La consapevolezza…

consapevolezza

Di Sergio Ragaini

Nella nostra vita noi tendiamo ad “automatizzare” azioni, atteggiamenti, ma anche pensieri e schemi di comportamento. In parte, questa automatizzazione può essere positiva, perché ci consente di non dovere più pensare ad un’azione ogni volta che la compiamo: tuttavia, talvolta, automatizzare ci porta a dare per scontate delle cose che sono del tutto errate, accettandole come normali. La consapevolezza, in quel caso, è l’arma che ci permette di invertire questo processo di automatizzazione, prendendo coscienza di quello che facciamo, sia fisicamente che con la mente, smontando atteggiamenti del passato e costruendo qualcosa di completamente nuovo.

E’ una parola, ma nasconde un mondo intero.Consapevolezza: nelle filosofie orientali, in particolare quella buddhista, forse ancora più in particolare nel mondo Zen, questa parola significa tutto, e apre mondi di pensiero.

Quando avevano chiesto ad un maestro Zen che differenza c’era tra lui ed altri, il maestro aveva risposto: “come gli altri, io bevo il te. Ma quando lo bevo, sono consapevole di stare bevendo una tazza di te”.

Una parola sola, quindi, che dice tutto: essere consapevoli significa essere coscienti, perfettamente, di ogni cosa si sta facendo.

Nella nostra vita facciamo tantissime cose in maniera inconsapevole: per noi diventano quasi gesti automatici, scontati, ripetuti. Diventano, insomma, gesti che noi riprendiamo, volte e volte, senza rendercene conto.

Questo accade perché la mente è portata ad automatizzare determinate azioni.

E questo, in parte, può essere un bene, se non un grandissimo bene: in fondo, il fatto di automatizzare determinate azioni ci permette di farle senza pensarci.

Quando noi camminiamo, ad esempio, non pensiamo ogni volta: muovo un piede, lo metto giù, muovo l’altro, lo metto giù e così via: facciamo questi gesti ormai divenuti parte di noi, e ci abituiamo a questi, senza assolutamente starci a pensare. Sono, insomma, divenuti gesti scontati, abituali.

Questo, come dicevo, va bene in alcuni casi. Ma pone anche un fortissimo problema: così come noi automatizziamo gesti normali per la nostra vita, automatizziamo anche comportamenti indotti, che magari sono forzati e negativi. E ormai il prendiamo come gesti normali, scontati.

Qualsiasi cosa, dopo un po’, diviene un’abitudine. Può essere un’abitudine fisica o addirittura mentale. Ma è un’abitudine. E questo sicuramente crea molti problemi.

Quindi, se compiere gesti in maniera automatica va bene, ed è anzi benefico per l’evoluzione, perché rende tutto più facile, in altri casi questo automatismo può essere estremamente deleterio.

Facciamo un esempio in merito: in questi giorni tutti circolano per le strade, almeno in Lombardia, con le mascherine. Probabilmente non ne sanno il vero scopo. Infatti, queste venivano utilizzate, da sempre, in luoghi come la Cina, per via del fortissimo inquinamento. Infatti, fanno quassi da “filtro” all’aria non pulita. Per cui, camminare con un filtro, può avere uno scopo.

Anche in caso di sabbia e vento, e in generale in caso di polvere, ad esempio, può funzionare avere qualcosa che protegge le vie respiratorie dall’entrata di sostanze per queste dannose..

Tuttavia, la mascherina non protegge sicuramente da virus. Un bellissimo esempio, ascoltato tempo fa, diceva che utilizzare una mascherina per proteggersi da un virus è come utilizzare una grata metallica per difendersi dalle zanzare.

Tuttavia, le persone non ne serano consapevoli: credevano di sentirla come protezione, e la utilizzavano.

Ora, forse, credo, non la sentono più come tale, almeno parecchi: ormai è un’abitudine a tutti gli effetti, e quindi viene utilizzata quasi come un capo d’abbigliamento. Non a caso, soprattutto le ragazze, se le personalizzano, spesso se le fanno loro stesse, e magari le intonano con il vestito che indossano. È diventato un accessorio, per molte persone importante. Stilisti organizzano addirittura sfilate di mascherine “firmate”.

Probabilmente questa mascherina non ha più la funzione che in partenza si attribuiva a questo orpello (personalmente mi rifiuto di chiamarlo “accessorio”): ormai è tutt’altra cosa., tuttavia, la gente la usa comunque, come una moda, come qualcosa che “fa in” o quasi.

Qui il discorso sulla consapevolezza e l’automatismo funziona molto bene: si è partiti da un’errata idea su una cosa, e la si è interiorizzata. Poi o oggetto è diventato un’automatismo, un qualcosa che non ha più nessuna relazione con il problema di partenza. E la persona l’ha utilizzato, e lo continua ad utilizzare,

Un esempio più generale è il comprendere che non bisogna acquisire errori o difetti sin dall’inizio, in alcune pratiche, quali lo studio di uno strumento musicale. Partire in maniera corretta impedisce che vengano acquisiti errori che  purtroppo poi saranno difficili da cancellare.

Infatti, alcuni insegnanti, ad esempio di pianoforte, (ne parlo perché è il mio strumento) hanno sin dall’inizio insistito perché le persone sedessero in maniera corretta, tenessero la mano un certo modo e così via. Tutto questo lavoro iniziale, che per molti poteva apparire una perdita di tempo, è stato poi un vero “acceleratore” successivamente, ed il tempo dedicato a questo si è risolto in una velocità di apprendimento che ha permesso in brevissimo tempo di raggiungere e superare coloro che, invece, non hanno dedicato tempo a queste importanti premesse.

Abbiamo credo, chiaramente capito come la mente tenda ad automatizzare atteggiamenti e modalità.

Questo vale, ovviamente, non solo per atteggiamenti “fisici” ma anche, e forse soprattutto, per atteggiamenti mentali, e lo si vede molto bene in diverse situazioni. In fondo, però, mente e corpo sono strettamente collegati, e anche gli atteggiamenti fisici derivano dalla mente!

Un esempio in tal senso può essere quello che è successo in alcuni comuni, tra cui quello dove vivo ora (Magenta, circa 20 chilometri a ovest di Milano): i parchi, ancora a giugno, erano chiusi, e sono stati riaperti solamente domenica 7 giugno. Questa è una cosa ben peggiore che discutibile. Eppure la gente aveva visto questo come normale, e non aveva alcuna reazione in merito. Anzi: quando si provava a dire loro qualcosa, si veniva guardati come se si fosse degli alieni: per loro era tutto normale. Ovvio, per loro “andrà tutto bene”, anche se non va bene nulla!

Insomma: piano piano, e nemmeno così “piano piano”, l’assurdo era divenuto parte della vita, tanto da essere accettato come del tutto normale e regolare.

Ecco il problema: l’automatismo, mentre in alcuni casi è positivo, può essere utilizzato per fare passare, anche a livello mentale, l’assurdo, l’inconcepibile, come se fosse del tutto normale.

E questo porta sicuramente danni: in fondo, una cosa è “normale” semplicemente perché è stata interiorizzata come tale!

Teniamo poi conto che l’uomo, a differenza di altri animali, automatizza non solo azioni, ma anche idee. Nel senso che un certo schema logico diviene qualcosa di scontato in tempi molto, molto brevi. Anche solo di poche settimane. E così, oltre ad acquisire come automatiche azioni , si acquisiscono schemi di pensiero, come del tutto scontati.

La paura, poi, catalizza molto bene in quel senso, e fa apparire anche schemi assurdi come veri. Ad esempio, il fatto che si dovesse stare in casa per aiutare i medici e per rispetto nei confronti di chi soffriva negli ospedali. Quando tra le due azioni (stare a casa e aiutare i medici e chi soffriva in ospedale) non c’era alcuna relazione. Ma veniva fatta passare come tale. E il “bombardamento mediatico” ha fatto sì che la gente ci credesse, e associasse le due cose in maniera del tutto automatica.

Quindi, nella mente, le cose si sovrappongono e interagiscono con molta facilità anche oltre gli schemi stessi. Ed è quanto accaduto: abitudini e pensieri sono stati automatizzati. E questo, in questo caso, non funziona. La consapevolezza, in un primo momento, pare invertire tutto questo: anzi, lo inverte di sicuro.

Torniamo all’esempio della tazza di te: la consapevolezza inverte la situazione, in maniera molto facile ed evidente. Infatti, qui si agisce non per rendere automatico qualcosa, ma addirittura per invertire il processo: qualcosa che ora è automatico, smette di diventarlo.

Nel mondo Zen questo si usa molto. Non a caso, la tecnica base di questo mondo spirituale è la “meditazione zazen”, che consta semplicemente nell’osservare il proprio respiro e le sue sensazioni.

Questo vuole dire che tutto ciò che è automatico e scontato smette di esserlo.

E da qui comincia la “cura”: infatti, in qualche modo si rompe un automatismo, e si costruisce qualcosa di nuovo. Allo stesso modo, per rompere abitudini errate, occorre smontare il loro automatismo, e andare, eventualmente, a costruire nuovi automatismi, ma stavolta corretti.

Questo “passo indietro” permette la comprensione di quello che stiamo facendo.

Quindi, la consapevolezza “de automatizza” qualcosa. E ne fa prendere coscienza. Tramite la consapevolezza, si prende coscienza di quello che noi abbiamo accettato come automatico, e lo si smonta. Per costruire qualcosa di nuovo.

È il processo inverso del rendere automatico. Ed è spesso necessario per capire quello di assurdo che abbiamo considerato scontato, per poterlo poi modificare. Tutto ciò, ovviamente, vale anche e soprattutto, per parametri mentali, che ormai abbiamo reso automatici. La consapevolezza ci aiuta a capire cosa fa la nostra mente, e a cambiare lo schema.

Di fatto, il processo è inverso: si parte da qualcosa di complesso e lo sio scompone. Per poi ricombinarlo in altro modo. Anche il filosofo Silvio Ceccato, che molti anni fa avevo avuto il piacere di conoscere dal vivo,

La consapevolezza cvi aiuta a smontare, a destrutturare per poi ristrutturiare in maniera magari completamente differente.

Se, quindi, costruire automatismi può essere utilissimo, invertire il processo è fondamentale per capirli e riprogrammarli. Così come, per capire un programma informatico, occorre andare ad analizzare le sue istruzioni, allo stesso modo, in qualsiasi atteggiamento complesso, andare a studiare le sue operazioni semplici cambia tutto, e ci permette di costruire nuovi atteggiamenti.

Questa è la consapevolezza: destrutturare per poi ristrutturare, cambiare per poi rifare, riprogrammare per poi ricostruire. Questo processo inverso, che toglie automatismo per poi rifarne di nuovi, porta a mettere l’attenzione sulle azioni e sui pensieri, comprendendo, ponendovi l’attenzione, cosa fa la mente. Per smontarle e smontarli, e costruirne di completamente nuove e nuovi.

Un processo nuovo, innovativo sotto certi aspetti, comunque diverso, che però fa prendere coscienza, e crea un nuovo uomo, e di conseguenza una nuova civiltà. E mai come ora ne abbiamo bisogno.

Credo che occorra davvero portare avanti questo modo di vedere le cose. Per potere divenire consapevoli. Cambiando così la nostra vita e, di fatto, quella del mondo attorno a noi.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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