Prontuaroi della distensione – Perfezionisti: distensione, missione impossibile?

Prontuaroi della distensione – Perfezionisti: distensione, missione impossibile?

Rubrica a cura del dottor Claudio Rao

Pignoli, perfezionisti o semplicemente “troppo coscienziosi” come fare a staccare la spina?

Perfezionista Ad una prima ricerca su Google, emerge una definizione capace di elucidarci. Al secondo punto, cito testualmente, spiega: « Chi, nell’ambito della propria attività o del proprio lavoro, ricerca, talvolta in maniera eccessivamente pedante, la perfezione »; ma il primo è ancora più esplicito: « Sofferente di perfezionismo ». Il significato ci indica chiaramente che questo termine, spesso usato in modo approssimativo, lo è addirittura a sproposito. Perché spesso sostituisce esigente, preciso, minuzioso. Un vero perfezionista è colui che “soffre di perfezionismo”, ovvero non riesce in alcun momento ad allentare la propria tensione interiore in alcuna attività. Altrimenti detto, un’autentica rarità (che necessita di un aiuto personale).

La maggior parte di noi, me compreso, è ciò che si definisce rigoroso. Un aggettivo che, sempre via Google, viene definito: « Di persona, che dimostra un’inflessibile coerenza, severità e intransigenza » (e che dà già il suo bel daffare!). Queste persone non sono mai soddisfatte, hanno una certa familiarità con i sensi di colpa quando le cose non funzionano (sentendosene sempre un po’ responsabili), esitano a prendere decisioni per timore di sbagliarsi, dedicano gran parte del proprio tempo a ordinare, strutturare e classificare, preferiscono occuparsi personalmente di un’attività in luogo di delegare e possono dare l’impressione di essere un po’ fissate e maniacali.

L’attenzione al particolare, tipica del “perfezionista” (termine che useremo “per difetto”), è solo la punta dell’iceberg di questa personalità. Una personalità il cui funzionamento sembra legato a tutta una serie d’imperativi morali: “devo”, “bisogna”, “è necessario”… spesso strettamente collegati all’intima convinzione che “se è perfetto, è positivo; se non è perfetto è negativo”. L’aristotelico “giusto mezzo”o il più banale “compromesso” non rientrano nelle sue dinamiche.

Il primo passo sarà dunque quello di rendere meno rigidi questi imperativi, di relativizzarli attraverso le loro applicazioni alla realtà concreta. Per esempio, attraverso l’interiorizzazione di convinzioni del tipo: “è vero che devo svolgere il mio lavoro al meglio, ma non posso sapere e controllare sempre tutto; è possibile che io faccia degli errori, ma questo non significherà che sono una persona negligente o un incapace!”.

Altro problema delle persone “perfezioniste” è quello  di considerarsi responsabili di tutto ciò che succede attorno a loro e di coloro che le circondano. Situazione fortemente ansiogena oltreché per nulla realistica! Un capoufficio, per esempio, si sentirà responsabile del cattivo lavoro di un collaboratore o un dipendente. Questo farà sì che costoro non riescano a delegare né a fidarsi, che consegnino il lavoro in ritardo perché tendono a rifare o ricontrollare interamente quanto svolto da altri, che inquadrino tutti rigidamente in procedure e protocolli atti a prevederne esattamente le attività. Un’intransigenza proporzionale alla loro tendenza a ritenersi responsabile a 360°.

Il secondo passo sarà il comprendere che imbrigliare tutto e tutti in procedure estremamente vincolanti, aumenterà la tensione e lo stress delle persone preposte ai vari compiti, favorendone le confusioni e gli errori.

Altro limite delle persone “perfezioniste” è l’allergia all’approssimazione e l’ansia generata dalla mancanza di controllo sul lavoro degli altri, soprattutto nel quadro delle attività collettive (a scuola come in ufficio). Con la conseguenza di accollarsi la maggior parte dei compiti. Questo tende a incentivare lo stress del perfezionista senza peraltro promuovere le capacità degli altri membri che tendono ad adattarsi e perfino ad adagiarsi su di lui. Altro passo indispensabile sarà dunque il cessare di lavorare al posto di altri.

Per il “perfezionista”, le procedure, i protocolli, sono rassicuranti perché delineano chiaramente un quadro e i suoi limiti. Tuttavia non è possibile avere regole passepartout che valgano cioè per tutti ed in ogni situazione. Anche l’identità della persona preposta ha la sua importanza: la sua personalità, la sua cultura, la sua esperienza giocano un ruolo non secondario (o dovrebbero farlo). In altre parole, le regole sono “cosa buona e giusta”, ma per usare un eloquente detto evangelico « Il sabato è stato fatto per l’uomo e non l’uomo per il sabato! » (Mc. 2,27). Un altro utile suggerimento sarà allora quello di non rispettare sempre e ottusamente le regole.

I “perfezionisti” appaiono ingessati nella loro visione del mondo cadenzata da regole da rispettare, dove ogni errore è vissuto come una colpa morale. È necessario che imparino a rilassarsi, fare scelte impulsive ovvero più emotive che razionali.

A noi tutti, perfezionisti debuttanti o di lungo corso, lancerei una sfida, un consiglio pratico alla vigilia dell’estate: quello di viaggiare da soli all’estero. Questo cambiamento di paese e di cultura ci permetterà di staccare la spina più agevolmente, di avere meno timore di essere giudicati, di sperimentare prospettive diverse ed altre visioni del mondo. Più ancora: suggerirei di prenotare soltanto le prime due notti da casa; il resto direttamente sul posto, sforzandoci di parlare con gli abitanti locali e di conoscere tante altre persone. Lasciarci un pochino in balìa delle circostanze per sperimentare la vita e noi stessi in maniera nuova e diversa. 

DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO

Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

Lascia un commento

Your email address will not be published.