Comfort zone (di merda)

Comfort zone (di merda)

Editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso

Il termine inglese comfort zone, che tradotto in lingua italiana significa zona di conforto, indica genericamente quello stato d’animo che fa ritenere di avere tutto sotto controllo, di trovarsi in un clima familiare che, quindi, non produce stress. O non ne produce più di tanto.

Lo stress, per la maggior parte degli esseri umani, è generato da situazioni e condizioni che non si riesce a gestire in quanto, per lo più, derivano da fattori esterni o da situazioni e condizioni che si conoscono poco.

Non importa se la comfort zone sia, a tutti gli effetti, una condizione di vita di merda, perché la cosa importante per la maggior parte delle persone è non cambiare, non modificare ciò che si conosce, sia mai che facendo un passo oltre il buio si possa scoprire la luce!

Potrei fare un esempio basandolo su un altro criterio, quello del razzismo in generale (non quindi relativo alle razze ed etnie); quando non si conosce qualcosa o non si riconosce come simile qualcuno, ecco che nella maggior parte degli individui scatta un “allarme” che produce chiusura (mentale). E’ anch’essa una forma, becera, di razzismo. Escludo, cancello, tengo lontano da me ciò che non conosco. E’ questo il pensiero di chi non progredirà mai verso una forma di civiltà che produce miglioramenti.

Il gregge ama la comfort zone di merda

L’editoriale di oggi di Boni Castellane esordisce con questa riflessione:

Boni ha ben sintetizzato ciò che chiamo da anni “Comfort zone di merda“.

Per una larga fetta di umanità stare dalla parte della Narrazione, che in questo caso significa abbracciare in maniera passiva tutto ciò che passa il “convento” (fondamentalmente attraverso i media) fa vivere meglio coloro che non conoscono vita alternativa alla comfort zone di merda.

D’altronde, campare restando al calduccio, accovacciati al buio e senza mai alzare la testa, è la massima ambizione dei pavidi.

Far parte di un grande gruppo, anzi di un enorme gregge, non genera la necessità di movimento mentale e neppure fisico a ben guardare.

Per queste persone, eredi dei greggi del passato, non esistono dubbi perché il dubbio presuppone l’attivazione del pensiero e il pensiero può far scattare la capacità critica: troppa fatica, troppo impegno, troppa paura.

Paura di vedere la luce e restarne accecati.

Chi sceglie di restare a vita al caldo della comfort zone di merda, può mica immaginare che la luce non acceca bensì apre orizzonti e rende possibili miracoli.

Del fatto che l’evoluzione della specie umana non sarebbe stata possibile senza la capacità di aprirsi e andare avanti oltre ciò che si conosce a costoro importa zero. Se questi individui fossero vissuti qualche milione di anni fa con le stesse caratteristiche mentali, la razza umana non avrebbe fatto un passo oltre il periodo dell’Homo Habilis.

Conclusioni

Si ritiene “moderna” l’epoca attuale che, di fatto, corrisponde a uno dei periodi storici peggiori per ciò che concerne il progresso del genere umano.

Lo sviluppo incalzante delle tecnologie informatiche, come era scontato che avvenisse, sta contribuendo sostanzialmente a far regredire l’umanità, che non essendo – genericamente parlando – fornita di una certa dose di curiosità, tende a smettere di pensare, di risolvere problemi, di lambiccarsi i neuroni per cogitare e quindi, progredire.

Si evolve compiendo un passo dietro l’altro, superando livello dopo livello, non certo decimando la propria capacità intellettiva e approvando, senza alcun tipo di interesse reale, la Narrazione imperante e il tutto, al solo scopo di ottenere un’approvazione generale e quell’appagamento morale di cui ha scritto oggi Bonifacio Castellane, di cui, personalmente, farò sempre volentieri a meno.

Abbiate cura di voi stessi ma sopratutto delle nuove generazioni, perché senza la dovuta formazione al pensiero critico precipiteranno – sta già accadendo – all’interno del nulla.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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