Azienda agricola Vini Pacchiarotti – Aleatico tutto al femminile…

Azienda agricola Vini Pacchiarotti – Aleatico tutto al femminile…

Rubrica a cura della giornalista Susanna Schivardi e del sommelier Massimo Casali

SullaStradaDelVino incontra Antonella Pacchiarotti, titolare dell’omonima cantina, nei presso del lago di Bolsena. A cura di Massimo Casali e Susanna Schivardi

Un Aleatico tutto al femminile, potremmo dirlo a gran voce! Quello che per tradizione è di declinazione al maschile, si agghinda qui di una nuova veste, grazie all’audacia e alla lungimiranza di questa donna portentosa, Antonella Pacchiarotti, di cui per ovvi motivi non sveliamo l’età, ma che da subito abbiamo apprezzato per la sua energia e forza vitale, madre di tre figli già belli cresciuti e ora libera e di nuovo fresca per affrontare la bella sfida di una cantina tutta da valorizzare. In realtà l’azienda prende il via dal lontano 1998, mentre la cantina vede la sua luce nel 2006 con la prima vendemmia datata 2007. L’idea originaria, che l’ha condotta ad un percorso tanto ardimentoso, è quella molto nobile di prendersi cura delle vigne come fossero figli “un’immensa soddisfazione veder crescere sotto gli occhi l’uva e vederne i frutti come ho fatto con i miei tre figli” ci racconta con soddisfazione innegabile la nostra ospite.

Decide da sola di prendere tutto in mano, partendo da 3 ettari e mezzo, con una cantina che si sviluppa proprio sulla via principale nel Comune di Grotte di Castro, da una vecchia costruzione del 1700 tutta incastonata nel tufo. Gli ambienti sono stati scavati a mano a colpi di piccone, che hanno dato vita alle tre gole odierne di oltre 70 metri e un corpo centrale abbellito da una triplice volta. Costruita nel centro del paese, all’interno di essa tutti i macchinari per la vinificazione devono essere trasportati ogni volta che si vendemmia e riportati in luoghi più adatti durante il resto dell’anno, per evitarne il deterioramento dettato dall’umidità. E questo rende la realtà di Antonella molto folkloristica agli occhi degli abitanti del borgo.

Il suo intento è mosso dal desiderio di nobilitare questi terreni vocati per natura, perché prendono tutto il respiro del Lago di Bolsena, nella Tuscia laziale tra Toscana e Umbria, nel cuore della Doc Aleatico di Gradoli, e quindi rimanere qui ha significato per lei “rinsaldare un forte legame con la terra, per rivitalizzare una materia nobile a cui ridare lustro e splendore”.   La storia dell’Aleatico rispecchia un andamento fluttuante, da quelli che erano i lustri di una volta ad un periodo di decadenza e oblio, Antonella ne vuole risollevare le sorti puntando tutto su un vitigno autoctono. Il lavoro della Pacchiarotti è stato pragmatico ma anche profondamente culturale, per strappare l’Aleatico a quell’idea tenace di vino dolce dalla quale difficilmente veniva sdoganato. Un’operazione da mediatrice tra chi produce il vino e il consumatore, e come tende a sottolineare proprio stasera che è ospite da noi “i ristoratori sono proprio coloro che dovrebbero porsi come mediatori tra cliente e produttore vinicolo, per far conoscere e diffondere una nuova cultura del vino, incentrata non soltanto sempre e comunque sui prodotti di punta del marketing commerciale, ma anche su una nicchia che ha bisogno di promozione e fiducia”.

Il lago di Bolsena che fa da cornice a questa produzione dell’azienda Vini Pacchiarotti, è anche inesauribile fonte di benessere per le uve, che qui si esprimono con caratteristiche assai originali, grazie ai noti terreni decisamente vulcanici e minerali. Antonella è carissima amica di Nathalie Clarici, titolare dell’azienda Terre di Marfisa, e con loro annoveriamo Le Lase e Vigne del Patrimonio. Tutte titolari delle aziende che si sono unite per collaborare nell’associazione Donne in Vigna, fortemente motivate dalla rivalutazione dell’autoctono e che hanno saputo raccogliere la tradizione ancestrale fortissima nel campo agroalimentare dell’alta Tuscia.

Con Antonella siamo di fronte ad un rilancio deciso dell’aleatico, di cui le preziose caratteristiche qui vengono rivalutate grazie ad una produzione limitata e ad una cura e una dedizione fuori dai luoghi comuni. Quella di Antonella è una fissazione vera per questo vitigno in tutte le sue declinazioni, non a caso la sua produzione prevede soltanto questo autoctono miracolosamente malleabile e duttile. Andiamolo a conoscere più da vicino e iniziamo con una degustazione molto vivace.

Primo vino che apriamo è il Ramatico, un Igt Lazio rosato, 2019, che è espressione tenacissima di questo vitigno talentuoso. La lavorazione di tutti i vini di Antonella prevede vinificazione in botti di acciaio, che hanno dimora come abbiamo detto nella cantina voluta fortemente da lei. Questo rosato è il penultimo nato in azienda, ed è nato quasi per sbaglio. Come ci racconta la produttrice “Stavo vinificando il mio Matèe ***(in appendice) con uve portate in cantina all’ora di pranzo, quindi calde, ho messo le uve in pressa per procedere alla pressatura e mi sono fermata a mangiare. Quando sono andata a pressare con pressatura soffice le uve, il mosto che ne è uscito non era così bianco come avrebbe dovuto. A quel punto – prosegue Antonella – ho lasciato che la fermentazione avvenisse senza controllo della temperatura. Il risultato è questo rosato molto interessante che esprime le caratteristiche varietali dell’aleatico in modo deciso”.  Il color rame regala il nome alla bottiglia, e al naso si apre in un palcoscenico eclettico, dando spazio ad una tessitura acida e minerale, che poi lascia il passo alla frutta estiva, come la pesca giallona, ma anche al mediterraneo profumato. In bocca abbiamo un vino di corpo, grande qualità, molto persistente che lascia la fantasia andare oltre qualche anno, come se il tempo non potesse che migliorarlo. Effettivamente il suo gran carattere lo abbina bene a piatti di cacciagione come il coniglio a porchetta, riempito di patate, finocchietto e interiora, oppure a pesce affumicato, un rosato quindi da utilizzare d’estate al posto del rosso. Un vino che tuttavia chiede tempo, frutto di una suggestione, come anche la sua etichetta decisa e contemporanea, molto vicina alla nostra Antonella.

***Piccola appendice per ricordare il Matèe tra i bianchi in produzione e che oggi non abbiamo avuto il piacere di assaggiare. Originalissimo e dai sentori tendenti alla rosa che sboccia, verso un bouquet aromatico di agrumi e fiori bianchi che induce all’assaggio, che risulta fresco e minerale, adatto a piatti di pesce con verdure o carni bianche.

Passiamo alla seconda bottiglia in degustazione e apriamo il Pian di Stelle, primo Igt Lazio Aleatico, chiamato così dalla piana collinare dove il vitigno da cui proviene ha le sue radici e dove d’estate si apre lo spettacolo immenso di stelle riflesse sul lago di Bolsena. Un vino come dice Antonella “dedicato alle donne”. Il colore rosa intenso è un piacere per gli occhi. Questo prodotto ha una sua speciale profondità, rispecchia lo sforzo di Antonella di accordarsi con i nuovi studi in fatto di longevità, grazie alla Fivi, Federazione italiana vignaioli indipendenti di cui fa parte, per rinforzare i bianchi laziali grazie ad un’attesa ulteriore di riposo in bottiglia. “Aspettiamo almeno un anno prima di aprire, altrimenti ho l’impressione di bere qualcosa senza carattere”. Antonella ha proprio quel piglio giusto, esperienza alle spalle e desiderio di innovare, sperimentare, concedere al vitigno e al vino stesso il tempo per esprimersi, la lentezza necessaria perché un prodotto sia davvero espressione del terroir. Il colore deriva da una permanenza delle bucce sul mosto, prima della pressatura, che varia dalle 24 alle 36 ore a bassa temperatura. L’aspetto è limpido, al naso ci conquista con note fruttate, bacca rossa, una ciliegia che ammicca. Al palato si distingue con un carattere sorprendente: e quindi abbiamo una grafite scalpitante ma non invadente, una salvia tiepida, un timo e non da ultimo il rosmarino. Le erbe mediterranee ci preparano ad un gusto asciutto, tanto da poterci abbinare un ottimo tonnarello fragrante dall’anima dura, con pachino e orata. Oserei anche salumi e formaggi come antipasto.

Terzo vino è il Fatì, dal francese fatiguè ed è il frutto di uve che non provengono esattamente dai terreni di Antonella. “Questo vino ha una storia complessa che nasce da terreni che appartengono a degli amici romani che hanno acquistato un uliveto a Canino, all’interno del quale si sono trovati una vecchia vigna con maggioranza prevalente di Procaccio e Roscetto, due cloni di trebbiano”. La vinificazione e imbottigliamento avvengono da Antonella, che quindi adotta questo Fatì come una sua creatura almeno in parte. Il risultato è una bella sinergia e ovviamente una vendemmia tutta all’insegna della cooperazione e dell’amicizia. Le bottiglie sono limitate nel numero, se pensiamo alle 200 nel 2019 e alle 600 nel 2020, con fermentazione in acciaio e affinamento in damigiana di vetro, materiale non deperibile, praticamente inerte che Antonella ama molto. Alla visiva il Fatì risulta giallo intenso e al naso molto minerale, avvertiamo dell’alloro gradevole e a tratti del mentolato che gli regala speziatura quasi tendente alla resina fresca. Lo abbiniamo ad un antipasto di pesce crudo, tartare di tonno, oppure tonnarelli al pomodoro e basilico per esaltarne la mineralità.

Massimo Casali

Passiamo a questo punto al Cavarosso Igt Lazio Rosso 2016, dalla zona da cui provengono le uve, chiamata Cavarossa di pozzolana, e un omaggio al bel rosso vermiglio che si esprime alla visiva. La nascita di questo vino risale al 2013, un anno complesso, e anche perplesso come dice Antonella, che ritiene questo vino molto suo, decisamente rappresentativo della sua vita. Come ci spiega lei stessa “vinificandolo secco, non credevo che avrebbe incontrato il favore del pubblico ma era un risultato così convincente che ho preso coraggio ed ho deciso di metterlo in bottiglia ed è un vino che è molto piaciuto e ad ora rappresenta uno dei prodotti di punta dell’azienda”. Dell’annata 2016 che abbiamo degustato, Antonella ne aveva accantonato un migliaio di bottiglie proprio perché, essendo piuttosto nervoso al suo esordio, ha pensato fosse adatta ad essere invecchiata. In cantina macera sulle bucce per dieci giorni con tre rimontaggi manuali. Fermentazione in acciaio per otto mesi e affinamento in bottiglia. Il colore è di un bel rubino intenso che ammicca già ad un accenno di violaceo, e lascia presagire un assaggio appagante. In bocca risulta molto speziato, mantenendo una consistente acidità, la sua rotondità spinge poi ad un’interessante salivazione, con durevolezza persistente. Il tannino è ben presente ma non costrittivo. “Le mille bottiglie messe sul mercato a gennaio di quest’anno – ci spiega Antonella – dimostrano che il tempo non ne ha intaccato il corredo aromatico ma ne ha ammorbidito la beva e arricchito il gusto con sentori di spezie ed un tannino decisamente morbido ed elegante”. Per il suo carattere burrascoso lo andiamo ad abbinare ad un filetto con scaglie di tartufo o perché no, ad un ottimo fieno di Canepina al ragù bianco di manzetta viterbese, finocchio selvatico e granella di nocciole, un piatto tipico con ingredienti locali di prima qualità. 

Passiamo sul finale ai due vini dolci, Butunì e Turan e con loro entriamo nel vivo della tradizione. Il Butunì esce dal 2007, ma non sempre, perché Antonella decide di volta in volta se produrlo o meno. “Nel 2017 non uscì il Cavarosso perché era stata un’annata molto secca – racconta Antonella – e il vino dolce venne fuori quasi per caso, dal vigneto dove sono presenti due cloni di aleatico. Il primo più scarico, buono per i bianchi, adatto invece per il Butunì il secondo clone, con un bel grappolo spargolo con acino piccolo, buccia molto spessa e già vendemmiato a fine agosto”. Maturazione velocissima, per un alto contenuto di zuccheri e una gradazione di 15,5%. Il Butunì rimane comunque un vino raffinato, figlio di filari affacciati sul lago, da terreno molto vulcanico, e risulta un vino fresco, dolce e fruttato. Grazie ad una certa traccia agrumata si sposa bene anche con delle carni elaborate. Normalmente la sua nota di frutta rossa, quasi ciliegia, sul finale, lo accompagna a dolci secchi e crostate di frutta.

Per terminare questo viaggio nell’aleatico, apriamo il Turan, dall’etichetta molto suggestiva. Intanto il nome è quello di una divinità etrusca, protettrice della terra e rappresentante della nostra Venere o greca Afrodite.  Sull’etichetta proprio il simbolo di questa dea, “la signora”, per un vino che chiude la vendemmia e richiede una cura attenta. Dall’appassimento sui graticci, con temperatura e umidità controllate, e dettate dalle annate. Una selezione quotidiana e certosina porta le uve migliori alla vinificazione, dopo la pigiatura con i piedi! Sempre in acciaio per circa otto mesi l’affinamento, secondo la linea stilistica di Pacchiarotti che ormai consociamo. Antonella riconosce che rimontaggi manuali almeno tre volte al giorno durante la macerazione la schiavizzano incollandola alla cantina, e ci mostra una bellissima foto del suo profilo social dove si vede lei intenta al rimontaggio con al piede un bel tacco 12, dopo una serata trascorsa con gli amici. Un’immagine di donna gagliarda, di carattere, che sul finire della serata ci versa questo nettare di Turan conciliante. Un vino dall’alcolicità non invasiva, alla vista molto profondo, un viaggio nella storia. All’olfattiva prepotente di primari, dalla frutta raffinata, ai fiori appassiti. In bocca il dolce è molto equilibrato. Da bere a solo in meditazione oppure lo abbiniamo volentieri a formaggi di media stagionatura, erborinati ma non protagonisti.  Oltre a pasticceria secca, biscotti e crostate.

Antonella si congeda dopo una lunga chiacchierata in cui ci ha anche raccontato come la sua passione per l’arte l’abbia spinta nella ricerca di originalità in fatto di etichette. Abbiamo notato l’oro e come non viaggiare con la mente a Vienna dove hanno dimora i bellissimi capolavori di Klimt. Proprio dal genio austriaco prende il via questo omaggio, tramite grafiche e tonalità delle etichette che molto ce lo ricordano. Come al solito cultura, curiosità, studio arrivano sempre ad un punto di incontro fecondo e ammirevole, che attraverso il vino crea connubi felici e di rara bellezza. Ringraziamo Antonella per questo lavoro di promozione del vitigno autoctono, del terroir viterbese, vulcanico e minerale che dona primari eccezionali, in un’area dove esistono ben novantotto cantine, tanto per rendersi conto di quanto i vini della Tuscia meritino di esser valorizzati.

Foto in parte fornite da Antonella Pacchiarotti.

Foto originali, intervista e degustazione a cura di Massimo Casali e Susanna Schivardi

***Ricordiamo che Antonella Pacchiarotti sarà presente al prossimo evento che si svolgerà a Roma, il 7 giugno presso lo spazio WEGIL, Lazio Prezioso 2022, un ricco palcoscenico dei vini laziali.

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