Rubrica a cura del dottor Claudio Rao
Misoginìa, scarsa solidarietà, spirito di emulazione. Cosa impedisce alle donne di funzionare meglio dei colleghi uomini?
Annik Houel, è una psicologa femminista, professore onorario di psicologia sociale all’Università di Lione. Nel suo libro « Rivalités féminines au travail » edito da Odile Jacob, analizza la rivalità tra donne al lavoro attraverso un’interpretazione piuttosto singolare.
Osservando le sue studentesse ed accogliendone le confidenze, ha rilevato una certa difficoltà nelle relazioni che esse avevano con le loro supervisore. Questo l’ha spinta a riflettere sulla questione, notando che le donne tendono a creare dei legami affettivi che alterano i rapporti gerarchici rendendoli ambivalenti, passionali e perfino violenti.
«La relazione con un superiore donna – scrive – risveglia in ognuna di noi il legame che si è avuto con la madre», sostenendo che i sentimenti di odio / amore nei confronti dell’autorità femminile sono spesso legati all’ambivalenza che caratterizza i rapporti madre-figlia.
Nei suoi scritti, Annik Houel, arriva a parlare di « misoginia femminile ». Si tratterebbe di una sorta di Sindrome di Stoccolma¹ di sottomissione all’uomo, ma anche di un attacco delle donne contro se stesse. « Non ha la violenza della misoginia maschile, ma la conferma, permettendoquelle divisioni che consentono agli uomini di regnare ». Questa misoginia può prendere le sembianze dell’ironia, della denigrazione, del disprezzo o della gelosia. Una mancanza di solidarietà reciproca che può esprimersi attraverso la ricerca di partner lavorativi maschili ai quali appoggiarsi. Houel la interpreta come una sorta di legittima difesa. In un mondo ancora largamente dominato dagli uomini, certe donne per brillare si sentirebbero obbligate a rinnegare parzialmente la propria natura. La figura maschile, infatti, richiamerebbe la figura paterna che aiuta la bambina a staccarsi dalla relazione troppo fusionale con la madre. Una presenza diversa da quella femminile, quella maschile, percepita come più rassicurante. Una visione pressocchè psicanalitica, mi verrebbe da dire.
La nostra psicologa sociale infatti, non esita ad andare in tal senso quando allude al fatto che il rifiuto di un alter ego al femminile è radicato nell’infanzia e nell’inconscio delle donne. Annik Houel, riferendosi alla propria conoscenza della sessualità femminile ed alle proprie osservazioni empiriche, asserisce che « le donne hanno una forte propensione a riprodurre nei propri comportamenti lavorativi i propri comportamenti infantili » reiterandone le contraddizioni ed i silenzi, favorendo una certa promiscuità e lamentandosi della “cattiveria” della propria superiore e della gelosia delle colleghe donne. Arrivando a considerare “malsani” gli ambienti completamente femminili. E questo, insiste la Houel, a causa dell’imprinting del rapporto madre-figlia.
In che maniera questo legame primitivo madre-figlia influenzerebbe la relazione tra colleghe di lavoro?
Annik Houel – in una prospettiva tipicamente freudiana – spiega che la madre è il primo oggetto d’amore della bambina che finirà per trasferirsi sul padre. Il distacco dalla figura materna ne sarà la conditio sine qua non. Questo produrrà nella bambina dei sensi di colpa e dei sentimenti ambivalenti di amore e di rivalità. Solo la composizione di questa ambivalenza potrà consentire un’evoluzione equilibrata.
In caso contrario, prevarrà l’odio verso la “cattiva madre” che alienerà il proprio comportamento lavorativo adulto nei confronti delle superiori gerarchiche (con le quali inconsciamente riprodurrà il vissuto infantile). La differenza d’età tra le responsabili e le dipendenti e l’indispensabile autorevolezza delle prime verso le seconde, verrebbe a confortare implicitamente questo meccanismo.
Tutto ciò avrebbe un impatto piuttosto forte anche sulla vita privata. Insonnia, stanchezza, depressione, irritabilità, difficoltà attentive ne sarebbero le conseguenze.
Ecco perché – secondo questa interessante chiave di lettura – la donna non riuscirebbe a vivere le relazioni di lavoro in modo distaccato. Ci sarebbe sempre una dose di affettività che ne rovina i rapporti, soprattutto quando il potere viene gestito da altre donne.
Naturalmente, ci rassicura la dottoressa Houel, la cosa si sta attenuando con le giovani generazioni, più unite e solidali delle pioniere che furono le loro madri e le loro nonne. Tuttavia questa solidarietà appare decisamente più presente tra le donne che esercitano un pari livello di responsabilità. Essere dirette da un’altra donna crea ancora non poche difficoltà.
Annik Houel, ritiene che per attenuare queste problematiche, disinnescandone la portata, sia indispensabile fare i conti col proprio passato, evitando di trasporre le ferite infantili nelle nostre relazioni adulte.
Insomma, ancora una volta, l’esortazione « Conosci te stesso » (in greco antico γνῶθι σαυτόν, gnōthi sautón) del tempio di Apollo a Delfi, vecchia di 2.400 anni, potrebbe esserci di gran giovamento.
¹ «La sindrome di Stoccolma è un particolare stato di dipendenza psicologica e/o affettiva che si manifesta in alcuni casi in vittime di episodi di violenza fisica, verbale o psicologica. Il soggetto affetto dalla sindrome, durante i maltrattamenti subiti, prova un sentimento positivo nei confronti del proprio aggressore che può spingersi fino all’amore e alla totale sottomissione volontaria, instaurando in questo modo una sorta di alleanza e solidarietà con il suo carnefice». Fonte Wikipedia.
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