Editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso
All’inizio fu la propaganda. Diffusa al pari del verbo divino così da plasmare le idee degli esseri umani e a nutire quella che oggi chiamiamo “opinione pubblica” con dosi di informazioni utili a magnificare gesta e decisioni intraprese dagli imperatori, poi via via dai governatori e dai politici in era moderna.
Il drammaturgo greco Eschilo, oltre 2500 anni fa, espresse questo pensiero: “In guerra la verità è la prima vittima“. Oggi questa riflessione è più che mai attuale…
La propaganda spiegata con parole semplici
Cos’è la propaganda? La narrazione modificata della realtà col fine di convincere le popolazioni su una verità diversa rispetto alla realtà dei fatti. Solitamente viene utilizzata come strategia per migliorare l’immagine dei leader o per mistificare le decisioni politiche per farle gradire maggiormente al popolo.
Alcuni ritengono che realtà e verità siano la medesima cosa. Lo è per le persone affette da una patologia incurabile che si chiama “sincerità incorruttibile”, non lo è per chi con facilità vende la propria onestà intellettuale al miglior offerente…
Realtà e verità: esiste una differenza?
Per quanto mi riguarda, realtà e verità hanno il medesimo significato. Vedo, ascolto, registro gli accadimenti, approfondisco studiando riporto fedelmente i fatti, documetando tutto. Chiaro, asciutto e pulito. Per non rischiare l’eventuale dolo da parte di chi vorrebbe abbattere la cronaca dei fatti che rendo noti attraverso le mie inchieste, fornisco prove inconfutabili. Non sono corruttibile.
Coloro che pretendono di filosofeggiare sui criteri di realtà e verità o fanno parte dei mistificatori o dei poveri confusi che sono caduti pienamente nella rete della mistificazione, al punto da ritenere che esistano due diversi livelli, la realtà e la verità, su cui si possa dibattere.
Se invece si desidera dibattere sul criterio di verità assoluta in contrapposizione a ciò che si ritiene essere la realtà, entreremmo in un canale di dibattito lontano dal concetto centrale di questo mio editoriale, inoltre si rischierebbe di discostarsi dalla verità incontrovertibile, quella che – per esempio – chi fa svolge la mia professione può mostrare e dimostrare pubblicando prove inconfutabili. Che poi arrivi l’esercito dei cosiddetti “debunker” – coloro che vengono pagati per smascherare le fake news, le notizie false, è un tema a parte su cui è arrivato il momento di riflettere collettivamente.
Giornalismo d’inchiesta, debunker e fact-checker: chi ci garantisce il garante?
Da qualche anno anche in Italia si parla di frequente di fact-checking. Letteralmente significa verifica dei fatti ed è una delle mansioni che noi giornalisti utilizziamo prima di dare alle stampe una notizia. O meglio: il mio settore professionale, che è quello del giornalismo, dovrebbe deontologicamente mettere in atto una preventiva e attenta verifica delle fonti e dei fatti, così da non rischiare di mandare in pubblicazione notizie false e tendenziose, le fake news, appunto.
Ovviamente, la verifica delle fonti è necessaria quando non si è presenti a un fatto che poi si riporta attraverso una notizia. Esiste però un altro piano di fondatezza delle fonti, che è rappresentata dai documenti ufficiali, quindi inoppugnabili, che in alcuni casi noi giornalisti rendiamo noti, per esempio quando lavoriamo a un’inchiesta.
Giornalismo d’inchiesta
Esempio pratico: se lavoro a un’inchiesta sulla malasanità, dovrò innanzitutto raccogliere prove su prove cercando documenti ufficiali, dichiarazioni pubbliche audio e video , dichiarazioni a mezzo stampa… Un lavoro certosino, come mettere insieme i tantissimi pezzi di un enorme puzzle di cui, all’inizio, non si conosce perfettamente il disegno finale ma si ha consapevolezza del tema centrale.
Man mano il disegno si disvela, pezzo dopo pezzo si arriva al passo successivo che poi si interseca con l’elemento chiave che ti fa andare avanti fino alla conclusione o almeno, alla comprensione degli avvenimenti. Quelli accaduti realmente e che ti permettono di raccontare la verità sui fatti. Non sono quindi opinioni personali, bensì la cronistoria fedele e supportata da documentazioni certe e ufficiali di fatti accaduti e che stanno accadendo.
Il giornalismo è sempre investigazione, ma nel caso delle inchieste è a un livello di investigazione superiore. Altra cosa importante: proprio in virtù del fatto che ormai da anni l’informazione viaggia sui canali del web, per noi giornalisti d’inchiesta è importante salvaguardare le informazioni e mantenere custodita anche la cronologia di certe pubblicazioni.
Per fare un esempio: se sul sito di un ministero trovo un’informazione che sarà utile a una mia inchiesta, non solo salverò la pagina ma procederò ad archiviarla professionalmente, così che possa essere dimostrata la pubblicazione di informazioni in date precedenti qualora avvenissero modifiche o cancellazioni: la professionalità si avvale della competenza e degli strumenti necessari a svolgerla. Ecco perché è importante comprendere la vera natura della mia professione, che non corrisponde a “saper scrivere bene”, che è semmai la professione degli scrittori.
Debunking VS giornalismo investigativo
Debunker e giornalista investigativo svolgono la stessa professione? La risposta è NO.
Il giornalista d’inchiesta inizia a seguire un caso, raccoglie prove, documenti originali, dichiarazioni, mette insieme i pezzi di un puzzle e arriva ad approfondire una situazione al punto da far emergere gli accadimenti reali. Siamo investigatori che maturano competenze atte a comprovare come sono davvero andate le cose su quel particolare tema, settore, fatto accaduto. Abbiamo competenze in campo giuridico, sappiamo come e dove cercare documenti originali e quando è possibile renderli pubblici, abbiamo la formazione, e la memoria, necessari a mettere insieme – storicamente e cronologicamente – i fatti accaduti, siamo in grado di verificare le notizie e di creare una narrazione degli avvenimenti che si basa sulla documentazione originale.
Un debunker lavora per contribuire all’eliminazione della circolazione delle false notizie, le fake news, quelle che fondamentalmente circolano sui social.
Il suo lavoro dovrebbe sostenere il giornalismo.
Uso il condizionale per un motivo: per chi lavora il debunker? E’ un elemento indipendente, per esempio, dai partiti politici? Chi ci garantisce il garante?…
Dal momento in cui, a livello europeo, si è avviato un processo di regolamentazione delle informazioni circolanti sui social, giungendo al punto da istituzionalizzare – in qualche modo – la figura del debunker attraverso il fact-checking, ecco che il cosiddetto garante diverrebbe l’Unione Europea. A sua volta, l’Unione Europea può garantirci di essere super partes? E’ indipendente? Da chi?
Facciamo un altro esempio pratico: i paesi europei che fanno parte dell’Alleanza Atllantica, possono dichiararsi indipendenti da una decisione intrapresa collettivamente dai paesi alleati sul tema dell’informazione e della comunicazione?
Lascio in sospeso questa riflessione per permettere a ogni lettore la libertà di pensarci su e di rispondere autonomamente.
Elezioni presidenziali USA del 2016: un caso su cui riflettere
Il caso: anche se non è mai stato chiarito fino in fondo, ciò che sembra sia accaduto è questo: attraverso la diffusione via social di notizie false o distorte, e con un’abile strategia capace di disseminare odio e divisione tra gli elettori, sulla piattaforma Facebook fu avviato un meccanismo strategico teso a ottenere un risultato certo in relazione al candidato alla presidenza degli Stati Uniti, Donald Trump.
Mark Zuckerberg, CEO di Facebook (ora META), è un sostenitore di Trump e il candidato alle presidenziali spese all’epoca un milione di dollare a settimana per diffondere la sua campagna elettorale sul famoso social. Qualcuno potrebbe chiedersi: è lecito pagare così tanto denaro per fare campagna elettorale?
La risposta è SI.
La seconda domanda, che evidentemente si posero in molti, portando alla fine Mark Zuckerberg a dover rispondere nell’aula del Senato americano, è se è lecito consentire a un candidato alle presidenziali di divulgare infornazioni sui social pagando somme ragguardevoli.
Di seguito un interessante articolo sul tema Facebook elezioni presidenziali USA: https://www.linkiesta.it/2019/10/elezioni-facebook-manipolare-zuckerberg/
In quel periodo storico, le politiche di Facebook consentivano un’ampia libertà di diffusione delle informazioni. Alla base di questa scelta aziendale si celava l’incrollabile criterio della democrazia. Anche nei regimi democratici esistono limiti alla propaganda politica, sopratutto, se paghi cospicue somme per accaparrarti ampi spazi su un’enorme piazza virtuale.
Art. 656 del Codice Penale: reato di pubblicazione di notizie false
Il codice penale all’art. 656 riconosce il reato di pubblicazione di notizie false al fine di reprimere il fenomeno delle fake news.
Quale sarebbe la condotta che rischia di essere sanzionata penalmente? Nella pubblicazione o diffusione di “notizie false, esagerate o tendenziose”, da non confondere con l’art. 265 del c.p. che oltre a punire la pubblicazione di “notizie false, esagerate o tendenziose, condanna anche la diffusione o comunicazione delle cosiddette “voci”.
Per comprendere la differenza tra “informazione” e “voci”, ci viene in aiuto la Cassazione attraverso la sentenza n. 3967 del 17 marzo 1977 ha evidenziato come la “voce” sia caratterizzata “dalla vaghezza e dalla incontrollabilità” (dell’informazione in essa contenuta e diffusa), mentre la “notizia”, rilevante ai fini della configurabilità del reato di cui all’art. 656 c.p., è invece un’informazione “”non del tutto svincolata da oggettivi punti di riferimento che consentano la identificazione degli elementi essenziali di un fatto e ne rendano possibile il controllo”.
L’anno di emanazione della suddetta sentenza – 1977 – deve far riflettere su un fatto: il tema non è recente come molti ritengono. La mistificazione delle informazioni, così come la divulgazione di informazioni distorte o di voci che possono modificare l’opinione pubblica è un dibattito aperto e sempre acceso.
Cittadini disarmati contro la mistificazione nell’informazione
La domanda che molti cittadini si pongono di fronte alla quantità crescente di informazioni che circolano, è questa: come possiamo comprendere quale sia la realtà dei fatti se non abbiamo gli strumenti e la formazione necessaria a verificare le notizie?
E’ un quesito importante, in special modo ai nostri giorni. Come dipanare la matassa ingarbugliata che può trarre in inganno una moltitudine di persone che non sono in grado, non essendo in possesso di strumenti adeguati, di scremare le falsità o l’esagerazione che ammanta certe notizie, per giungere alla vera informazione?
Un tempo avrei consigliato la lettura di più testate giornalistiche per confrontare la diversa narrazione della stessa notizia. Facendo una sorta di media, il lettore poteva in qualche modo esercitare una verifica seppur in maniera grezza.
Oggi è diventato più difficile. Se il cittadino si affida unicamente ai debunker non ha garanzia di indipendenza reale e quindi, torniamo alla domanda “Chi ci garantisce il garante”? Basti pensare agli accordi che sono stretti tra i più importanti social network, come Facebook, e organizzazioni che forniscono il servizio di debunking che, spesso, sono legate a partiti politici. Questo tipo di verifica è alla portata di tutti, è sufficiente approfondire un minimo.
Se il cittadino si affida unicamente all’informazione di Stato, non è ugualmente garantita la trasparenza o la completezza delle notizie. Tutto dipende dall’ingerenza della politica che può fare pressione anche sul settore dell’informazione, come ho spiegato in questo mio recente editoriale Le finestre di Overton: come imparare a chiuderle per non congelare il cervello in cui ho anche riportato i casi di colleghi giornalisti Rai che hanno detto NO a questo tipo di ingerenza, arrivando a sospendersi dall’incarico pur di non cadere nell’imposizione della divulgazione parziale dell’informazione a causa delle richieste dei governi in carica.
Se sceglie di leggere sul web la questione si complica ulteriormente: internet pullula di “siti di informazione” che spesso non sono testate giornalistiche e quasi non rispondono delle norme deontologiche.
Come verificare le fonti
Il problema è reale e l’impatto sulla società devastante. E’ quindi necessario che ogni singolo cittadino formi se stesso – almeno un poco almeno – alla comprensione di ciò che significa verifica delle fonti, per esempio.
Un consiglio a tutti: oggi Internet è praticamente alla portata di tutti.
Quando si legge un’informazione su un sito non certificato come testata giornalistica, si può fare una verifica di base inserendo una chiave di ricerca su un motore come Google.
Se la stessa informazione/notizia appare su testate giornalistiche si può iniziare a scremare e quindi a considerare quella notizia come veritiera.
La testata giornalistica che ho fondato e dirigo dal 2006 è per esempio regolarmente registrata presso il Tribunale di Roma. Già questo deve far comprendere la differenza tra un blog e un vero giornale. Con questo non dico che a volte anche certe testate giornalistiche non scelgano di imbellettare un po’ le informazioni o di alterarle secondo la linea di pensiero del partito politico di riferimento (E’ sempre accaduto e fa parte del sistema di propaganda politica) ma se, per esempio, parliamo di fatti di cronaca, la conferma sulla vericidità della notizia si può avere con la verifica che ho appena consigliato di condurre.
Per il resto, sviluppare la capacità critica aiuterà a dipanare la matassa del caos in cui siamo tutti immersi, ma avendo qualche strumento utile in mano, si potrà navigare più a vista…
Di seguito inserisco un contenuto interessante per chi desidera approfondire il tema:
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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