Rubrica settimanale a cura del dottor Claudio Rao
« Aspetto sempre le vacanze per approfittare del presente e impregnarmi dell’atmosfera e della bellezza della località prescelta. Per me, vacanza significa decelerare! Esattamente il contrario di ciò che faccio durante l’anno, al lavoro e nella vita.Vivo le mie giornate a rallentatore, rispettando i ritmi del mio corpo tra pasti, passeggiate e riposo. Assaporo l’alternarsi del giorno e della notte. Faccio lunghe passeggiate respirando a pieni polmoni. A volte mi siedo su una panchina per osservare da spettatore la vita locale o nei dehors per gustarmi una granita. Non sono sempre stato così però! Quando ero ragazzo, trascorrevo le mie vacanze con gli stessi ritmi febbrili del resto dell’anno. Ogni giorno doveva essere pianificato, intenso, ricco di attività. Non esistevano tempi morti. Così, spesso finivo per rientrare a casa stanco come quando ero partito! Ora però in vacanza rallento i ritmi e non piànifico più nulla in anticipo. Insomma cerco di approfittare appieno di questa parentesi di pace e di relax! ».
Serge, all’epoca tentacinquenne, sembra farci l’elogio della lentezza. The quiet man, insomma, almeno in vacanza.
L’epoca in cui viviamo, questo mondo post moderno e post industriale, funziona a ritmi accelerati in un flusso ininterrotto dal quale rischiamo di essere formattati senza eccezioni fin da bambini. Una rapidità associata alla produttività che sembra diventata la parola d’ordine dell’uomo contemporaneo. Il lavoro ci richiede reattività, efficienza, dinamismo non-stop. Un ritmo che intacca ormai anche la nostra vita personale e familiare. E questo ci rende sempre più arduo metabolizzare i vissuti, digerire gli eventi.
Approfittare della vita, darci il tempo di fare le cose, rallentare i ritmi, passeggiare, mentre tutto ci spinge a correre a cadenze da maratoneti, non è sempre cosa facile. E se provassimo a invertire la rotta? A prenderci una pausa invece di bruciare le tappe?
L’antropologo Pierre Sansot, nel suo libro « Sul buon uso della lentezza »¹, ci offre alcune tracce di riflessione esprimendo il suo dissenso sulla compressione del tempo. Un manuale per riappropriarci del nostro tempo. Perchè la lentezza può costituire la chiave di vòlta per ricucire il rapporto con noi stessi, ri-scoprire i piaceri della solitudine ed offrirci l’opportunità di conoscerci meglio e ri-orientare la rotta.
« Lentezza non significa affatto incapacità di adattarsi a ritmi più rapidi » precisa Sansot, ma « aumentare la nostra capacità di accogliere il mondo e non dimenticarci per strada ». Un linguaggio poetico per ricordare al lettore stressato del mondo moderno che passeggiare, ascoltare, sognare, aspettare, scrivere, meditare, contemplare sono esperienze che dovrebbe ri-scoprire più sovente per il proprio ben-essere.
Sono vissuti che favoriscono, secondo l’autore e l’esperienza di Serge, uno spirito di apertura, una disponibilità all’altro, una sospensione del giudizio e un’accettazione della realtà capaci di riequilibrarci, offrendoci una visione più saggia e matura della nostra vita. Una capacità di osservare e di cogliere, non solo di vedere e di guardare; di apprezzare realmente ciò che ci circonda e non di soppesarlo secondo gli interessi; di muoversi liberamente e in armonia in un corpo più armonico e meno teso ed impedito. Uno spirito di arricchente curiosità ed attenzione al mondo che ci circonda.
« Conquistarsi il proprio tempo intimo » come direbbe lo psichiatra Laurent Schmitt.² Più facile a dirsi che a farsi, perchè non appena abbiamo un momento libero ci scervelliamo per sapere come riempirlo (quando non ci pensano il nostro smartphone, i Social e le e-mails professionali). Mentre il nostro piacere viene sempre relegato in secondo piano! « Sarebbe urgente trovare un’intimità col nostro tempo, in armonia con le nostre vere aspirazioni, nel rispetto dei proprî ritmi » ci raccomanda invece Schmitt.
Un consiglio pratico e controcorrente (ma già evocato nella nostra rubrica) è quello di smettere di considerare la noia come se si trattasse di un difetto o di una malattia. L’ “otium” latino, lo abbiamo già visto, è ciò che ci permette di rientrare in contatto con noi stessi, con i nostri desiderata; che risveglia la nostra fantasia, la nostra capacità di sognare, di meditare, di esplorare, di sperimentare nuove esperienze. Di conoscerci e di ri-conoscerci.
¹ P. Sansot, «Du bon usage de la lenteur », Manuels Payot, Paris, 1998 (ugualmente disponibile in lingua italiana « Sul buon uso delle lentezza – Il ritmo giusto della vita » Ed. Il Saggiatore).
² L. Schmitt, «Du temps pour soi – Conquérir son temps intime », Odile Jacob, Paris, 2010.
***Il dottor Claudio Rao risponde alle domande dei lettori
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