Rubrica a cura del dottor Claudio Rao
Secondo Miguel De Cervantes, “Se la gelosia è un segnale d’amore, è come la febbre dell’ammalato, per il quale averla è un segnale di vita, ma di una vita malata e mal disposta”.
Considerato da molti meschino, patetico e perfino patologico, questo sentimento – spesso mimetizzato per timore o per pudore – entra a pieno titolo nella nostra geografia amorosa.
Il “Nuovo Dizionario di Psicologia” di Umberto Galimberti definisce la gelosia uno « Stato emotivo determinato dal timore, fondato o infondato, di perdere la persona amata in cui questa rivela affezione verso un’altra persona » e precisa che « Secondo gli antropologi, in origine la gelosia non era un evento connesso all’amore, ma un requisito che garantiva le condizioni di sopravvivenza »¹.
Attualmente essa è considerata quasi una vergogna, un limite, un segno di scarsa fiducia e di insicurezza; qualcosa da tenere nascosto. Un sentimento che non rientra nel politically correct, scintilla di drammi carichi di conseguenze.
Molti di noi ne parlano al passato, come fossero guariti da una malattia contagiosa.
Giulia Sissa² ne ha ricavato un libro intitolato “La gelosia. Una passione inconfessabile” (traduzione italiana Laterza 2015) in cui tenta di riabilitarla attraverso riferimenti letterari, storici, artistici e filosofici. « Quando ho incominciato a seguire la donna che amo – ricorda Laurent, quarantanovenne – mi sono chiesto se non fossi completamente impazzito. Una sera il suo cellulare, sul tavolo, ha iniziato a lampeggiare ed io vi ho letto un messaggio molto dolce di un disgraziato che le avevo visto ronzare intorno durante una cena ». A seguito di quest’episodio e nonostante la chiarificazione rassicurante che ne è seguita e la promessa di Marion di non aver più contatti con il suo “ammiratore”, Laurent ha iniziato ad essere tormentato dal dubbio. « Ho incominciato a leggere di nascosto i suoi messaggi e poi ho clonato la sua email […] Un sabato mattina prendendo la bicicletta mi ha detto che sarebbe andata dal parrucchiere. Io ho preso la mia e l’ho seguita, convinto che andasse dal suo amante. Il parrucchiere era chiuso ed io ho dovuto pedalare come un forsennato per non farmi vedere da lei ».
Un caso, quello di Laurent e di Marion, che ha finito per trovare una soluzione attraverso un confronto aspro, ma fruttuoso.
Nella maggior parte dei casi l’origine della gelosia non è il frutto di un delirio o di un’allucinazione. E’ il segno di un sussulto del cuore. Un WhatsApp, una email, una conversazione telefonica improvvisa instillano il tarlo del dubbio, fanno vacillare la convinzione di essere l’unico oggetto del desiderio dell’altro.
Secondo la lettura di Roland Gori – psicanalista francese, professore emerito di Psicopatologia clinica all’Università di Aix-Marseille – “ La gelosia crea una crepa nella convinzione delirante ed eroto-maniaca di essere amato per sé. Ci fa dubitare del fatto che noi possiamo essere tutto per l’altro come l’altro è tutto per noi. E’ una passione salvifica perché ci protegge da un narcisismo distruttore […] Fa emergere la figura dell’altro che la passione amorosa tende ad escludere ”.
Lo stesso Sigmund Freud, padre della Psicoanalisi, la considera inevitabile e intrinseca all’essere umano, sostenendo che gli innamorati che affermano di “non soffrirne” l’abbiano semplicemente rimossa. E che dall’inconscio essa eserciti un ruolo molto più influente.
Giulia Sissa definisce «collera erotica» la gelosia intensa e profonda e ricorda che nell’antica Grecia essa era considerata una nobile passione, degna di dee, regine e guerrieri. « La gelosia normale è connaturata al desiderio che l’accompagna » rincara Roland Gori.
Paradossalmente quando chiediamo a un geloso di non esserlo, dal suo punto di vista è come se gli domandassimo di diventare indifferente all’amore. Impossibile. Allora, al posto di ingurgitare bocconi amari, è meglio parlare chiaro, con coraggio e dolcezza, sussurrando dolcemente all’orecchio dell’amato: « Sì tesoro, sono gelosa; non girarti a guardare tutte le ragazze che passano per strada perché questo mi ferisce, mi fa star male ».
Aude, 35 anni, mi confessò di preoccuparsi quando non era gelosa, chiedendosi se fosse davvero innamorata: « Ho bisogno di aver l’impressione che l’uomo che desidero sia desiderabile: quando ho la sensazione che è l’oggetto di sguardi di belle donne mi sento ribollire di rabbia e di orgoglio insieme ». E – mi precisò – quando il suo uomo si mostrava troppo fedele ed assorbito dal proprio lavoro, per nulla attirato o desiderato da altre donne, risentiva il peso di una relazione troppo routinaria.
René Girard antropologo, critico letterario e filosofo francese (deceduto nel 2015) sosteneva che la persona non sceglie mai da sola l’oggetto del suo desiderio, ma s’invaghisce di colui o di colei che un altro vorrebbe. Una relazione sempre “triangolare e mimetica”. La gelosia emergerebbe quando il nostro rivale si approssima fisicamente o affettivamente. Spesso gli attribuiremmo perfino qualità e virtù che noi pensiamo di non avere. Ciò che ci ferirebbe è il dubbio o, peggio, la certezza di non essere più l’unico oggetto del desiderio della persona amata.
« C’è qualcosa di vertiginoso – scriveva Proust – nel percepire l’altro come una casa piena di tesori. Ma sapere che l’amore è desiderio di desiderio può spingervi a rendervi desiderabili per l’altro. Allora perché non provare a mettere in opera il progetto di farsi amare, di “essere oggetto d’amore” per riprendere l’espressione di Sartre? ».
Renderci desiderabili per la persona che desideriamo. Questo il suggerimento di Giulia Glissa per offrire al lettore una delicata maniera di curare e sublimare le sofferenze di un cuore geloso.
¹ Umberto Galimberti, Nuovo Dizionario di Psicologia Psichiatria Psicoanalisi Neuroscienze, Feltrinelli, Milano, 2021, pag. 550.
² Giulia Sissa si è laureata in Lettere Classiche all’Università di Pavia nel 1977 ed ha conseguito il Diplôme d’Études Approfondies presso l’Ecole des Hautes Etudes di Parigi. Ricercatrice del Centre National de la Recherche Scientifique di Parigi, fa parte del laboratorio di antropologia sociale del Collège di Francia, ed è stata visiting professor presso l’Università di Rouen. I suoi studi toccano la scienza e la medicina antiche, la filosofia e la mitologia greca, la storia della sessualità nell’antichità e nei primi anni del cristianesimo. (Fonte: Internet).
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