Editoriale del direttore responsabile Emilia Urso Anfuso
A quanto sembra, ci troviamo nel periodo di siccità più grave dal dopoguerra. In diversi territori italiani sta scattando il razionamento dell’acqua per uso agricolo ma anche per la distribuzione a uso civile.
La condizione climatica non fa presagire nulla di buono, peraltro, con temperature in rialzo e niente nubi all’orizzonte. A questo vanno aggiunti altri elementi, come la riduzione di neve e ghiacciai. Una condizione che non lascia spazio alla speranza.
Al Nord Italia sono già pronti per emettere ordinanze per limitare l’uso dell’acqua, e si pensa anche al divieto di riempire le piscine. Proprio oggi, 21 Giugno, si terrà la Conferenza Stato-Regioni per discutere sul da farsi e Federico Caner, coordinatore della commissione politiche agricole della Conferenza delle Regioni, ha dichiarato che le Regioni si preparano a chiedere al governo lo stato di emergenza.
Lo stato di emergenza è una misura che serve a poter attivare tutte quelle disposizioni di legge che sono necessarie per dare priorità all’uso dell’acqua per gli utilizzi fondamentali come l’alimentazione, l’agricoltura, l’energia. Misure che limiterebbero, anche, eventuali richieste di risarcimento dei danni da parte delle aziende produttrici.
Razionamento idrico: ecco dove è già in atto
In alcune zone è già in atto il razionamento idrico notturno, si tratta di alcuni comuni della Lombardia e del Piemonte, e il consorzio di bonifica del Chiese non fornirà acqua agli agricoltori per le irrigazioni a partire dal 30 Giugno a meno di un intervento da parte del Ministero della Transizione ecologica.
Anche il Lazio, però, lancia il grido di allarme, e il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, avverte che nel territorio di Ato 2 (Roma e provincia) “la situazione è grave, al massimo entro mercoledì procederemo alla proclamazione dello stato di calamità che darà strumenti utili a prelievi, ci auguriamo limitati”.
Da quanto si apprende, sembra che al momento sarebbe scongiurata la turnazione nell’uso dell’acqua, ma nessuno può garantire che non si dovrà procedere in tal senso.
In nove comuni in provincia di Imperia i sindaci hanno già emanato le ordinanze per il razionamento dell’acqua: 200 litri al giorno per soli scopi alimentari e igienici. I comuni interessati sono Borghetto d’Arroscia, Diano Arentino, Dolcedo, Molini di Triora, Pieve di Teco, Pontedassio, Prelà, Vasia e Vessalico.
Ferrara procede verso il razionamento, ma è quasi inutile stilare una lista: siamo in emergenza idrica, fino a poco tempo fa i giornali non ne parlavano in maniera diffusa e in televisione, ancora oggi, queste notizie non sono prioritarie: anche questo è un danno per la popolazione.
Privilegiare lo stato di crisi è un errore
Ciò che fa pensare, in una situazione simile, è che si procede sempre privilegiando lo stato di emergenza rispetto a progetti di lungo termine.
Il professor Francesco Cioffi insegna Scienze della Sostenibilità e Meccanica dei Fluidi nel dipartimento di Ingegneria Edile, Civile ed Ambientale dell’Università degli Studi La Sapienza. E’ dell’idea che non si possa procedere senza un piano di lungo respiro. Le sue dichiarazioni sono da prendere in seria considerazione per chi, in queste ore, si riunisce per meditare sul da farsi: “Già nel 2017 abbiamo avuto un periodo piuttosto critico di siccità prolungata. Nella piana pontina abbiamo corso il rischio di razionare l’acqua da parte dell’ente che gestisce la distribuzione. Penso che quest’anno sia analogamente critico, ma questi sono problemi che noi periodicamente ci troveremo ad affrontare con sempre più frequenza perché la letteratura scientifica ci dice che tutta la parte del Mediterraneo sarà oggetto di siccità sempre più frequenti.”
Lo stato di crisi conviene anche economicamente
Problemi che si presenteranno con sempre più frequenza, che non possono quindi essere oggetto esclusivamente di azioni temporanee e in condizioni di crisi.
Dobbiamo valutare anche un altro elemento: lo stato di crisi permette deroghe su molti fronti, primo tra tutti quello economico.
Con la proclamazione dello stato di crisi, infatti, si può accedere più facilmente ai fondi pubblici, ma questo non deve far pensare che sia la soluzione al problema, in quanto abbiamo già potuto toccare con mano, per esempio dopo il terremoto che si verificò in Abruzzo nel 2009, come queste deroghe siano servite, spesso, ad accedere facilmente al denaro che fu poi usato per altri scopi, non legati alle emergenze e a volte anche eticamente riprovevoli.
Con gli sfollati nelle tendopoli, si pensò di sprecare denaro per costruire un’area extra lusso per accogliere anche Obama in visita ai terremotati, per dirne una, ma di queste storie l’Italia è tristemente nota.
L’Italia è in ritardo su tutto
La siccità non è un problema che si sta presentando all’improvviso. Non lo è nemmeno il pericolo sismico, eppure da anni si fa nulla per mettere in sicurezza il paese. Potrei stilare una lunga lista di situazioni simili e in ogni comparto sensibile per la popolazione, come il non aver mai pensato davvero, persino a fronte di una pandemia, di rendere decente il Sistema Sanitario Nazionale e gli ospedali luoghi di cura e non di orrore.
Ti ricoveri, ti ammali – anche di Covid – muori. Draghi dovrebbe rivedere certe sue dichiarazioni sui vaccini…
Questa nazione sta mostrando le crepe che, nel corso degli anni, sono state tenute nascoste sotto i tappeti, insieme alla polvere. Prima o poi il tappeto doveva essere sollevato, ed è arrivato il momento di guardare cosa c’è sotto. Non sarà un buon periodo il nostro futuro, questo è certo, non solo per ciò che riguarda la siccità.
Esserne consapevoli può aiutare a non perdere lucidità e capacità di reazione, perché se tutto è destinato a crollare, che almeno si sappia e ognuno pensi a proteggersi a modo suo. Pensare che saranno lo Stato o i partiti politici a preoccuparsi delle nostre esistenze è la classica speranza destinata a fallire.
Non fate questo errore per l’ennesima volta, non possiamo permettercelo collettivamente.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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