2020 – 2023: una pagina di storia conclusa?…

2020 – 2023: una pagina di storia conclusa?…

Editoriale del nostro inviato da Berlino, Daniel Abruzzese

A tre anni dall’inizio della pandemia sembra arrivato in Germania il momento della resa dei conti. È necessario ammettere gli errori commessi, dice la politica. È necessario ricompattare la società, dichiarano giornalisti ed esperti. Ma soprattutto, pare sia necessario lasciarsi alle spalle un momento storico traumatico e guardare in avanti. È singolare che, per quanto ogni paese europeo abbia affrontato in maniera diversa la pandemia, il sipario si chiuda ovunque con le stesse parole.

Chi vive fra i lupi impara ad ululare

“Oggi sappiamo che molte misure contro il Coronavirus erano insensate, esagerate, in parte illegali. Il che rende ancora più spaventoso quanto sia stato facile sospendere dei diritti fondamentali. Una pagina di storia vergognosa, anche per noi giornalisti”, scriveva pochi giorni fa Alexander Neubacher su Der Spiegel, invitando lettori e colleghi a riflettere sul passato recente.

Il suo non è un appello isolato: da diverse settimane molti quotidiani tedeschi ospitano una rubrica in cui personalità più o meno rilevanti vengono invitate a discutere su ciò che negli ultimi tre anni non ha funzionato come previsto. Il cancelliere austriaco Karl Nehammer si è spinto ad invocare una commissione per la riconciliazione dopo il Coronavirus, che ricomponga le fratture createsi nella società. Karl Lauterbach, l’attuale ministro della salute in Germania, ha assicurato il sostegno dello Stato ai danneggiati da vaccini (delle cui cure, ha assicurato, si faranno carico le loro assicurazioni sanitarie).

Insomma, a nord delle Alpi spira un vento anacronistico, che ha l’odore della primavera del 2020: quando il Die Zeit invitava i lettori ad adeguarsi alle normative emanate dal governo, rimanendo però consapevoli che un intervento così invasivo nella sfera personale doveva rimanere un episodio eccezionale ed irripetibile; o quando, dalle colonne della Frankfurter Allgemeine Zeitung, uno dei principali pneumologi tedeschi si chiedeva se i suoi colleghi italiani, presi dal panico, non avessero intubato in maniera troppo frettolosa migliaia di pazienti, senza troppo riflettere sui possibili esiti infausti; ovvero quando l’allora ministro della sanità, Jens Spahn, varando le prime misure restrittive, dichiarò: “Avremo molto da farci perdonare”. Oggi, rivediamo il volto dell’ex ministro sulla copertina di un libro-intervista che porta lo stesso titolo. E la cui morale è riassumibile nella frase che ricorre da un po’ con insistenza in televisione, nei tribunali, nelle aule parlamentari, sui social media: i dati a disposizione erano parziali e hanno reso inevitabili certe decisioni. Uno dei fondamentali insegnamenti che questi tre anni ci hanno lasciato è che, davanti a un obiettivo da raggiungere, il particolare è irrilevante – sia esso anche la salute o l’esistenza di un singolo.

Dogmi incontrovertibili

“Siamo colpevoli nei confronti di molte persone, io stesso mi sento personalmente in colpa verso molte persone”, ha dichiarato ai microfoni del Bayerischer Rundfunk Heinrich Bedford-Strohm, il vescovo evangelico della Baviera. E prosegue, parlando del suo ruolo di consulente per le regole da adottare ai tempi della pandemia: “Se avessi agito diversamente, forse sarei stato corresponsabile della morte di molte persone”. Perché appunto, le regole saranno state anche sproporzionate, ma non si discute che abbiano salvato vite umane. Nei prossimi mesi, saranno sicuramente pubblicati degli studi e delle statistiche, che ci istruiranno sull’efficacia dei coprifuochi notturni, o delle restrizioni sul numero di persone e nuclei familiari da invitare a casa durante le festività.

Né è in discussione che le proteste contro le misure del governo fossero organizzate dall’estrema destra. Si dovrebbe comunque riconoscere a posteriori, sostiene Heribert Prantl della Süddeutsche Zeitung, che non tutti quelli che hanno protestato contro le misure erano neonazisti o negazionisti. D’altra parte, però, a dimostrare come coloro che scendevano in strada durante la pandemia (“andare a passeggiare ha perso ogni diritto alla presunzione di innocenza”, aveva efficacemente dichiarato il presidente della Repubblica Steinmeier) fossero tendenzialmente estremisti di destra, ci hanno pensato i factcheckers: giovani appassionati di informazione, con un’ottima padronanza dei mezzi di comunicazione, che a colpi di sarcasmo, peer reviews e tecniche di framing, sono riusciti a dar forma ad una realtà marmorea, su cui tutti i dubbi si infrangono o scivolano. È dunque ovvio che le manifestazioni per la pace, ovvero contro l’invio di armi in Ucraina, siano l’eredità dei Querdenker, dei no vax, dei critici, incoraggiati magari da qualche finanziamento da oltrecortina.  

La peste bruna – e una folla di inconsolabili

Möge die gesamte Republik mit dem Finger auf sie Zeigen”; “che tutta la popolazione della Repubblica punti il dito contro di loro”, così potremmo tradurre il titolo di uno dei bestseller degli ultimi mesi, che poi non è che una citazione di un editoriale, apparso sullo Spiegel nel dicembre del 2020.

Marcus Klöckner e Jens Wernicke, i curatori del saggio, hanno proposto una silloge di proclami di politici, giornalisti ed altre figure eminenti nel dibattito pubblico, rivolti contro i non vaccinati: dall’editorialista che invitava la parte buona della nazione ad escludere dalla vita sociale chi alla fine aveva scelto da sé di non far parte della società, all’annunciatrice del TG, che concludeva la trasmissione ringraziando i “renitenti al vaccino” per aver regalato alle persone responsabili un altro inverno in lockdown ed essersi resi colpevoli di omicidio colposo. Nell’elenco non mancano le massime autorità dello stato, che parlano di una minaccia per la società civile da bandire dalla vita quotidiana, o la comica che si spinge ad utilizzare la metafora, di uso comune durante il Terzo Reich, dell’appendice purulenta da estirpare dal corpo sano della società.

Eppure, molto prima di diventare plausibili in ambito politico, televisivo o giornalistico, tali argomentazioni erano parte di una normalità, che sui social appariva ancor più dilatata. Nessuno è rimasto realmente stupito delle delazioni ai danni di chi contravveniva alle regole, né di aver visto comparire l’annuncio, vergato a mano, sulle vetrine dei negozi “non comprate dai non vaccinati”, e neppure del fatto che ad una parte della popolazione (si tratterebbe di 16 milioni in Germania, stando alle ultime statistiche) fosse vietato l’accesso alle attività e gastronomiche, ai tribunali e alle sedi istituzionali, e che la politica valutasse divieti ancora più pesanti, abortiti forse solo a causa della loro inapplicabilità nel concreto.

E dunque, l’iniziativa di Klöckner e Wernicke è encomiabile, quanto meno da un punto di vista di cronaca storica. Per il resto, essa è nata sotto una cattiva stella: quella dell’aspettativa che, tornati ad una normalità, si dovesse mettere in discussione ciò che era successo prima, e magari aspettarsi delle scuse, dalla politica, dai giornalisti, dai media, dai singoli individui.

Alla base del libro sta insomma l’illusione pericolosa, comune a tutti quelli che pretendono una riflessione sull’epoca del Covid-19, che ci sia una normalità da restaurare. In cui si presuppone che le Costituzioni diventino un fondamento etico della società (e basterebbe tornare alla fin troppo citata Hannah Arendt per chiarire questo equivoco). Un mondo in cui la politica agisce sempre e solo nell’interesse di ogni cittadino, ovvero di ogni individuo, quando invece il suo compito è da sempre quello di mediare fra gli interessi dei vari gruppi di potere e mantenere un ordine, magari deciso altrove. In questo mondo ideale, si presume inoltre che i giornalisti dovrebbero tornare a lavorare come cronisti obiettivi, ignorando gli umori dei consumatori – che insomma ogni persona agisca per un bene superiore, a costo di rinunciare alla propria tranquillità.

Chi reclama le dimissioni dei politici che hanno approfittato della loro posizione, che hanno usato toni che si credevano relegati agli anni più bui del Novecento, o il ritiro a vita privata dei giornalisti e degli scienziati che si sono slanciati con entusiasmo a giustificare la realtà degli ultimi tre anni, ha finalmente i suoi quindici minuti di celebrità. Ma l’unica conclusione auspicabile a questi tre anni, sarebbe che la chiusura del sipario fosse accolta dal silenzio più assoluto.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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