Editoriale di Claudio Rao
Riscrivere il galateo anni duemila potrebbe essere una buona idea, ma incarnarne i valori sarebbe poi molto più arduo.
Nei piccoli centri, in questi decenni, sta prevalendo l’abitudine di rivolgersi agli estranei alla seconda persona, in vece della terza.
Dare del tu, come a parenti e conoscenti, sembra essere un modo di manifestare cortesia, cordialità, accorciare le distanze e, tutto sommato, essere più moderni.
Forse per via dell’inglese, ormai imperante (più per passiva arrendevolezza che per i locutori nativi¹) che però – ricordiamolo – ha un’identica forma (you) per il tu e per il voi. Errato quindi, o quanto meno semplicistico, affermare che “in inglese ci so dà tutti del tu”.
Se una volta la seconda persona era riservata solo ai giovanissimi e unilateralmente dall’adulto al ragazzino, oggi che ho i capelli bianchi mi sento rivolgere il tu da personcine che potrebbero essere miei figli o miei nipoti.
Non vi è più nessuna differenza di età, né di sesso. Neppure le persone anziane, ricchi di anni e di esperienza, ne sono risparmiati. Spesso proprio nel momento di maggiore fragilità, in RSA o in ospedale, in un momento in cui andrebbero invece valorizzati.
A nulla serve continuare imperterriti con la terza persona. Pochi capiscono e si adeguano, fors’anche per le carenze maturate nelle aule scolastiche. È ormai noto che uno degli strascichi del Sessantotto è il tu rivolto alle maestre e spesso anche dirigenti scolastici che, in luogo di correggere e rettificare, se ne gloriano come fosse segno di un indubbio progresso sociale.
Saranno poi i professori, per lo più, a riproporre l’uso della coniugazioni verbali più consone ad estranei o a persone di rispetto. Per inciso, molti parroci hanno ceduto allo spirito di questa pseudouguaglianza del “volemose bene” (cui ispirano anche le loro tenute vestimentarie).
Fin da giovane, ricordo che il tu a tutto campo mi infastidiva. Ora che lo sono molto di meno, quando azzardo a rivolgermi ad un ventenne alla terza persona, vengo nella maggior parte dei casi invitato a non farne uso dagli stessi interessati!
Ricordo ancora come un’icona il grande presentatore Corrado che, in una puntata de « Il pranzo è servito », rispose ad un giovane che lo invitava ad usargli la seconda persona (“Non è il caso di darmi del lei, ho solo vent’anni”): « Ma per carità, non mi permetterei mai! ».
L’eleganza e lo stile, insomma, si devono incarnare diversamente a seconda di periodi ed epoche storiche. Nulla mi toglie tuttavia la nostalgia di un educato manierismo che, ancorché piemontese, non trovo né falso né cortese.
¹ In Svizzera (cantoni germanofoni), Austria, Germania, Belgio (Comunità tedesca) e Lussemburgo si parla tedesco. In Francia, Svizzera (Romanda), Belgio (Vallonia), Andorra e Lussemburgo ci si esprime in francese. In Italia e Svizzera (Ticino) in italiano, in Spagna e Andorra spagnolo, in Portogallo portoghese e così via
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