Approfondimento esclusivo a cura del dottor Claudio Rao
«É terribile avere 20 anni nel 2020! ». La frase, pronunciata dal presidente della Repubblica francese Emmanuel Macron in riferimento alla “pandemia”, mi stimolò ad interrogarmi sul vissuto degli adolescenti degli anni Venti. Così, andai su diversi siti e giornali a reperire le – sempre illuminanti – riflessioni di Daniela Lucangeli, brillante docente universitaria e psicologa dello sviluppo con un discreto successo mediatico.
Da quella congerie di appunti sono scaturite riflessioni che, nella cupa atmosfera attuale, colma di baccano mediatico sui venti di guerra, mi fanno compiangere coloro che si affacciano alla finestra della vita; gli adolescenti, appunto.
L’adolescenza non è mai stata un lungo fiume tranquillo. Direi che assomiglia piuttosto alla vivace traversata di un mare in burrasca. Certo, è un’età che rimpiangiamo più o meno tutti; ma soltanto una volta approdati al porto sicuro di un lavoro ed una famiglia.
Come hanno vissuto l’adolescenza i ragazzi del 1899, trasferiti direttamente dal liceo al fronte della Prima Guerra Mondiale? E coloro che, nati successivamente e per questo considerati “la generazione fortunata” hanno avuto la propria giovinezza segnata dalla Seconda?
Come stanno vivendo i nostri ragazzi, dopo la quarantena e le traumatizzanti misure sanitarie e sotto la minaccia di una guerra nucleare, la propria giovinezza?
« Il problema è che non siamo consapevoli di che tipo di vita interiore stiano vivendo – spiega la dottoressa Lucangeli. L’adolescenza non è mai stata un’età facile perchè essa è da milioni di anni un passaggio evolutivo fondamentale, che porta alla maturazione della propria identità ». Ma che “identità” possono crearsi i ragazzi in siffatti contesti socio-politici? Con dei genitori che nella maggior parte dei casi sono “adulescenti”, cioè privi della maturità necessaria per costituire un riferimento sicuro? Le generazioni che dovrebbero essere il loro referenti generano, nella maggior parte dei casi, insicurezza.
Ci atteggiamo adulti con frasi tipo “Come va a scuola?” “Sii più responsabile” e ci comportiamo da ragazzini sui nostri smartphone tra gruppi Whatsapp e amori virtuali.
« Per arrivare a un contatto bisogna aver prima generato un confronto autentico – precisa Daniela Lucangeli. E per farlo bisogna mettersi in gioco, parlare di sè ai proprî figli e ai proprî nipoti, per ritornare al noi […] ».
Mettersi in discussione non significa dimettersi dal proprio ruolo adulto comportandosi come un ragazzino, ma aprirsi ad un atteggiamento dialogico, empatico e simpatetico. Per abbandonare atteggiamenti egotistci e ricostruire un “noi”, come in un gioco di lego o un mecano.
« Ai genitori in crisi dico: andate a cena, al cinema, a ballare se occorre, create del noi, a costo anche di sedervi semplicemente a fianco e stare zitti. […] I nostri figli hanno bisogno di un’intimità interiore con noi […] di sapere che noi siamo felici di essere i loro genitori, nonostante i reciporoci limiti » suggerisce la psicologa.
Insomma, poniamoci in modelli ma non sul piedestallo! Capaci di accettare anche le critiche e di incassare i rifiuti. I nostri adolescenti, nella maretta dei loro vissuti e in un’epoca come la nostra, hanno disperatamente bisogno di “modelli adulti di riferimento”. Da accettare, rifiutare, criticare, rielaborare. Un percorso indispensabile alla crescita.
« In assenza di modelli che arginano e contengono, ciascun ragazzo e ragazza si rispecchia con coetanei altrettanto vulnerabili » precisa Lucangeli. Il che spiega, almeno parzialmente la “fluidità” dei modelli identitari e di genere.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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