Dal greenwashing alla compliance normativa: i rischi d’impresa

Dal greenwashing alla compliance normativa: i rischi d’impresa

Di Valerio Zafferani

Articolo pubblicato il 26 maggio 2024 sul quotidiano online UmbriaOn, sezione economia.

Come già chiarito nel precedente articolo, la comunicazione ingannevole in ambito sostenibilità strategica si identifica con il termine greenwashing. Passati quindi in rassegna i rischi delle pratiche non sostenibili quali l’accesso al credito e il probabile impatto negativo che avranno le nuove generazioni nel mondo del lavoro rispetto alle imprese non sensibili al tema, è giunto il momento di analizzare i rischi relativi al mancato rispetto delle norme (la cosiddetta compliance normativa).

E’ indubbio che in un momento storico di grandi cambiamenti il legislatore europeo abbia iniziato già da tempo a fornire linee guida, fino a vere e proprie norme, sul tema sostenibilità ponendo come obiettivo quell’Agenda 2030 e i suoi 17 goal (SDGs), a matrice ONU, che riguardano lo sviluppo sostenibile. Possiamo affermare che difficilmente gli obiettivi si raggiungeranno nel tempo stabilito, sia perché con la dichiarata pandemia c’è stato un ovvio rallentamento del processo, sia perché le guerre che imperversano e che ci riguardano inevitabilmente hanno distolto attenzione e risorse. Inoltre il rallentamento è anche dovuto a causa di una comunicazione spesso troppo enfatica e speculativa sull’Agenda 2030 che ha prodotto una serie di resistenze da parte delle aziende che vedono il loro modello di business a rischio. Aggiungiamo a ciò anche il fatto che i cittadini sono stanchi di tanta propaganda spinta dai mass media su temi lontani dai problemi quotidiani, considerato anche il periodo non certo roseo in termini economici e sociali.

A livello di business se da un lato le direttive europee possono venir recepite e dilazionate nel tempo prima che diventino operative, è anche vero che la cultura aziendale non si adegua altrettanto velocemente e, come spesso accade, le aziende quando fiutano il procrastinarsi di interventi legislativi si crogiolano nel presente perdendo tempo strategico (come già accadde per le norme sulla privacy di qualche anno fa). È, infatti, piuttosto scontato che ci sarà un’accelerazione degli adeguamenti quando le norme diverranno maggiormente stringenti, soprattutto perché saranno legate a sanzioni. Non a caso, a titolo di esempio, è da poco stata varata la norma sul greenwashing relativa al divieto dell’utilizzo di claim fuorvianti per il consumatore (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della U.E. del 5 marzo 2024 la Direttiva 2024/825 del 28 febbraio 2024, sulla responsabilizzazione dei consumatori per la transizione verde mediante il miglioramento della tutela dalle pratiche sleali e dell’informazione). Ed è previsto che ogni anno fino al 2028, ma si andrà oltre, verrà richiesto a tipologie di aziende di grandi e medie dimensioni di adeguarsi alle richieste della U.E. (vedi la produzione e pubblicazione del bilancio di sostenibilità, dichiarazione non finanziaria a correndo del bilancio di esercizio).

Non serve in questo contesto addentrarci in date e numeri specifici ma il messaggio che è interessante inviare alle aziende è che la sostenibilità ha un senso, e diviene investimento in luogo di mero costo, solo se viene considerata sistemica rispetto al business, con la logica conseguenza di una ricaduta sulla catena del valore che apporti benefici agli stakeholder. Al netto quindi di adeguamenti normativi, aziende e commercialisti dovrebbero iniziare ad organizzare il processo strategico per evitare che la sostenibilità d’impresa sia pura reazione. E sarebbe, altresì, un errore non comprendere che un’azienda potrebbe anche non essere interessata dalle norme, certamente le piccole e le micro imprese saranno esentate dalla compliance, ma non sfuggirà agli adeguamenti in termini di ESG.

Infatti qui si innesta un ragionamento che potrebbe essere drammatico per i fatturati dell’azienda non sostenibile, ossia il rischio di minare i rapporti commerciali con la filiera produttiva. Infatti con elevata probabilità un’azienda capo-filiera, per fatturato e numero di dipendenti, sarà certamente soggetta ad adeguamento normativo e, come è stato già descritto negli articoli precedenti, il complicato ingranaggio dello sviluppo sostenibile la costringerà a far rispettare ai propri stakeholder gli interventi in chiave ESG, rendendo le piccole imprese fornitrici di prodotti o servizi, spesso artigianali e di eccellenza, necessariamente adeguabili ai temi di sostenibilità.

Cadere dal pero, come si suol dire, potrebbe infliggere un colpo mortale all’azienda stessa. Infatti il piccolo imprenditore ha spesso grande visione, e talvolta sa immettere nel mercato prodotti innovativi, ma non ha le competenze su queste nuove tematiche. C’è purtroppo da sottolineare che sovente queste aziende dai fatturati interessanti non sono circondate da consulenti attenti a questi aspetti strategici, ed ecco perché la figura di un consulente per la sostenibilità, che ricordo non è solo legato all’ambiente, diventa una figura essenziale per il futuro dell’impresa.

Un’impresa che sarà inevitabilmente sempre più inglobata in sistemi macro, al di là delle sue dimensioni. Il manager dovrà quindi interagire principalmente, oltreché ovviamente con la proprietà, con le risorse umane e con il marketing per rendere efficaci le strategie da mettere in atto, nonché formare le figure necessarie al proseguimento dell’attività, altro tema molto delicato.

Nei prossimi articoli inizieremo quindi a scoprire come si imposta un processo di sostenibilità strategica partendo dall’assessment (la valutazione) che fotografa l’azienda e dai cui si delineano le strategie di sviluppo, si fissano obiettivi, si allocano budget e si individua il capitale umano necessario.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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