Rubrica a cura della giornalista Susanna Schivardi e del sommelier Massimo Casali
*Immagini e video originali di Eleonora Casali
Si è appena conclusa la prima edizione del Lazio Wine Experience, il 18 settembre a Villa Cavalletti di Grottaferrata e dedicato tutto ai vini del Lazio.
L’evento, organizzato da Saula Giusto fondatrice di Roma Wine Experience ed organizzatrice di eventi, insieme a Veronica Laurenza, proprietaria del Ristorante Il Bacaro a Roma, è stato concepito pervalorizzare e far conoscere agli appassionati il vino di Roma e del Lazio, relegato ad una serie b che lo ha per troppo tempo escluso da un parterre di grandi nomi. Il vino laziale deve affrancarsi da un ruolo che lo ha visto tristemente protagonista di osterie e taverne, fin dagli anni ’50, dove non si cercava il buon vino ma solo un prodotto che potesse soddisfare facili palati. Viticoltori locali si sono trovati a dover produrre tanto con alte rese e bassissima qualità, per affrontare una domanda crescente. Che peccato, se pensiamo a quante glorie si è meritato il vino laziale fin dai tempi degli antichi romani, in quella conca vulcanica che ha impresso le sue caratteristiche molto decise alla terra e ai frutti, protetti dai monti e accarezzati dal mare.
Quello che oggi vogliamo raccontare è un cammino che guarda al futuro, e come non farlo se non in un luogo d’eccellenza come Villa Cavalletti, dimora storica sorta nel ‘500 e che offre una magnifica terrazza panoramica sui castelli, nonché sede di una cantina che produce vini raffinati ed eleganti. Azienda capofila di un progetto volto a promuovere e divulgare, con una fitta e corretta comunicazione, il terroir, le caratteristiche e le potenzialità di un territorio naturalmente vocato alla viticoltura. Un esempio di come vino, cibo e cultura possano sposarsi benissimo ad un’accoglienza impeccabile, dove l’enoturismo diventa esperienza di qualità ed esempio per tutti quei produttori che si impegnano per sdoganare il vino del Lazio e rilanciarlo senza più esitazioni.
L’evento ha proposto al pubblico, tra cui stampa e operatori del settore Horeca, banchi di assaggio di 48 produttori vinicoli, suddivisi per sottozone laziali, e le seguenti masterclass, Uno, nessuno e centomila, sui vitigni autoctoni condotta da Marco Cum e dall’agronomo Paolo Savo Sardaro, Il Simposio, una sceneggiatura perfetta che ha visto protagonisti piatti gourmet accompagnati da vini pregiati, e condotto da Saula Giusto e infine un percorso attraverso le caratteristiche dei Vini Frascati con Andrea Gori, che ha moderato Il Vulcano di Roma e la mineralità dei vini Frascati, a cui abbiamo con piacere partecipato. Ma le sorprese non sono finite e l’organizzazione ci ha stupito con un evento davvero unico, la Chef Eleonora Masella si è esibita in tre preparazioni raffinate e geniali, realizzate proprio davanti ad un pubblico numeroso. Ecco le creazioni esclusive per l’evento: Kravlax di salmone, arancia e finocchi, Tartare di manzo con cipolle caramellate e maionese al wasabi, Polpo scottato su Gazpacho, con pane croccante e germogli di rughetta.
Dopo il buon cibo, passiamo al vino di qualità
Partiamo dal Consorzio Tutela dei Vini Frascati, tre banchi di assaggio dove abbiamo degustato un ottimo Frascati Superiore D.O.C.G. 2021 di Vinea Domini, cantina Gotto d’oro, che è esploso con tutti i suoi sentori tipici. Un bellissimo naso di frutta bianca non matura accompagnato da un’immancabile freschezza e salinità che ne completano il gusto. Mediamente persistente ha buone chance di invecchiamento ma per ora una bella beva da abbinare ad antipasti oppure alla tradizione romanesca di carbonara o di carciofi alla Matticella. Una ricetta contadina di Velletri, che nasce da una bella leggenda. Si dice che un giorno due giovani amanti, presi dalle loro effusioni, abbiano dimenticato sulle matticelle, i tralci di vite usati per la brace, dei carciofi, che arrostendosi hanno sprigionato un’inattesa bontà. Oggi si preparano con mentuccia, aglio fresco e olio abbondante e lasciati sui tralci fino ad abbrustolirsi. Togliendo le foglie più esterne, scoprirete che il cuore all’interno è estremamente gustoso. Piatto tipico delle scampagnate e delle carciofolate locali.
Proseguiamo con Cantina Amena, Società Agricola Mingotti, a raccontarcela il cantiniere Francesco. Azienda di Lanuvio, certificata Bio e a breve anche Vegan, possiede 14 ettari vitati con una resa di 60 quintali/ha per una produzione varia, che va dagli autoctoni agli internazionali, solo per citarne alcuni, Malvasia Puntinata, Cesanese, Syrah e Merlot, Trebbiano e Incrocio Manzoni. Tra i bianchi la Malvasia in purezza e blendata, tra i rossi il Cesanese in purezza e il Doc Roma, il Roma appunto, con Montepulciano e Cesanese di Affile, in pari quantità. L’azienda, rilevata nel 2004, vede nascere la cantina nel 2014, con una produzione di 50mila bottiglie l’anno. Altissima selezione delle uve, non lascia spazio ad una produzione più ampia, almeno per adesso. Nuovo arrivato un rosato di Syrah e Montepulciano, chiamato Rosam e dedicato alla mamma Maria Rosa, ma per la degustazione ci rivolgiamo al bianco Bibe, 2021, blend di Sauvignon e Incrocio Manzoni, dove esce immediatamente la classica nota del vitigno internazionale, un naso fresco e giovane, in bocca apre ad una spinta notevole di acidità che lo rende ottimo per fritture di pesce oppure un pescato del giorno poco elaborato.
Spostiamo la nostra attenzione verso un’azienda dal nome alquanto bizzarro ma assai accattivante, Cìfero. Eleonora, la mia fidata foto e video reporter, mi consiglia di parlare con la titolare al banco di assaggio, perché oltre ad essere giovane, ha un bello sguardo attento e cordiale.
Conosciamo così Maria Laura Cappellini che insieme al fratello Luca, addetto alla cantina, conduce questa azienda relativamente giovane. Tra Colonna e Zagarolo, 35 ettari acquistati dal nonno negli anni ’50, per coltivare uva ma anche altra frutta. Negli anni ’70 il nonno Gino ha l’idea di eliminare alcuni vigneti e produrre kiwi verde. Un’intuizione geniale di quello che sarebbe avvenuto decenni dopo ma che allora in paese era visto come un azzardo. Col tempo il nonno ha avuto le sue ragioni e in paese si vociferava che “Gino ne sa una più del diavolo”, da cui il nome Cìfero. All’oggi si contano 15 ettari di kiwi e 10 ettari vitati, per una produzione destinata a crescere. Per adesso avremo a breve un Cesanese che ancora sta riposando in bottiglia, e in attesa si contano il Trebbiano, il Syrah e il Montepulciano, non ancora pronti. Oggi con Maria Laura degustiamo il Vermentino di clone toscano che non delude le nostre aspettative su questo vitigno che, vediamo, si sta adattando benissimo ovunque. La conduzione a Guyot e bassissima resa per grappolo, con vendemmia a mano e in cassetta, permettono una bella filiera che finisce con la criomacerazione dell’uva nelle grandi celle frigorifere, eredità della coltivazione di frutta. Tutto acciaio per valorizzare le caratteristiche dei vitigni, in questa distesa vulcanica che da sola regala sentori unici ai vini del Lazio. Sotto la sapiente guida dell’enologo Angelo Giovannini, questo Vermentino si esprime con un naso molto delicato, agrumato, arricchito da frutti bianchi e frutta poco matura. In bocca risulta molto sapido, seguito da un agrume e con un finale erbaceo interessante. Tipico vino austero, pulito, asciutto e verticale, come nella filosofia dei titolari, che cercano linearità in tutti i loro prodotti.
Passiamo al Sauvignon Blanc, perché qui oggi ci rivela una personalità davvero inattesa. Questo vitigno internazionale, che Maria Laura propone al pubblico, fa da apripista per le enoteche e i ristoranti. Il Sauvignon di Cìfero, condotto a Guyot senza defogliatura, per coprirlo da un sole molto più brutale di quello del Nord, al naso si presenta con una bella nota erbacea, menta, che in bocca si affianca ad un pompelmo rosa sposato ad una pesca gialla, che lo rende rotondo, e assai persistente. Un tramite di dialogo perfetto per proporre oltre agli internazionali anche i vini laziali da vitigni autoctoni, che ancora faticano ad imporsi nelle carte dei ristoranti locali.
Come non dedicare del tempo ad un’azienda che abbiamo rincorso per mesi e che oggi si racconta grazie a Sara Costantini, figlia di Lorenzo Costantini, che ci apre lo scenario su Villa Simone, un’azienda di grandissimo respiro, nel cuore dei castelli a Monte Porzio Catone, dal 1982 ad oggi vede un rinnovamento costante, nella produzione e nella tecnologia avanzata messa a disposizione di quello che la natura ha da offrire spontaneamente. Tra i 200 e i 400 circa metri sul livello del mare, sotto Tuscolo, dove ombra e sole si alternano creando un microclima eccezionale, nonostante la forte siccità, le piogge recenti hanno ridato vigore alla produzione, e per adesso unico grande cruccio di Sara è una presenza assai allarmante di cinghiali che riescono a rovinare fino all’80% dell’uva in vigna. Ci concediamo all’ombra della ricca vegetazione della villa, un ottimo Brut che però fa l’occhiolino ad un Extra Dry, come dice Sara “è nato da un compromesso tra mio padre e mia madre che preferisce una bollicina più delicata”. Passiamo per la Malvasia del Lazio in purezza, con un anno di bottiglia, frutto di un esperimento riuscitissimo, quello di lasciare riposare il vino, per farlo esprimere al meglio. Effettivamente molto ben formato ed elegante, si distingue dai Frascati abituali. Profumato, si presenta con note precise, come del resto il vino che andiamo a degustare subito dopo, il Villa dei Preti, chiamato così da un antico terreno, il primo acquistato dalla famiglia, appartenuto appunto ai preti del posto, da cui Vigna dei Preti. Una volta venduto, non si è potuto mantenere il nome originario che si è trasformato in quello attuale. Frascati Superiore D.O.C.G., uve che crescono tra i 250 e i 320 metri slm, al naso abbiamo dei frutti gialli molto maturi, albicocca, ananas, fiori bianchi sul finale, e in bocca il tutto si traduce in una solida struttura, data anche da un clima che non segue ormai i suoi antichi tracciati.
Terminiamo con l’assaggio di un vitigno autoctono riconosciuto da poco, il Maturano, che degustiamo nella doppia interpretazione di Antica Tenuta Palombo, azienda che azzarda anche qualche mese di legno, per un 25% che poi viene riassemblato, per dare corpo alla struttura, e a seguire la versione biodinamica dell’azienda Poggio alla Meta.
Scorriamo velocemente davanti ai banchi di Merumalia, Parvus Ager con Giacomo Lulli, fratello di Alessia Lulli che tempo fa ci concesse una bella intervista in cantina, Tenuta Le Rose, Cincinnato, Viae, Cantina Il Bottino, Tenute Filippi, e tanti altri tra cui Murgo di cui ricordiamo con immenso piacere il Nero Buono di Cori Spumante Brut, un vitigno che pareva dimenticato e che invece, una volta riscoperto, si è riproposto come grande espressione del terroir dove cresce.
Ringraziamo i partners dell’evento, in particolare Eventi di Cartone, per aver realizzato in cartone sedie e tavolini, da riciclo, in un’ottica ecosostenibile molto apprezzata. Per la ristorazione i modernissimi Temporary Restaurants, Il Bacaro di Roma e Stravizi di Mare.
A cura di Susanna Schivardi e Massimo Casali – foto e video originali di Eleonora Casali
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