Di Luigi Borghi
Le persone con background migratorio non sono coinvolte nella discussione pubblica e sono fortemente sfiduciate verso le istituzioni italiane. A evidenziarlo la ricerca condotta da WeWorld, organizzazione impegnata da 50 anni a garantire i diritti di donne, bambine e bambini in 25 paesi del mondo compresa l’Italia nell’ambito del nuovo progetto SHAPE – SHaring Actions for the Participation and Empowerment of migrant communities and Local Authorities – finanziato da bando europeo AMIF (Transnational Actions on Asylum, Migration and Integration).
In Italia oggi vivono 5 milioni di cittadini stranieri e un milione e 250mila persone cittadine italiani con background migratorio.
WeWorld, in collaborazione con IRS, ha raccolto le opinioni di diverse persone con background migratorio sulle loro esperienze di partecipazione alla discussione pubblica e politica. Dallo studio emerge che i cittadini di origine straniera non si sentono né rappresentati adeguatamente né coinvolti nelle decisioni pubbliche, anche e soprattutto quelle che li riguardano. Una delle questioni più sentite è il tema della cittadinanza (nel 2020 solo 131.803 persone hanno ottenuto la cittadinanza italiana, a fronte di una popolazione straniera residente in Italia di circa 5 milioni di persone) e, collegato a questo, il diritto di voto. Tutto ciò non fa che aumentare la mancanza di fiducia nelle istituzioni italiane, come emerge dallo studio di WeWorld.
Eppure poter esprimere le proprie istanze, venire ascoltati e riconosciuti aiuterebbe nella formulazione di politiche di integrazione più attente e rispondenti ai reali bisogni. Politiche più efficaci per contrastare il rischio di esclusione sociale che riguarda il 42% dei cittadini non comunitari e la grave deprivazione materiale che riguarda il 15%.
“È necessario mettere le persone con background migratorio nelle condizioni di poter partecipare alla vita della comunità di cui fanno parte, coinvolgendoli nella discussione pubblica e nei processi decisionali – spiega Elena Caneva, responsabile Centro Studi di WeWorld – Sono persone che vivono ormai in Italia da molti anni o vi sono nati, che partecipano attivamente alla vita economica e sociale del paese e che vorrebbero sentirsi parte a tutti gli effetti, esprimendo le proprio istanze in un dialogo e confronto diretto (e non mediato, come spesso accade) con le istituzioni.
Nell’indagine emerge un problema di fiducia verso le istituzioni italiane – la maggior degli intervistati dichiara di aver paura di accedere ai servizi locali e non crede che i propri bisogni possano trovare una risposta adeguata (ad esempio, in alcuni casi preferiscono tornare nei loro Paesi per motivi di salute).
È in questo contesto che nasce il progetto SHAPE che ha come obiettivo quello incentivare la partecipazione delle comunità migranti nei processi democratici e nell’ideazione e implementazione di politiche di integrazione a livello locale, nazionale e comunitario delle comunità migranti.
Un progetto europeo che si svolge in 3 diversi Stati di confine – ovvero Italia, Ungheria e Croazia, in cui l’opinione pubblica appare particolarmente negativa nei confronti dei migranti – in altri 2 Stati leader per quanto riguarda la partecipazione dei migranti al processo democratico, Germania e Portogallo.
Per capire le azioni necessarie da mettere in atto, il 21 luglio i partner di progetto hanno presentato i risultati delle analisi condotte nei singoli Paesi durante il webinar “SHAPE The Society We Want”, dimostrando quanto sia cruciale la partecipazione e il coinvolgimento nella vita democratica delle comunità migranti. L’analisi è stata realizzata attraverso una metodologia comune in tutti e cinque i paesi grazie al contributo di IRS, Istituto per la Ricerca Sociale riconosciuto a livello internazionale, che ha curato la parte sui focus group, e sarà la base da cui partiranno le attività di capacity buiding per le comunità migranti.
Sono stati ascoltati i bisogni di comunità migranti e persone con background migratorio riguardo a cinque tematiche centrali per condurre una vita piena e soddisfacente: abitazione, istruzione, salute, lavoro e gender mainstream.
- L’analisi condotta da WeWorld sulla base dei dati disponibili in letteratura evidenzia in particolare alcune questioni: Nonostante in passato ci siano stati tentativi di creare meccanismi consultivi nazionali volti a favorire la partecipazione dei migranti alla cosa pubblica, gli effetti sono stati irrilevanti.
- La partecipazione politica in senso stretto, intesa come possibilità di votare e candidarsi alle elezioni, è legata all’ottenimento della cittadinanza.
- È nella struttura sindacale che i migranti hanno trovato il loro principale canale di partecipazione politica intermedia e, soprattutto, di mobilitazione politica. 1 lavoratore migrante su 2 è iscritto a un’associazione sindacale, mentre il dato si ferma al 34% (1 su 3) per i lavoratori italiani (IDOS, 2020). Ma non è sufficiente.
- Le persone con background migratorio vivono la partecipazione civica soprattutto a livello locale, dove sentono che i loro bisogni primari sono valutati più da vicino. È proprio nelle forme meno convenzionali che la partecipazione vede maggiore fermento e vivacità.
- In Italia, le persone con background migratorio non avendo una voce propria e soprattutto uno spazio per rivendicare i propri bisogni e necessità, vedono le proprie istanze portate avanti da stakeholders della società civile. Il Terzo settore in questo contesto sopperisce un vuoto politico.
- Nel 2020, erano 931 le associazioni e gli enti privati iscritti al registro associazioni migranti che operavano per i cittadini con background migratorio in Italia: cooperative sociali, scuole, università, centri di ricerca, aziende private, strutture sanitarie, enti religiosi, ecc.
- Un database del Ministero del Lavoro compilato su base volontaria dalle associazioni conta attualmente 1.149 associazioni registrate. La maggior parte delle associazioni sono plurinazionali, ma i dati suggeriscono anche che le comunità di lunga data, che hanno creato reti nel corso del tempo, si sono impegnate maggiormente nelle associazioni e sono più propense a partecipare alla società civile.
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