

È una riflessione, ne riparleremo.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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