Prontuario della Distensione – Critiche a tamburo battente: Come difendersi? Che fare?

Prontuario della Distensione – Critiche a tamburo battente: Come difendersi? Che fare?

Rubrica a cura del dottor Claudio Rao

Alcune persone hanno il dono di farci sentire degli incapaci, paralizzandoci con le loro critiche incessanti. Ci stressano con le loro osservazioni, tanto che tendiamo a modificare il nostro modo di agire e di pensare per… corrispondere alle loro aspettative!

Questi individui non intendono deliberatamente danneggiarci o farci del male, ma – forse per eccesso di perfezionismo o per esperienze legate alla propria storia – hanno difficoltà a vedere il mezzo bicchiere pieno, il lato positivo della vita. E la maggior parte di loro non si rende neppure conto di non saper riconoscere il positivo, di non elargire mai un complimento, di concentrarsi sempre sul negativo e mai sull’impegno che richiede il lavoro da compiere.

Diversi anni fa conobbi Lea, una graziosa trentenne assistente di un dirigente piuttosto pignolo ed esigente. Ogni qualvolta gli porgeva un documento da sottoscrivere, veniva sottoposta alle sue critiche (talora anche giustificate). Ciò che più mi colpì – e che osservammo insieme – è che costui considerava il lavoro di Lea come “cosa dovuta” senza mai ringraziarla, neppure fronte a un impegno nel weekend fronte a un dossier urgente affibbiatole il venerdì sera!

Essendo di natura timida e rispettosa, Lea si sentiva mortificata e non osava dir nulla al suo capo, considerando che, dopotutto, meritasse il trattamento subìto!

Una dinamica che non aiutava il direttore a riflettere su una più attenta ed armoniosa organizzazione del lavoro, né la segretaria a porre dei limiti alla supremazia del superiore.

La prima tappa che ci demmo fu quella di capire, integrare e maturare il convincimento che nulla giustificava un tale atteggiamento e che lei non era tenuta ad accettare qualsiasi critica e imposizione. Superando gli imperativi morali (“devo poter accontentare tutti”, “devo cercare di essere perfetta”) che finivano per favorire il protrarsi della situazione.

Il nostro timore di urtare, di renderci invisi, di creare un attrito o di entrare in conflitto, come anche una certa dipendenza affettiva e perfino una forma d’identificazione con l’aggressore possono effettivamente portarci ad accettare l’inaccettabile.

Il rispetto dovuto all’autorità del capo, rinforzava la timidezza e la tendenza  alla sottomissione passiva di Lea.

Il primo passo è stato… felpato. Il mio primo interesse era che lei riuscisse a modificare il proprio atteggiamento senza voler cambiare il comportamento del suo principale. Lea in effetti entrava in una sorta di ansiogeno stand-by ogniqualvolta doveva essere ricevuta dal suo capo che immancabilmente la avrebbe apostrofata su qualcosa.

Il percorso che mi sembrava importante era quello di “rendere attiva questa sua attesa passiva”. Le suggerii di presentarsi dal suo direttore precisando:« So che ci sarà certamente qualche errore visto che ne faccio sempre, però lei saprà riprendermi e questo mi aiuterà a migliorare ». Il suo capo sembrò   destabilizzato, esaminò il dossier e glielo rese dicendole che andava molto bene. Evidentemente ciò era bastato a farlo riflettere sul proprio atteggiamento e ad aiutare Lea ad accantonare il ruolo di comparsa per essere più protagonista; migliorando bilateralmente le relazioni professionali.

La cosa più importante in situazioni analoghe è riuscire a trasformare il proprio funzionamento in modo da passare dalla modalità passiva a quella attiva. Cessare di subìre; modificare la dinamica delle relazioni col nostro interlocutore facendogli capire che abbiamo recepito le sue osservazioni, che ne apprezziamo l’utilità.

Se, per esempio, vostra madre critica il vostro modo di gestire la casa, di educare i vostri figli e voi reagite sempre allo stesso modo (facendo finta di niente, con un sorriso imbarazzato, alzando gli occhi al cielo o, peggio, cercando di giustificarvi), lei continuerà a farlo perché non le avete mostrato di aver capito la sua intenzione di aiutarvi! Se invece cambierete atteggiamento dicendole: « So che tutte le tue critiche hanno lo scopo di aiutarmi, allora dài, critica il mio modo di tenere la casa o di educare i bambini, ti ascolterò con interesse! » è probabile che smetta e che anche il suo approccio cambi (se non altro perché a quel punto il criticarvi significherebbe obbedire alle vostre richieste – cosa che avrà difficoltà ad accettare!).

Nella maggior parte dei casi questo cambiamento di approccio si rivela un metodo efficace e risolutivo.

Ci sono tuttavia casi particolari in cui è necessario stabilire dei limiti. Richiedendo chiaramente al proprio interlocutore una modifica del proprio comportamento perché l’attuale ci influenza negativamente, “nonostante le sue buone intenzioni”.

Porre dei limiti significa innanzitutto descrivere con tranquilla chiarezza gli atteggiamenti che ci disturbano e l’impatto che hanno su di noi. Magari postillando con asserzioni precise (ma mai su toni accusatorî).

Qualche esempio.

« Ogni vòlta che ci vediamo mi dici delle cose negative e mai o quasi mai positive. Questo mi ferisce perché mi fa sentire un inetto, un incapace. Così incontrarti diventa sgradevole e negativo… ».

« Mi rendo conto che la qualità del mio lavoro sia importante per lei, ma so anche che il mio lavoro non è così malfatto ».

« Capisco che il mio modo di educare i ragazzi ti stia a cuore, ma so anche che i miei figli hanno stanno crescendo bene e hanno le loro qualità ».

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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