20 Novembre: bambini felici da genitori felici iniziamo da questo

20 Novembre: bambini felici da genitori felici iniziamo da questo

Di Elisa Stefanati

In una società in cui la forma della famiglia sta rapidamente mutando, la proposta del governo di istituire un’assistente materna per accompagnare le madri nei primi sei mesi di vita del bambino impone una attenta riflessione sulle complessità– fisiche, psicologiche, sociali – che le donne devono affrontare durante la maternità. Nella giornata del 20 Novembre, giornata mondiale dei bambini e degli adolescenti,  la parola alla dott.ssa Daniela Pergola specialista ostetrica libera professionista

Chiamatela la magia della vita, il dono più bello, la dolce attesa. Dietro alle frasi poetiche sulla maternità, però, si nascondono spesso condizioni tutt’altro che fiabesche caratterizzate da stress, preoccupazione, ansia, depressione. Le no mamme necessitano di un supporto psicologico e materiale per assolvere ad uno dei compiti più gratificanti ma anche impegnativi che riguardano il caregiving parentale.

20 Novembre: bambini felici da genitori felici. Iniziamo da questo

Nella giornata mondiale dei diritti dei bambini e degli adolescenti, può risultare utile interrogarsi su cosa ruoti oggi attorno alla neomaternità e neopaternità, perché la prima regola è che perché un bimbo viva e ricerchi la felicità un giorno, da adulto, devo averla conosciuta prima, nel tempo passato dell’infanzia e adolescenza, è importante dunque  che veda oggi genitori felici. 

«A volte attesa e neo-maternità sono fasi della vita di una donna tutt’altro che serene, possono essere estremamente faticose e complesse – spiega la dott.ssa Daniela Pergola, ostetrica libera professionista e divulgatrice scientifica per Mustela (marchio detenuto dalla società Laboratoires Expanscience.  Sono situazioni che per molte donne si rivelano insostenibili anche a causa di un contesto culturale che fatica ad aggiornarsi.

La donna è investita da molteplici responsabilità sia personali che professionali. Si ritrova spesso a dover conciliare impegni lavorativi importanti con le esigenze della famiglia, senza peraltro un vero welfare che la sostenga. Allo stesso tempo, la società continua a trasmettere un’immagine ideale – e distorta – della maternità. Ci si aspetta ancora che la neo-mamma (e solo lei, il ruolo del padre è spesso in secondo piano) si dedichi principalmente ai figli, occupandosi primariamente dei loro bisogni. Non è tutto: si suppone che lo faccia col sorriso: tristezza e cattivo umore non si addicono alla figura della mamma ideale” 

Nonostante qualche timido cambiamento, l’idea che le cure parentali siano di quasi esclusiva competenza delle madri rimane sostanzialmente immutata. Il congedo parentale – che non a caso viene ancora comunemente chiamato “di maternità” – ne è un esempio. Il congedo è un diritto che permette ai genitori lavoratori di prendere una pausa dal lavoro per la nascita di un figlio. Tuttavia, nella pratica, è spesso solo la madre a usufruirne, mentre il padre esita ancora a farlo e, anche quando vorrebbe, subisce spesso pressioni sul lavoro o viene scoraggiato dalle diverse aspettative sociali. Questa difficoltà dei padri si accompagnano alla trasformazione del mondo del lavoro che ora vede anche molte donne libere professioniste, un inquadramento che per definizione implica di dover rispondere alle esigenze dei clienti a prescindere dalla propria situazione personale.

Tutt’altro che una favola

In Italia una neomamma su dieci è colpita dalla depressione post-partum, una condizione grave, che la rivista The Lancet ha definito un “fattore drammaticamente sottovalutato della salute materna”. Non va infatti confusa con il “maternity blues”, la reazione emotiva che colpisce il 70% delle mamme con pianti frequenti stanchezza, instabilità dell’umore, tristezza e confusione. La depressione (che può presentarsi anche durante la gravidanza) presenta sintomi più intensi e duraturi: senso di tristezza e irritabilità sono accompagnati dalla sensazione di non essere all’altezza del ruolo. Una condizione che si autoalimenta con un frequente e opprimente senso di colpa per “non sentirsi felice e appagata” dalla maternità.

Uno degli esiti più devastanti della depressione perinatale è il suicidio. Secondo i dati provenienti dal Regno Unito e dagli Stati Uniti, è una delle principali cause di morte diretta durante il periodo perinatale. 

La situazione è aggravata dal “notevole stigma” associato a stati d’animo cupi o pensieri suicidari durante il periodo perinatale. Questo stigma, unito all’aspettativa sociale che vede la gravidanza e la maternità come momenti esclusivamente felici, rende più difficile per le donne chiedere aiuto e segnalare eventuali sintomi in tempo.

Si tratta peraltro, di una situazione in continuo peggioramento: secondo uno studio Usa pubblicato sulla prestigiosa rivista Jama, nel corso di dieci anni l’ideazione suicidaria nel periodo perinatale è quasi quintuplicata, l’autolesionismo intenzionale è raddoppiato, e la prevalenza di suicidio e tendenze suicide è triplicata.

Lo scorso agosto, negli Stati Uniti è stato approvato il primo farmaco orale per il trattamento della depressione postpartum. Un fatto positivo, senz’altro, ma ben lontano dall’essere una soluzione definitiva. La depressione perinatale, infatti, è il risultato letale di una miscela costituita da aspetti fisiologici, psicologici, sociali e operativi.

Cambia il mondo e cambiano le famiglie

Il mondo è profondamente cambiato e anche il tessuto sociale italiano ha subito trasformazioni profonde e spesso radicali, modellate da una serie di fattori economici, politici e culturali.

Da Paese prevalentemente agricolo e con una struttura sociale rigida si è progressivamente passati a una società complessa e multiforme. Anche la famiglia, che un tempo rappresentava il fulcro di una vasta rete sociale, ha cambiato volto e scopo: oggi i nuclei familiari sono più piccoli, più distanti dai genitori e spesso vivono in città affollate e dal ritmo di vita frenetico.

Sembra che, invece, il ruolo della madre sia scolpito nella pietra. Una visione che non tiene conto della trasformazione della famiglia nella società e dell’emergere di nuove dinamiche familiari che richiedono un approccio più inclusivo. 

Il bisogno di oggi è quello di sostenere la famiglia nel suo complesso e non solo la madre. In un’epoca in cui entrambi i genitori spesso lavorano e in cui i nonni non sono sempre presenti o disponibili per offrire sostegno, è fondamentale che le politiche sociali e del lavoro riconoscano e si adattino a questa realtà.

È cruciale, ad esempio, che i datori di lavoro forniscano un ambiente di lavoro flessibile che permetta sia alle madri che ai padri di equilibrare le esigenze di carriera e famiglia. Inoltre, in una società sempre più diversificata, dobbiamo considerare anche i bisogni delle famiglie non tradizionali, come quelle monoparentali, quelle composte da coppie dello stesso sesso, o quelle in cui i membri hanno origini culturali diverse. Sostenere la famiglia significa anche riconoscere e affrontare le tensioni economiche e sociali che gravano su di essa, come le disuguaglianze economiche e di accesso a servizi di cura e istruzione di qualità. Un panorama decisamente più complesso di quello che la semplice enfasi sul ruolo della madre può cogliere.

«Le donne di oggi affrontano una realtà diversa rispetto al passato – spiega la dott.ssa Pergola – si sentono più sole e meno supportate, sia emotivamente che operativamente. Solo una generazione fa, le madri potevano contare su una rete di sostegno estesa che comprendeva la famiglia (ampia) e andava anche oltre offrendo un vero e proprio sistema di support. Inoltre, le ragazze crescevano spesso a contatto con neonati e partecipavano direttamente alla loro cura. Ad esempio, mia madre era già zia a otto anni e, quindi, ha imparato fin da piccola ad avere dimestichezza con i bambini di pochi mesi, e ad accudirli. Oggi, invece, per molte donne, la nascita del proprio figlio rappresenta la prima vera esperienza con un neonato, con tutto quel che ne consegue in termini di difficoltà operative ma anche di pressione psicologica. Lontane da un nucleo familiare di supporto e con impegni lavorativi che spesso le portano a ridosso della data del parto, si trovano in larga parte da sole a gestire un evento così importante».

Aiuto operativo e psicologico

Dott.ssa Pergola, come si aiutano le mamme? «Innanzitutto servirebbe un sistema di sostegno pubblico adeguato. Ci sono luoghi – in Italia – dove al sesto o settimo mese di gravidanza, le donne sono costrette a trasferirsi in città più grandi per trovare un ospedale in cui partorire. Affittano una casa per gli ultimi mesi di gravidanza e per il periodo post-parto. Questi sono esempi limite ma nelle grandi città i problemi non mancano: per esempio, a Milano devi metterti in lista per l’asilo nido quando sei ancora in gravidanza, altrimenti non trovi posto. E in ogni caso i costi sono esorbitanti. Quindi, ti trovi in una situazione paradossale: da una parte c’è l’aspettativa che tu torni al lavoro, ma dall’altra non esistono strutture adeguate per l’accudimento dei bambini. Risultato? Gran parte dello stipendio finisce per pagare una tata.»

Ma non è solo un problema pratico; in una situazione così stressante l’aspetto emotivo e psicologico sono fondamentali, non si possono ignorare. «Ancora oggi, la figura dello psicologo è spesso sottovalutata e vista con sospetto, le situazioni vengono pericolosamente minimizzate. Ma la verità è che l’arrivo di un figlio ha un impatto significativo non solo sul benessere individuale della madre e del padre, ma anche sulla dinamica di coppia o della famiglia. Ignorare o sottovalutare questo aspetto può portare a conseguenze negative per tutti».

Ad esempio, gli studi scientifici dimostrano che i padri non sono esenti da contraccolpi psicologici alla nascita di un figlio: una ricerca condotta nel 2010 ha rivelato che, dalla nascita ai tre mesi, l’8% degli uomini soffre di depressione post-partum (non lontano dal 10% delle donne) e questa percentuale sale al 26% dai tre ai sei mesi.

Le figure professionali di assistenza esistono

Esistono comunque alcune figure sanitarie specializzate che possono supportare la donna nel periodo perinatale, come le puericultrici e le ostetriche, una figura sanitaria con una formazione specifica e competenze in continua evoluzione. Il core dell’attività dell’ostetrica sta proprio nel supporto post-natale alla nuova mamma. Oltre a monitorare la normale progressione fisiologica e intervenire tempestivamente in caso di anomalie o complicazioni mediche, l’ostetrica può identificare precocemente segnali di violenza domestica o fragilità psico-sociale durante le visite a domicilio. Questa consapevolezza permette di attivare gli interventi specialistici adeguati con la dovuta tempestività».

Un’ostetrica può essere o una dipendente pubblica, lavorando quindi per ospedali o consultori, oppure una libera professionista. In quest’ultimo caso può collaborare con studi medici, consultori convenzionati, o fornire servizi a chiamata. Le competenze inoltre possono essere estremamente specializzate: «Io ad esempio ho ampliato il mio bagaglio di conoscenze attraverso master e specializzazioni post-laurea e mi dedico principalmente all’universo della gravidanza: ho conseguito un master in salute pelvica, rieducazione e riabilitazione del pavimento pelvicoconduco corsi preparatori alla nascita, incontri tematici e sono insegnante di yoga specializzata in gravidanza».

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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