Editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso
“Il lavoro nobilita l’uomo“, recita un vecchio motto. “L’Italia è una repubblica democratica, fondata sul lavoro“, recita l’art. 1 della nostra Costituzione. Insomma, gira che ti rigira, è sul lavoro che si fonda l’esistenza umana e il suo valore.
Senza lavoro gli esseri umani medi valgono poco o nulla. Almeno è ciò che, per diversi secoli, è stato inoculato nel DNA del genere umano.
Lasciando da parte ciò che è accaduto dopo l’introduzione, in Italia, del reddito di cittadinanza, che in molti casi ha contribuito a distruggere il senso della nobilitazione umana attraverso il lavoro, passiamo a una serie di dati che sono diffusi poco o per niente, evidentemente perché sono dati che possono portare a riflettere con attenzione sull’esistenza umana in generale.
I dati sui suicidi per la perdita del lavoro non sono aggiornati
Effettuando una ricerca sul tema dei suicidi legati al mondo del lavoro o meglio, alla perdita dell’attività lavorativa, si scopre che non sono dati aggiornati frequentemente.
Ciò non significa che ogni anno, anche in Italia, non si verifichino atti suicidari a causa di problemi legati al lavoro o alla sua perdita. Alcuni dati relativi a questo tema sono stati resi pubblici ma risalgono al 2019.
In alcuni casi si fa emergere – di recente – il fenomeno dei suicidi in divisa, cioè tra le forze dell’ordine, ma non si approfondisce in maniera seria e sistematica quello legato ai cittadini che, a causa della disperazione dovuta al licenziamento, optano per un gesto che deve farci pensare tutti: morire per un diritto negato, un diritto che sulla carta è garantito dalla nostra Costituzione: il lavoro.
Si tratta, evidentemente, di un metodo perverso di non affrontare una criticità sociale che, essendo volutamente taciuta, dimostra un disinteresse da parte di chi dovrebbe lavorare per risolvere le questioni più urgenti per ogni cittadino.
Urla questo silenzio, urla tutto il dolore e tutta la disperazione di chi, di fronte a questa sconfitta programmata, fortemente voluta, di un sistema paese, non ce l’ha fatta e ha soppresso se stesso.
Una popolazione senza prospettive
Una popolazione pressata sotto ogni punto di vista, senza garanzie, senza servizi fondamentali garantiti – come quelli sanitari – con una pressione fiscale esagerata, stipendi e pensioni non adeguati al costo della vita, che tipo di popolazione è?
E’, evidentemente, una popolazione senza prospettive, che non riesce più a programmare il futuro, che matura insoddisfazione che, spesso – lo tocchiamo con mano – sono sentimenti che sfociano in manifestazioni di rabbia incontrollabile.
Se agli esseri umani togli ogni sorta di sicurezza, se tutto traballa, non può che scatenarsi un malessere che diventa collettivo. Parte della violenza tra simili, che osserviamo ogni giorno per le strade, ha una radice che parte da queste insoddisfazioni che all fine, si trasformano in rabbia inesprimibile.
Conclusioni
In tutto questo, la politica ha una responsabilità enorme nel non applicare, accade ormai da anni, soluzioni che migliorino le prospettive lavorative di milioni di persone.
D’altra parte, la priorità – ormai è evidente – non è rappresentata dalle necessità, dalle urgenze della popolazione, bensì dalle richieste delle varie organizzazioni che possono, esse si, esercitare pressioni per ottenere soluzioni vantaggiose. Non si tratta di complottismo bensì di un sistema che è regolamentato a livello internazionale e si chiama lobbyng.
La legge del più forte vince sempre e comunque e se, numericamente parlando, un popolo è di gran lunga più forte dei pochi che lo governano, è pur vero che questa forza si intiepidisce a fronte dell’incapacità di riconoscersi come popolo.
La forza del potere si alimenta anche grazie all’ambizione di sostenere un sistema basato sull’individualismo. Una strategia che lascia orfani, in ogni senso, i cittadini di paesi che avrebbero dovuto, e potuto, essere civili e progrediti.
Buona riflessione a tutti.
**Immagine di copertina creata con il sistema di AI di WP
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