Rubrica settimanale a cura del dottor Claudio Rao
L’uomo, lo sappiamo da tempi immemorabili, è un “animale sociale” secondo la nota asserzione aristotelica. Eppure molto spesso le nostre relazioni sono ingessate, condizionate da abitudini e manierismi dettati dal bon ton, sanciti dalla buona educazione. Altrimenti detto, formali, fredde, prive di compassione od empatia.
Tuttavia tra cordialità di circostanza e reale apertura all’altro, la differenza è sostanziale.
Beatrice, ragazza all’epoca ventiquattrenne, condivise con me quest’esperienza che cito a braccio a una quindicina d’anni di distanza. « Giorno dopo giorno, la mia vita si svolgeva tra l’ufficio e il mio appartamento. Con gli stessi identici ritmi e cadenze. Tutto era prevedibilissimo. Ognuno si relazionava ai colleghi secondo i ruoli svolti e criteri prestabiliti.
L’anno scorso, l’autunno fu particolarmente difficile. La monotonia delle giornate le rendeva interminabili. Ero in fase semi-depressiva quando un collega, al bar della ditta, si è infervorato parlando della nascita dei suoi due gemelli. La gioia gli sprizzava da tutti i pori. Ci mostrava con orgoglio le foto dei neonati. Era talmente felice che era impossibile restare indifferenti. Al ché, un altro collega ha tirato fuori dal portafoglio le foto dei suoi bambini.
Di lì a qualche minuto, hanno incominciato a circolare le foto delle nostre rispettive famiglie, dei fidanzati, delle mogli e perfino degli amici con cui si erano condivise le ferie! Abbiamo condiviso le ragioni della nostra gioia e del nostro orgoglio. I nostri occhi brillavano di felicità quando condividevamo vissuti e sentimenti simili. È in quel preciso momento che ho conosciuto davvero i miei colleghi. Poi siamo tornati al lavoro. Ciascuno alle proprie mansioni. Con una differenza. Ciò che avevamo condiviso insieme aveva trasformato le nostre relazioni: eravamo tutti più attenti e più ricettivi nei confronti degli altri! ».
La qualità delle relazioni interpersonali e il coinvolgimento emotivo giocano un ruolo fondamentale per il nostro benessere. E contribuiscono a farci vivere e assaporare intensamente il presente.
Dimostrare un autentico interesse alle persone che ci sono accanto, lasciandoci coinvolgere da un sorriso o interpellare da uno sguardo, accogliere una parola sincera o ascoltarci senza preconcetti né pregiudizî, non sono cose impossibili e lontane. Né tantomeno ardue e pericolose.
Un percorso iniziatico tanto impegnativo quanto appassionante e ricco di sorprese. Potremmo incominciare col metterci all’ascolto di noi stessi, per progredire nella capacità di ancorarci al presente e migliorare la percezione del nostro corpo e dei nostri desiderî.
Per poi elaborare un nuovo e diverso rapporto col tempo, adottando ritmi più sincroni alla nostra natura e uno stato di coscienza progressivamente più libero dai fardelli del passato e le ansie del futuro. Questo ci porterà i primi frutti, ovvero il piacere di gustare i momenti unici e i piccoli doni che la vita ci offre quotidianamente. Per finire, potremmo imparare a godere il presente non più da soli, ma insieme agli altri.
Il nostro benessere, la nostra gioia aumenta quando si espande al nostro entourage.
Per godere insieme del momento presente è necessario allenarsi ad essere disponibile agli altri. Essere ricettivi, attenti e aperti a coloro che ci circondano. Esperienze che ci renderanno più forti e resilienti, capaci di dare e ricevere consigli ed attenzioni, approfittare della complicità tra amici, godersi l’intimità di coppia e le gioie familiari e perfino capaci di qualche piccola follìa per trascorrere dei bei momenti insieme.
Saper ascoltare con attenzione, non è una qualità specifica riservata a noi professionisti dell’aiuto alla persona. Nell’ascoltare il nostro interlocutore ci poniamo istintivamente in un atteggiamento di apertura, di disponibilità ad accogliere l’altro. Il che non significa auspicare che pensi come noi e neppure che ascolti le nostre raccomandazioni o i nostri consigli.
L’atteggiamento di ascolto e di apertura può favorire la condivisione dei vissuti altrui, incoraggiare la nostra empatìa, ampliare la nostra visione del mondo, nutrire – nell’analogia o nella diversità – la nostra esperienza di vita. E insegnarci a relativizzare.
Interessarci realmente alle parole dell’altro, dimenticandoci per un attimo dei nostri crucci, può avere valenze terapeutiche; risollevarci dall’ansia, evacuare la nostra tristezza.
Abbandoniamo i banalissimi “Come va?”, evitiamo di parlare senza una pausa della nostra ultima gita se il nostro interlocutore non manifesta particolare interesse. Disponibilità è innanzitutto attenzione all’altro.
“Sbottonandoci” in maniera più autentica, potremo favorire un clima di complicità nel quale il mutuo arricchimento ci permetterà di scoprire ed arricchirci della sensibilità dell’amico, incoraggerà confidenze feconde di suggerimenti e di empatìa; svelerà sentimenti ed emozioni; genererà sorprese; favorirà sorrisi, facendoci assaporare attimi di autentica felicità.
Tuttavia per esercitare efficacemente questa modalità d’interazione, dobbiamo realizzare che “Sentire non basta, bisogna saper ascoltare”. Un suggerimento per metterla in atto ci viene dallo psichiatra e filosofo tedesco Karl Jaspers che parla di « ascolto attivo ».
Questo “ascolto” ha la qualità di mostrare che si accoglie l’altro senza giudicarlo. Se ne ascoltano le emozioni senza guidarne la conversazione, accompagnandolo anzi nella sua ricerca di soluzioni; privandoci di trasmettergli consigli od opinioni.
Alcuni suggerimenti semplici ed efficaci, utili ai professionisti come ai profani.
La qualità dell’ascolto consiste a lasciare che la persona si esprima, senza interromperla, autorizzandola a raccontare ciò che sente senza alcuna reazione da parte nostra. Quando ha terminato, l’interlocutore riformula ciò che ha capito senza giudizî nè commenti.
Così la persona ascoltata si sentirà capita, riconosciuta. Questo le proverà che è importante per colui che l’ha ascoltata. Si sentirà rispettata e considerata. Prestandole attenzione, l’ascoltatore non cercherà di replicare nè di argomentare nè di consigliare. Ascoltare è essere attenti all’altro, ai suoi pensieri, ai suoi sentimenti; scoprire le sue qualità e riconoscerne le competenze affinchè possa cercare autonomamente le proprie risposte alle sue domande ed alle sue preoccupazioni.
DONA ORA E GRAZIE PER IL TUO SOSTEGNO: ANCHE 1 EURO PUÒ FARE LA DIFFERENZA PER UN GIORNALISMO INDIPENDENTE E DEONTOLOGICAMENTE SANO
Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
Lascia un commento