Germania in Autunno

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Germania in Autunno

Editoriale di Daniel Abbruzzese (nostro inviato da Berlino)

Da giorni corre voce, su diverse testate italiane, che il Parlamento tedesco abbia votato contro l’invio di armi all’Ucraina. Si tratterebbe di una ritorsione per il sabotaggio del Nordstream, si sostiene. In realtà, la Germania rimane saldamente a fianco di Kiev e si rassegna a ritirarsi definitivamente dal progetto Nordstream e ad accelerare la deindustrializzazione.

Un sabotaggio annunciato ed un solo colpevole

“Thank you, USA”, commentava l’eurodeputato Radosław Sikorski dal suo profilo Twitter, all’indomani delle esplosioni che mettevano fuori uso i due gasdotti Nordstream. Dell’ex ministro degli interni e della difesa polacco avevamo parlato nel nostro ultimo editoriale, rammentando di come egli sia da sempre stato uno dei più accesi avversari del progetto russo-tedesco. Nel giro di poche ore, Sikorski aveva cancellato il suo tweet controverso: “un messaggio irresponsabile” e “segno inconfondibile della propaganda russa”, lo aveva bollato il segretario di stato polacco Żaryn.

Ancora più frettolosamente, a Bruxelles, ma anche in Scandinavia, si era iniziato a parlare di sabotaggio. Il che, nel circo mediatico, equivaleva all’aver già trovato un colpevole. E, come insegna molto cinema d’oltreoceano, un colpevole è sempre radicalmente cattivo, animato da un odio cieco e folle, che trascende anche il proprio tornaconto. Ad avallare la teoria che i responsabili del sabotaggio del Nordstram fossero i russi, arrivavano spiegazioni ancora più convincenti: un false flag per incolpare gli americani, la prospettiva di commesse miliardarie per ricostruire il gasdotto, un’ulteriore possibilità di mettere sotto pressione l’Europa (che si è tuttavia già impegnata da mesi a rinunciare alle forniture energetiche russe).

Davanti alla logica stringente dell’aggressore e dell’aggredito perdevano consistenza anche alcuni fatti concreti: la celebre conferenza stampa del 7 marzo scorso, in cui Biden assicurava che il Nordstream 2 sarebbe stato presto un ricordo, il passaggio di un nutrito gruppo di fregate statunitensi davanti all’isola di Fehmarn il 24 settembre; e infine, un’esercitazione NATO nelle acque del Baltico nelle ultime settimane di settembre, registrato dai segnali radar, che ricalcava gli schemi di una manovra militare messa in atto un anno prima. In occasione dell’esercitazione Bornholm Bash, mezzi militari di USA, Polonia, Svezia e Danimarca avevano inscenato nel Baltico il sabotaggio di un gasdotto, ma erano stati costretti a rientrare precipitosamente alla base.

Ma al di là dell’inconsistenza dei fatti e della logica ferrea delle opinioni, il sabotaggio rappresenta un messaggio diretto innanzitutto alla Germania: i margini per trattare con la Russia sugli approvvigionamenti energetici sono esauriti. E, anche nell’improbabile caso che fra qualche anno le forniture di gas russe tornassero ad essere eticamente sostenibili, sarebbero le infrastrutture a mancare. Ora, per quanto il giornalista investigativo Pepe Escobar abbia recentemente fatto notare che i danni alle condotte del Nordstream siano minimi e riparabili nel giro di poche settimane, l’avvertimento alla locomotiva economica d’Europa rimane inequivocabile.

A gettare ombre ancora più dense su Berlino sono arrivate, con sempre maggiore insistenza, le richieste da parte della Polonia di risarcimenti per i danni patiti nella Seconda Guerra Mondiale, per un ammontare di 1,3 bilioni di euro. Molti ricorderanno che una richiesta simile era stata avanzata dalla Grecia nel 2013, in un momento storico in cui ai partner europei era apparso evidente come l’economia tedesca si approfittasse della propria posizione di vantaggio a scapito delle nazioni più deboli. O meglio, in uno dei momenti ricorrenti in cui la confusione fra il piano politico e quello economico riattizzava nelle popolazioni europee un rancore verso la Germania mai totalmente sopito. I paragoni fra la Bundesrepublik ed il Terzo Reich, insieme alle accuse di un’eccessiva ambiguità nei confronti della Russia, erano stati sdoganati dal New York Times nel 2008 e da allora erano entrati a far parte del discorso pubblico in tutta Europa, per lasciare un’eco che arriva fino ad oggi.

Zimbello o spavento dei popoli

“La Germania si riprende la sua dignità”, “finalmente Berlino si vendica del colpo al Nordstream”, “ancora una volta, i tedeschi pensano per sé e lasciano da soli gli altri europei”: questi alcuni commenti raccolti sul web in merito ipotetiche reazioni del Parlamento tedesco al sabotaggio del gasdotto. In realtà, a Berlino dopo il 27 settembre si è avvertito più che altro un silenzio terrorizzato. E la fantomatica votazione del Bundestag contro l’invio di armi all’Ucraina, tenutasi il giorno successivo, altro non era che una discussione su una mozione della CDU-CSU, il partito della ex cancelliera, che richiedeva a gran voce l’invio di armi di ultima generazione sul fronte ucraino. Effettivamente, la maggioranza si è opposta, essenzialmente per dinamiche politiche, a forniture di armi più potenti, ma la linea del governo rimane la stessa, perfettamente riassunta dalla ministra degli esteri Annalena Baerbock: “saremo sempre a fianco dell’Ucraina, qualsiasi cosa ne pensino i nostri elettori”.

Gli invii di armi proseguiranno insomma secondo i programmi, compatibilmente con le disponibilità della Bundeswehr. Così come proseguiranno i piani per un risparmio energetico. Né cambiano i piani di approvvigionamento energetico: i nuovi fornitori di gas scelti dalla Germania sono infatti più affidabili, anche se, così si è espresso mercoledì il ministro dell’economia Robert Habeck, da alleati storici come gli Stati Uniti ci si sarebbe aspettati un trattamento più amichevole, quantomeno sui prezzi. Ad ogni modo, le riserve di gas accumulate basteranno a garantire un inverno sereno alla popolazione, garantiva lo stesso ministro settimane fa. O forse no, sarà necessario razionare le forniture ai privati. Ma, così sempre Habeck, almeno dal punto di vista energetico la Germania sarà al sicuro fino all’anno prossimo. Anche se, interveniva la sindaca di Berlino Franziska Giffey, l’interruzione dell’erogazione dell’elettricità per 3-4 ore al giorno sarebbe alla fine uno scenario plausibile, se non addirittura auspicabile.

 #FrierenfürdenFrieden, “gelare per la pace”, era stato lo hashtag lanciato dall’ex presidente della repubblica Gauck. E questa rimane la linea su cui si accorda la maggior parte dei cittadini, a parte una sparuta minoranza che si ostina a scendere in piazza, e in mezzo a cui diversi politici e giornalisti giurano di aver riconosciuto bandiere prussiane e saluti hitleriani. Di sicuro, quando i rigori del freddo e la mancanza di elettricità avranno garantito la pacificazione del conflitto in Ucraina, la maggioranza dei tedeschi ne apprezzerà anche i significativi benefici sul clima.

Il peggior incubo immaginabile

“Per gli Stati Uniti la paura primordiale è il capitale tedesco, la tecnologia tedesca, unita con le risorse naturali e la manodopera russa”, dichiarò George Friedman, fondatore della Strategic Forecasting inc. e figura di spicco in alcuni dei più importanti think tank statunitensi, vere e proprie fabbriche del linguaggio a cui la politica è sempre più spesso costretta ad attingere. Non stupirà dunque che l’interruzione di un asse russo-tedesco sia stato uno dei punti più ricorrenti nei discorsi degli ultimi presidenti americani (in maniera lampante di Trump, che arrivò ingenuamente a minacciare di bombardare il porto di Greifswald per distruggere le condotte del Nordstream). Altro tema familiare alle fabbriche del pensiero, che raramente, tuttavia, affiorava anche in politica, è quello dei conflitti fra i diversi stati europei, da sfruttare opportunamente per mantenere un equilibrio al di qua dell’Atlantico. Figure come Sikorski, lo abbiamo visto sopra, sono state fondamentali in questa ottica. Sarebbe infatti anacronistico pensare ad una superpotenza mondiale che interviene per stabilizzare o allargare le sue aree di influenza come in un gioco da tavola. Piuttosto, appare evidente come certi complessi industriali, o, in termini più attuali, stakeholders, intervengano ormai senza resistenze non solo in Nord America, ma anche in realtà a noi più vicine, senza neanche più dover dettare un’agenda alla politica.

A proposito di anacronismi: a non pochi sarà sfuggita la scomparsa di Angela Merkel dalla scena pubblica europea. La ex cancelliera si era eccezionalmente concessa per un’intervista lo scorso giugno. E, pressata dal giornalista, che a nome di tutta la Germania le chiedeva conto dei suoi errori di valutazione nei rapporti con la Russia, dichiarava: “Non ho mai creduto al cambiamento [di un altro paese] tramite il commercio, ma ho creduto ad una connessione tramite il commercio. E in questo caso parliamo della seconda potenza nucleare del mondo”. E, se anche la Russia avesse usato il gas come un’arma – cosa che, assicura Merkel, non è successa neanche dopo il 24 febbraio – non era legittimo andare contro gli interessi dell’economia e della popolazione tedeschi. È davvero un peccato che il linguaggio concreto e dimesso della cancelliera non sia stato reso abbastanza spesso nelle traduzioni in altre lingue, prima che l’epoca Merkel volgesse al declino.

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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.

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