Rubrica a cura di Susanna Schivardi e di Massimo Casali
Una chance agli autoctoni delle Marche, tra Urbino e Pesaro, dove Biancame e Incrocio Bruni 54 raccontano la storia di un territorio
Appena si arriva alla Tenuta Santi Giacomo e Filippo, di cui Urbino resort è il cuore pulsante, si ha l’impressione immediata di uno spazio immenso, di cui 14 ettari sono vitati e il resto è condotto a piantagioni di varia natura, che seguono il regime di rotazione, in accordo totale con una visione bio nel rispetto della natura.
Siamo immersi in un punto di incontro tra narrazione storica e arte, dove l’enogastronomia trova il suo habitat ideale. La terra del Duca di Montefeltro ha qui il suo inizio, tra le Marche, l’Emilia e la Toscana per lambire anche la Repubblica di San Marino. Urbino e Pesaro sono la cornice di questa magnifica tenuta, lambita dal fiume Foglia, dove sorge un edificio del XVIII secolo ristrutturato nell’ultimo secolo grazie alla capacità visionaria della famiglia Bruscoli, nella fattispecie dal nonno Antonio a cui è dedicato il vino di selezione bianco dell’azienda. I sei edifici si distendono placidi nell’organica architettura locale, per ospitare le 30 camere, un ristorante che è ex capanna di pescatori, e un’azienda agricola che comprende colture di vario genere. La tenuta, ridefinita nelle sue linee grazie anche al genio dell’architetto Massimo Bottini, è visitabile a bordo di un mezzo dedicato proprio ad essa, l’Agribus, ricavato da un vecchio carro, in compagnia di Guido, sommelier talentuoso e guida attenta e scrupolosa.
A condurci per mano nella tenuta, che è anche Oasi faunistica della Badia dal 1979, è Marianna, mente e cuore, insieme ai suoi collaboratori, di un progetto che va ben oltre l’ospitalità e la produzione di vino, perché ha l’aria di un grande disegno in cui inserire tutto il passato della tradizione ma anche la percezione viva di un futuro luccicante. Non esageriamo a dire che Marianna è vulcanica, appassionata di velivoli, già a sedici anni voleva fare il pilota di aerei, poi dopo la laurea ha abbracciato il grande sogno del nonno Antonio che, tornato dalla guerra, già aveva acquistato parte della terra che oggi compone questo grande disegno. Marianna, assieme al padre Gianfranco e al fratello Alberto, dal grande slancio creativo, hanno dato respiro ad una terra che chiedeva da tempo di vestirsi di filari vitati, in ricordo del nonno Ercole che vinificava in casa e a cui è dedicato il vino rosso di selezione.
Regime biologico dal 1997, fortemente voluto dalla mamma Anna Maria, quando ancora i tempi non vantavano una fitta letteratura in proposito, impianti messi a dimora risalenti al 2006 e cantina, ovvero, Officina Vinaria come amano chiamarla qui, dal 2016, dove si animano i vari contenitori, dalle botti di acciaio, ai tini di rovere stagionato e non tostato, moderne autoclavi e anfore di coccio pesto. Uso dei sovesci e trattamenti naturali sono il vanto di una conduzione molto attenta alla salute dei terreni. Complici di questo grande disegno l’architetto delle vigne e lo stratega della cantina, l’agronomo Marco Tomassetti e l’enologo Roberto Potentini. Uno studio puntato sull’analisi attenta del terroir, che si dispiega tra gli 80 e i 220 metri slm., da terreni sabbiosi, limosi-alluvionali e per finire sull’argilla dove dimorano i filari degli autoctoni rossi. L’attenzione si rivolge al Sangiovese grosso di Toscana, poi il Verdicchio che qui prende altri sentori rispetto a Matelica o Jesi, il Biancame nicchia di questa zona ma molto produttiva, e infine Chardonnay e l’autoctono Incrocio Bruni 54, genio e sregolatezza della produzione, che cade velocemente in acidità e spinge a vendemmie immediate e a un lavoro incessante in vigna. Acino piccolo e buccia spessa, regala vini dalla ricca mineralità.
In evidenza Isabecta Brut bianco, naso intenso di lime e cedro, fragrante in bocca e Isabecta Brut rosato, dal colore rosa cipolla, al naso speziato ed erbaceo, frutto di bosco e lampone, al gusto secco e deciso, con bollicina fine e non esplosiva. Il nome deriva dalla storica Isabecta de Lominis, nonna di Raffaello e proprietaria all’epoca di una parte di terreno dove oggi si coltivano le uve della tenuta.
Il Ca’ Rosello, Igt Marche rosato, 2021, dal nome di fantasia che viene proprio dall’esclamazione in cantina “che carosello di profumi”, per lasciar intendere le sue note fruttate, per un vino fresco e bevibile, da uve Syrah.
La freschezza del Fogliola, Igt Marche bianco 2022 è ben impressa, da uve Biancame, chiamato normalmente Bianchello del Metauro all’interno della Doc, è il vero vino di queste zone, proposto a tavola a tutto pasto, bevibile, dal naso molto profumato, fiori bianchi, gelsomino, in bocca si elegantizza, rimane un leggero gusto di vaniglia su una bocca profondamente minerale.
Della mini-verticale di Bellantonio, Igt Marche bianco, 2021, 2020, 2019, 2018, di Incrocio Bruni 54, ricordiamo la 2021 come versione più vicina a quello a cui l’azienda sta puntando, con un equilibrio tra note agrumate e mineralità che nella 2020 ancora stenta. La varietà è stata creata dal prof Bruno Bruni, ampelografo, uno dei maestri della viticoltura che nei suoi numerosi tentativi di innesto, al 54esimo tiro è riuscito a raggiungere quello che cercava e all’oggi poche aziende in questo areale lo producono. Un incrocio che coniugasse la potenza del Verdicchio con l’eleganza del Sauvignon. Nella versione in anfora annata 2020 si intensifica, al naso deciso di lime e camomilla, la mineralità risulta intensa al gusto, la matrice del Verdicchio viene in evidenza. Ha sicuramente del potenziale di invecchiamento.
Il Fortercole, Igt Marche rosso, 2019, da uve Sangiovese e Montepulciano, risulta più fresco rispetto alla 2017, che presenta ancora qualche spigolatura, data anche l’annata difficile. Nella 2018 lo troviamo piuttosto armonico, morbido e fruttato. Vini dalla buona bevibilità, puntano soprattutto sull’acidità, la lunghezza e la verticalità.
Magnifica la cena presso il Ristorante Urbino dei Laghi, immerso nel silenzio della tenuta, e da ricordare un tuffo nella storia grazie a due storiche che ci hanno accompagnato, in un tour a noi dedicato, alla scoperta dei paesaggi di Piero della Francesca e di Leonardo. Rosetta Borchia, fotografa di paesaggi e Olivia Nesci, docente di Geomorfologia presso l’Università di Urbino, hanno voluto condurci attraverso un itinerario insolito, in quei luoghi dove è possibile ammirare i paesaggi che hanno ispirato i celebri artisti rinascimentali. Con storie e aneddoti hanno dipinto con pennellate decise gli approfondimenti e gli studi pioneristici che le hanno accompagnate per tutta la loro carriera.
Urbania è stata teatro per un pranzo a base di specialità locali, a Casa Tintoria di Dodi Temellini, una creativa della cucina che con genuinità e ricercatezza propone specialità marchigiane nella cornice di un antico edificio del 1500 sulla riva del fiume Metauro. Un posto incantevole dove sembrano dimorare fate e folletti, tra una vegetazione ricca e l’ambiente curatissimo nei dettagli. Tra i piatti che abbiamo apprezzato il Crostolo di Urbania con formaggio caprino e erbette di campo amare.
Marianna ci ha infine accompagnato nella visita dell’Abbazia dei Ss. Giacomo e Filippo, da cui il nome della tenuta, struttura del 1300 restaurata con rispetto filologico e che ospita la Madonna del Giro, ogni anno accolta in uno dei luoghi sacri della valle del Foglia. Tornata qui nel 2023 dopo dieci ani di assenza, è simbolo di aggregazione e di cura per le tradizioni che in questo angolo di Marche sembra ispirare ogni gesto e ogni futuro obiettivo, nella salvaguardia della natura e dell’ambiente come focus principale.
***foto originali di Susanna Schivardi
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