Rubrica settimanale a cura del dottor Claudio Rao
Apriamo un nuovo capitolo della nostra rubrica per invitare i lettori a riflettere sull’importanza del presente in tutte le sue declinazioni.
« La mia collega Flora è carinissima, però a volte può essere di un pesante… Abbiamo la stessa età [26 anni] ma lei sembra che di anni ne abbia sessanta! Parla come una persona anziana. Per esempio, riferendosi al passato, dice spesso che “Era meglio prima”, “Questa sì che è musica!” o “Ah, i giovani d’oggi!”. E a me viene voglia di risponderle: “Ma TU SEI una giovane D’OGGI!”. È chiaro che abbiamo opinioni diversissime e questo mi sorprende e mi turba anche un pochino. Intendiamoci, anche a me “i giovani d’oggi” possono infastidirmi: sempre incollati al loro smartphone, con i loro videogames e i whatsapp pieni di errori ortografici. Però non ne faccio una fissazione, non mi rifugio in un “passato” che non ho mai conosciuto, come fa Flora. Mi ricorda mia nonna, ottantunenne, che parla con nostalgia di un’epoca in cui i giovani erano rispettosi ed educati, gli uomini galanti e la musica orecchiabile. Ma lei di anni ne ha venti, non ottanta! » (Jeannette).
Non è raro, anzi per molti di noi è piuttosto comune, l’affiorare di una certa nostalgia del passato. Nostalgia della propria infanzia o di un’epoca lontana. In effetti la nostra memoria tende ad essere soggetta alla “legge dell’oblìo”: abbellire ciò che ci piace e farci dimenticare ciò che ci dis-piace.
Il succedersi delle generazioni tende a favorire e facilitare questa visione nostalgica. I valori cambiano e si rinnovano: gli anziani dimenticano di essere stati giovani, con tutti i “difetti” dei ragazzi di sempre. Già Socrate diceva: « I nostri giovani amano il lusso, sono maleducati, si burlano dell’autorità e non hanno nessun rispetto per gli anziani. Non si alzano in piedi quando un anziano entra, rispondono ai proprî genitori e chiacchierano al posto di lavorare ». Parliamo di circa 2.400 anni fa! Più recentemente, il giornalista e scrittore Vittorio Buttafava nel suo libro “La vita è bella nonostante”, avvertiva: « Da quando esiste il mondo, i vecchi hanno sempre condannato i giovani e considerato riprovevoli i loro costumi. Ma è ridicolo. Se fosse davvero così, se ogni generazione fosse peggiore della precedente, a quest’ora, il mondo dovrebbe essere popolato soltanto di ladri, di assassini, di sgualdrine e di mascalzoni. La verità è, invece, che da sempre, da milioni di secoli, tutto è uguale sotto il sole. […] I vecchi che oggi accusano sono i giovani di ieri, che altri vecchi accusavano ».
Il problema sorge quando questa nostalgia del passato ci impedisce di vivere pienamente il presente, quando il nostro sguardo è costantemente rivolto ad un passato idealizzato con cui il presente non può rivalizzare.
Il passato sono le nostre radici. Radici profonde che possono aiutarci a distendere i nostri rami nel cielo del presente, a evolverci, ma anche – a volte – a impedirci di progredire, immobilizzando i nostri pensieri e la nostra maturazione! Può succedere quando una persona è bloccata su un evento traumatico, un periodo o un vissuto del proprio passato da cui non riesce a liberarsi: costui ha grosse difficoltà a vivere il presente, non evolve più e non cerca neppure più di progredire.
È necessario considerare il passato nella giusta misura e prospettiva, ovvero come tempo trascorso, passato appunto. Questo però non significa dimenticarlo: sarebbe un diniego del nostro vissuto. Il passato resta una dimensione importante della nostra vita. Può infatti tornarci utile per non reiterare gli stessi errori e fornirci insegnamenti grazie ai quali migliorare il nostro presente. Come per un popolo, così per un individuo, la commemorazione del passato deve essere vòlta a illuminare il presente ed ispirare il futuro.
Un altro problema delle persone ancorate al proprio passato, bloccate, è che esse non sono immerse in un passato reale, ma immaginario! Pensiamo ad esempio al caso di un impiegato che ha rifiutato un’assegnazione all’estero o di una donna che non ha sposato colui che credeva l’uomo della sua vita. In questi ed altri casi analoghi il “Se” impedirà alle persone di fare il lutto di un passato ideale.
La psichiatra svizzera Elisabeth Kübler-Ross ha descritto le cinque fasi dell’elaborazione del lutto: il diniego, la rabbia, la contrattazione, la depressione, l’accettazione. Le persone bloccate nel passato non riescono ad accedere all’ultima tappa! Questo traumatismo diventa parte della loro identità e finisce per dare un senso alla loro vita. È chiaro come il cambiamento richieda la messa in atto di un percorso con un professionista qualificato.
Globalmente possiamo ipotizzare due soluzioni. La prima è quella di far capire a queste persone che la vita che hanno fantasticato non esiste. Può accadere, per esempio, quando la donna ritrova l’uomo tanto agognato che, naturalmente, non corrisponde all’immagine idealizzata che se n’era fatta. Vissuto evidentemente assai doloroso. La seconda è quella di incoraggiare queste persone a occuparsi di altro, di qualcosa che possa distrarle; dare un senso alla loro vita, aiutarle a incardinarsi in un presente che consenta loro di approfittare finalmente della vita reale.
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Gli Scomunicati è una testata giornalistica fondata nel 2006 dalla giornalista Emilia Urso Anfuso, totalmente autofinanziata. Non riceve proventi pubblici.
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