Rubrica a cura della giornalista Susanna Schivardi e del sommelier Massimo Casali
Siamo alle porte di Roma, nel Parco dell’Appia Antica e quindi nel cuore dell’Agro Romano, qui incontriamo Alessia Lulli, una delle titolari di Parvus Ager.
Vi chiediamo innanzitutto di non lasciarvi ingannare dal nome, perché Parvus Ager – per chi non lo sapesse in latino significa piccolo campo coltivato – è una grande realtà agricola condotta con un approccio qualitativo che esalta la cura e la dedizione come quelle che potremmo riscontrare in un contadino che si occupi amorevolmente della sua terra. Oggi ci troviamo di fronte ad una azienda di 54 ettari vitati, disegnati da filari di vitigni autoctoni e internazionali, e all’oggi condotti dalla famiglia Lulli, Alessia, Giacomo e Silvana i tre fratelli, e le generazioni precedenti con Angelo e Rita i genitori, e infine il nonno, Silvano, colui che per primo ha acquistato i terreni.
“Fino a pochi anni fa l’attività dell’azienda era finalizzata prevalentemente al conferimento delle uve altrove. La nostra grande ambizione è quella di realizzare qui un qualcosa di unico, una bottiglia che racconti la storia di questo territorio e di questa famiglia impegnata, con passione e dedizione, nella viticultura da 4 generazioni” – racconta Alessia.
Il progetto iniziato dieci anni fa ha visto coinvolte varie competenze, in vista di un vivace rinnovamento a partire dalla cantina, ricca di macchinari di nuova generazione, ma soprattutto un’attenzione alle varietà autoctone impiantate su un terroir variegato e molto ricco, andando a disegnare un’architettura perfetta ed equilibrata a seconda delle caratteristiche di ciascun vitigno.
Dal 2020 ha preso il via una filiera che prevede una cura maniacale in vigna, raccolta e successivo imbottigliamento di una minima parte della produzione, circa 15.000 unità, come ci spiega Alessia “solo le uve scelte che subiscono una pressatura molto leggera finiscono in bottiglia”. Progetto impegnativo che vede coinvolte tutte le forze della famiglia “due anni sono pochi per un’azienda ma abbiamo tutte le carte per poterci espandere e farci conoscere sul mercato”. Lei, architetto, si è occupata del progetto della grande cantina che oggi affaccia direttamente sui vigneti, una ricchezza invidiabile, se si pensa che dalla raccolta al conferimento in cantina passano appena una ventina di minuti, il che comporta uno stress minimo per le uve.
Macchinari tutti di prima scelta per una gestione condotta da Giacomo, il fratello laureato in Economia ma che ha nutrito sempre una forte passione per la fase più legata alla produzione e all’affinamento in cantina dove da qualche tempo ha lasciato l’impronta la presenza preziosa di Paolo Peira, rinomatissimo enologo che sta traghettando questa giovane azienda verso un percorso non facile ma, siamo certi, di assicurato successo.
Alessia con fare disinvolto ci accompagna al limitare dei vigneti che si stendono a macchia d’olio su un terreno che ci pare sconfinato, rigorosamente vulcanico e ricco perciò di mineralità spontanea. “Questo terroir come saprete vocatissimo – continua Alessia – è ricchissimo di acqua e la sua produttività a volte va contenuta per ottenere le basse rese per ettaro che ci assicurano la qualità desiderata. Un immenso tesoro che sta dietro anche ai parametri della Doc Roma, 15 ettari ad essa dedicati che ricoprono un posto di privilegio rispetto ad altre aziende che non vantano le stesse estensioni. Alle spalle un Consorzio che sta crescendo e sta ritagliandosi un posto nel sistema di diffusione e divulgazione dei prodotti del Lazio, con un disciplinare che prevede utilizzo di uve quali Bellone, Malvasia, Bombino, Cesanese, Montepulciano e Syrah, e che coinvolge tutta la provincia di Roma, caratterizzata da un profilo orografico collinare e dal clima arioso, precipitazioni nei mesi invernali e aridità nel periodo estivo contribuiscono a virtuose escursioni termiche che arricchiscono le qualità organolettiche del vino Doc Roma.
In questa bella passeggiata anche il nonno Silvano si unisce per una foto di famiglia, molto simbolica di un’intesa fra i vari membri, che presto si traduce in coesione e sguardo proiettato al futuro. Giacomo ci accompagna in un breve tour attraverso i macchinari che popolano la cantina, a partire dalla zona di conferimento delle uve che vengono “accompagnate” nella pigiodiraspatrice da cui si immettono in un doppio tubo attraverso cui si opera una selezione, in base alla pressione applicata. I grandi silos che si innalzano muti e imponenti ai nostri occhi sono di due tipologie, una con la pala interna, e l’altro con la pompa che spinge il mosto fino al cappello, per chi non fosse pratico di questi apparecchi, consigliamo un giro in cantine come questa, dove la tecnologia ha davvero preso il passo verso l’innovazione. All’interno troviamo un sistema di raffreddamento attraverso cui passa il mosto nel suo viaggio verso le botti di acciaio, e grazie al quale lo stesso non subisce alcuno stress termico. Infine, un filtro di nuovissima generazione, consigliato proprio da Peira, da utilizzare nella fase prima dell’imbottigliamento, che mantenga il vino in condizioni di temperatura controllata.
Prima di passare agli assaggi dalla bottiglia, ci soffermiamo alle grandi botti di rovere, per un bicchiere di Syrah che chiede di aspettare ancora un anno, ma già al naso si presenta con i suoi classici sentori correlati da buona acidità e freschezza, con tannino in evoluzione, vino giovane alla gustativa, ma si sprigionano già le note fruttate e a seguire le spezie e il pepe nero che lo sposeranno bene a piatti di carne.
Ci spostiamo nei locali, dove sono esposte le bottiglie, di cui andiamo a degustare il Roma Rosso Doc, 2020, un blend di Montepulciano in grande percentuale, con Syrah e Petit Verdot, che però nasconde una piccola sorpresa. L’ultima fase di affinamento non avviene in cantina, ma tra le vigne, sotto i tralci, a braccetto con quel terreno vulcanico e alluvionale che regala la mineralità spiccata al naso e al palato. Nessun esempio pregresso ma semplicemente frutto dell’intraprendenza di Giacomo, il fratello di Alessia. La buona spalla acida lo accompagna ad un tannino giovane che regala un’ottima beva.
Il secondo vino proposto è sempre Roma rosso Doc, ma stavolta con affinamento in acciaio e senza la vigna a fare da “letto”, quindi al naso sentiamo la differenza, risulta morbido e con buona acidità, e in bocca vellutato, la mineralità spicca ma non in maniera importante come nel precedente. Si potrebbe degustare a solo, con una bella vista davanti agli occhi, come la campagna romana che abbiamo il piacere di goderci dalla favolosa terrazza costruita sulla cantina. Oppure abbinandolo a qualche tartina con paté di fegato o ad un formaggio di media stagionatura.
Il terzo rosso che ci versano nel bicchiere, Roma Rosso Doc, linea Eterna, viene affinato in rovere (di secondo passaggio) per almeno nove mesi, al naso si affaccia immediata la vaniglia, per evolversi poi in frutta poco matura, una cerasa, bacca rossa ancora in divenire, per un profilo gustativo coerente, aromatico, tannino giovane ma elegante, un vino pronto ma che potrebbe attendere ancora qualche anno per esprimere sentori ancora più intensi.
Passiamo ai bianchi e ci imbattiamo in quello che a nostro modesto parere è uno dei cavalli di battaglia dell’azienda, una Malvasia Puntinata, Lazio Igp, 2021, dal colore giallo paglierino vivacemente screziato da lampi dorati, al naso molto profumato, dalla frutta a polpa bianca estiva, all’ananas, si accompagna anche uno spettro floreale gioioso, per una gustativa che dimostra fierezza, corpo e gagliarda mineralità, persistente. Avvolgente e intenso questo bianco ci entusiasma a qualche minuto dalla mescita, quando i sentori si amalgamano con armonia. Lo abbineremmo volentieri ad una tartare di spada mediterranea, con spezie, pachino, capperi e pepe nero.
Noi oggi abbiamo anche l’onore di vedere l’etichetta di creazione di Alessia, che consiste in una serie di “sfere” alternate a linee orizzontali, che stanno a simboleggiare i filari che si intersecano con gli acini. Molto belle e originali. (In foto)
Chiudiamo a malincuore il giro con il Roma Rosato Doc, linea Eterna, da uve Montepulciano e Syrah, alla visiva un gradevolissimo rosa cerasuolo, che si traduce in profumi nitidi per un ventaglio di frutta fresca, a polpa bianca, una mela annurca che si aggancia ad una vaga nota agrumata, e in bocca percepiamo una mineralità elegante, persistenza, un bisbiglio erbaceo, dall’ottima acidità, un vino pronto e adatto alle belle giornate estive.
Avremmo volentieri terminato con l’assaggio di Eterna, Roma bianco Doc, blend di Malvasia e Trebbiano Verde, ma il tempo è stato tiranno. Indichiamo comunque ai lettori una breve scheda tecnica per orientarli verso una scelta ragionata. Giallo paglierino alla visiva con lampi verdognoli, al naso pulito ed elegante, note di agrume e la mineralità tipica del terroir di provenienza. Alla gustativa coerenza minerale che si traduce in fresca sapidità, complesso, da abbinare ad antipasti o piatti di pesce.
Ci piace ricordare lo studio che Alessia ha dedicato al logo (in foto), che parte da un punto rosso, la piantumazione, intorno al quale i semicerchi, che indicano la coltivazione, la trasformazione e l’affinamento, fino all’ultimo step, una bottiglia stilizzata che ricompone il tutto, l’imbottigliamento.
Ultimo sguardo all’immenso campo vitato che sfugge all’orizzonte, ce lo permette la visita all’ampia terrazza, da cui scorgiamo anche il ristorante accanto alla cantina, Stazione Mole, punto di riferimento per futuri progetti di coesione tra vino e cibo, in un’ottica di valorizzazione del territorio attraverso una cultura enogastronomica dettagliata.
Foto originali di Susanna Schivardi e in parte fornite da Alessia Lulli.
Intervista e degustazione a cura di Susanna Schivardi e collaborazione di Massimo Casali.
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