Il rimprovero (Le reproche caustique! – In nomine Patris et Filii)

Il rimprovero (Le reproche caustique! – In nomine Patris et Filii)

Di Lucaa del Negro

L’emarginazione sociale, l’oblio originato dalla discriminazione di un tempo ritrovato ormai distorto, sgradevole e guerrafondaio, è il prossimo destino inevitabile (fatalista) di chi ha deciso di sopravvivere; il cittadino abusato dall’autorità [ri]costituita nel falso, teso egli nel presente, furibondo verso gli ignavi giunti alla sua cerchia con l’ingegno di lenire l’esistenza prospettata servile, l’educata Persona -in somma: questo è il mio messaggio- ha unicamente l’esilio quale buona prospettiva.

Si presti attenzione: il presente scritto ha carattere esclusivamente informativo e deve essere inteso come espressione di un parere o di una indicazione o presupposto al fine di adottare decisioni che non sono supportate dal sito che le ospita, nondimeno dal gentile Direttore -pregiata “mosca bianca” del giornalismo italiano– il quale si riserva di intervenire secondo modalità e tempi non disponibili pubblicamente fino a che non lo saranno.

Giuocoforza, il salvacondotto etico e morale che si evince da queste righe, è un atto post-nichilista, uno che umanamente Vi esorto a considerare, scansata la sottomissione alla volontà Vostra del pensiero altrui, laddove il volgare danaro, la posizione da assumere, la stabilizzazione sociale, sono da considerarsi complicità e sottomissione al reale nemico già copiosamente identificato in grazia alla letteratura disponibile del recente passato ed oggi in bella mostra in qualche cassetto mediatico lasciato apposta aperto. Il riferimento alle opere pasoliniane oggi così accessibili che immaginare il braccio della allora censura talmente lungo da essere capace di agguantare le maniglie di quei cassetti lasciati aperti, è consentito nello svelamento della pura noia degna di una produzione netflixiana che ripropone quelle pièces: voltastomaco. (Dispiace pensare che il defunto poeta ammazzato avrebbe potuto così pensare delle sue opere oggi in bella mostra grazie a quelli che combattè con ferocia?)

L’abnorme massa incosciente, annebbiata, ipnotizzata e ottusa, non ha più reputazione, quantunque le banderuole alla mercé dei venti sono un lontano ricordo dell’Italia adesso morbosa e dipendente dai feticci radiotelevisivi che dividono -per dire- le folle tra papi, diavoli, calciatori e capi clan; intendere di una reprimenda massone, sterzata in motti cospirazionisti, forse utile quanto un secchio di acqua gelida in inverno sul capo, è tuttavia importante: e lo è davvero se essa stessa fosse veramente deviata?
Il sottrarsi e cedere, accettare la sconfitta dei numeri -inoltre- è un’opzione che sgombrerà l’animo da quelle malsane nebbie che calano quotidianamente sopra di noi?

La testimonianza che offro è differente: l’isolamento non è esattamente una resa, una capitolazione, perché -presa di coscienza- allontana la forma di reazione che non può che seguire una attività post-borhese e neo-terroristica, indi, non essendo esattamente pensiero teoretico, è, o meglio, potrà essere, quell’atto di amore che l’umanità malgrado tutto si merita. (In questo frangente di cerebralismo spicciolo, è un atto generoso, disinteressato quanto basta e soprattutto altruistico considerato che “bizzarro” non sta scritto da nessuna parte…)

I fatti sono manifesti: la comicità, appannaggio dei saltimbanchi, approdata in attività di “Governo” con fare criminale (i riferimenti sono all’ordine del giorno e divulgati dagli stessi autori degli scempi) attraverso la propaganda fagocitante della informazione e della contro-informazione come cortina fumogena, non può essere contrastata dalla Politica, dai Giornalisti disperatamente freelance; ciò che dai Palazzi i delegati rappresentano, è bullismo caratteristico del melodramma mafioso, né più né meno, e Treccani è esaustiva a volerla consultare sui sinonimi del termine che normalmente impervia nelle scuole dell’obbligo gestite da sottopagati cosicché disgraziati: arroganza, impertinenza, insolenza, irriverenza, maleducazione, prevaricazione, sfrontatezza, spacconeria, spavalderia, strafottenza, violenza.

La “ricerca della verità”, è uno slogan di bassa lega, adatto ai teenager, ai ragazzini “Amici” in odore del primo mestruo prima e dopo “Onlyfans“; a forza di intravederla nei fazzoletti sbiaditi e un tempo gialli sopra i vetri delle finestre, urlata nei cortei senza leader impegnati questi e tutti nei social a tenere la linea un passo indietro i fumogeni, mescolati essi e non poco a quelli che insozzano le fila istigando una pseudo-lotta tra “destra e sinistra” con in tasca l’ordine DIVIDI ET IMPERA, persa tutta la compagine dedita alla satira, che cosa -dunque- fare?
Aspettare altri venti e trent’anni? E noi -non sicuri se rimanere, se sorvegliare i giovini immigrati incompresi- il tempo ce l’abbiamo per osservare lo stillicidio? Vale la pena di resistere ingozzando rospi e vermi e larve ed i nuovi canali Telegram ed i telegiornali Blù e tutti i post del mattatore di turno?

La verità non esiste: esiste la realtà

La realtà di scoprirsi, magari in fallo dinanzi all’ipocrisia di un articolo condivisibile e domani già invisibile come lo è il suo rapporto, la fragile identità scoperta dal danaro come mezzo e per offendere e per difendersi dall’offesa, a conferma dell’esistenziale quesito sì conformista per averlo -il danaro- intascato, o in ansia dell’ira sopraggiunta per non averlo potuto contare nonostante le richieste mai sottintese per continuare. Questa è la realtà per chi soffre delle masse la cui condivisa e connessa esistenza di oggi non può che essere scialba e nemica da qualunque lato la si osservi, specialmente in (questo) tempo di guerra che potrebbe chiudere questo capitolo con un fatidico regolamento di conti.

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