Rubrica a cura della giornalista Susanna Schivardi e del sommelier Massimo Casali
Sulla Strada Del Vino non si ferma e continua il suo percorso in città, dove nel mese di maggio si stanno svolgendo eventi di grande affluenza, per scoprire tante aziende e produttori con i loro vini, in un tripudio di gioia vera.
Sarà stato il lungo periodo di fermo, ad aver dato la carica ad aziende grandi e piccole che anche oggi, 19 maggio, troviamo all’Hotel Savoy di Roma, per l’evento organizzato dall’Associazione Go Wine. Realtà del settore ormai affermatissima, dal 2001 che opera dalla sua sede di Alba, per andare in tante città d’Italia a diffondere una bella comunicazione sul vino e chi lo produce. Nominare Barolo e Barbaresco significa pronunciare le due migliori declinazioni del Nebbiolo, ma oggi incontriamo anche il Roero che per chi fosse meno colto in materia, è una delle zone del Piemonte più vocate per la viticoltura, a nord di Alba, a sinistra del Tanaro e a ridosso delle colline del basso astigiano. Andiamo quindi a conoscere i vini di questo terroir marnoso-sabbioso, che regala sentori molto caratteristici e una gustativa dalla struttura sapida, fragranze di frutta evidenti e un’armonia che lo rende gradevole.
La location innegabilmente elegante ci accoglie nella grande sala dove siamo immediatamente rapiti da Cristiano Repellino, titolare della cantina Bric Castelvej, dal 1956 produttori di Roero in provincia di Cuneo. Ragazzo spigliato, dalla bella parlantina facile e soprattutto competente essendo lui stesso enologo della sua cantina, e un profondo conoscitore di tutte le potenzialità espresse dal suo territorio. Tra i suoi vini finalisti per 2 e 3 bicchieri Gambero Rosso, un grande estimatore dell’anfora, legno quanto serve e non sempre di rovere ma anche acacia, un fiume di idee e studi che lo accompagnano nel corso delle sue giornate intensissime, per un mercato oltre confine di tutto rispetto, dal Perù al Giappone passando per Svezia, Belgio, Olanda ed Estonia. Siamo nel Roero, che da sempre produce vini di grande qualità, qui abbiamo una coltivazione sulle estremità delle colline, i cosiddetti Bric, a discapito di una raccolta facile. Le potenzialità del Roero sono nel cuore di Cristiano da sempre e per questo decide di non fare Barolo o Barbaresco e nemmeno si avvicina all’idea delle bollicine perché lui è bravo a fare vini fermi, che già richiedono tanto lavoro. Quindi passiamo all’assaggio.
Delicatissimo il Nini che in dialetto vuol dire piccolo, Nebbiolo in purezza, rosato autorevole che affina in anfora, per un colore rosa intenso, al naso frutta esotica e al palato regala viva acidità con una freschezza da accompagnare a piatti estivi, come insalate, mozzarella e pomodoro, o anche salumi non grassi. A seguire il Viognier 2021, San Vittore, da terreni sabbiosi e marne calcaree, vino molto strutturato e ricco grazie ad una macerazione tra buccia e mosto, all’analisi risulta elegante e ricco di sfumature a polpa bianca e frutta esotica, una beva molto persistente lo accompagna bene a risotti e pasta elaborati con pesce. Per finire sui bianchi ci concediamo il Roero Arneis Vigna Bricco Novara, che affina in botti piccole di legno fin quando non viene assemblato in acciaio per l’imbottigliamento. Esplosivo al naso come al gusto, avvertiamo una passerella di frutta estiva con finale di camomilla, buona struttura, armonico e un leggero sentore di legno che accompagna con garbo. I rossi ci conquistano definitivamente e qui abbiamo tutte le declinazioni di Nebbiolo e Barbera. La Barbera Superiore 2019 sosta in botti grandi di rovere e poi va in tonneau. Al naso una potenza di frutti rossi maturi, marasca, ciliegia sotto spirito che in bocca si addolcisce in un’ampia morbidezza, dal finale persistente. Ottimo con formaggi di media stagionatura. Il Pilone 2020 ci riporta al Nebbiolo in purezza, passaggio in botti grandi di rovere e poi affinamento in anfora di terracotta per 12 mesi, all’olfattiva una bella esplosione di profumi di lampone e mora, per una gustativa tannica, persistente e importante che lo sposa bene a selvaggina e brasati. Terminiamo con il porta bandiera, il Panera Alta, marchio registrato e collina di proprietà dell’azienda, passa per acciaio, rovere e poi tonneau per circa 30 mesi, dove si sviluppano sentori decisi di mora e lampone, elegantemente accompagnati da note speziate, la bocca si riempie di cacao e viola fino all’incontro tanto atteso dei tannini, nobili e importanti qui si vestono di abiti magnifici per trasportarci con una bella persistenza ad un finale di sublime energia. Stracotti e formaggi stagionati sono degli ottimi compagni di viaggio.
Avviciniamoci però ad un piccolo produttore, di nome Piercarlo Culasso che oggi è insieme alla figlia Martina e presentano questa loro azienda, omonima, che risale a parecchi anni prima, Dante il padre di Piercarlo produceva vino ma è con quest’ultimo che la produzione si definisce in termini di qualità. Nel 2017 si riprende la vinificazione e la filosofia che guida l’azienda è impatto chimico ridotto, uso di sovesci frequenti, diradamenti ed equilibrata esposizione al sole. Sul banco abbiamo due tipi diversi di nebbiolo da Barbaresco e un Langhe Nebbiolo.
Quest’ultimo, 100% acciaio, al naso molto profumato, in bocca si rivela fresco e speziato. Il Barbaresco Faset 2018 da un terroir più calcareo e grasso, fa un affinamento in barrique di rovere francese di vari passaggi, per almeno un anno, e al naso esprime profumi intensi, la ciliegia matura, in bocca ci regala un tannino persistente ed elegante. Molto raffinato. Passiamo al Barbaresco Faset Duesoli, che invece passa due anni in barrique, qui abbiamo un terroir calcareo ma venato di qualche sabbia, l’annata, la 2018, è molto fresca, elegante, il tannino vellutato, non ruvido, promette un bell’invecchiamento. Terminiamo con un Barbaresco Faset 2017, la prima annata dell’azienda, è un vino molto rotondo, in bocca frutta rossa matura, sottobosco tenace, una struttura importante, vino di corpo, elegante, maturo. Siamo davvero soddisfatti di Piercarlo Culasso, oltre all’innata gentilezza ed eleganza nei modi, una serie piccola ma raffinatissima di vini molto espressivi del terroir e della cura al dettaglio che salta immediatamente agli occhi.
Brevissimo il passaggio per Diego Morra, azienda che si racconta attraverso tre generazioni di viticoltori, oggi 30 ettari tra Monvigliero, sottozona del Barolo, Morra e Mosca, le tre emme sul simbolo in etichetta, espressione autentica delle Langhe dove si coltiva Nebbiolo da Barolo, su un terroir marnoso, alternato ad arenarie, che donano al vitigno aromaticità ed eleganza. Ci affidiamo al rosato, dal vigneto di Verduno, La Morra. Si procede ad una svinatura veloce, fermentazione in bianco e a basse temperature che permettono lo svolgersi delle caratteristiche di freschezza e acidità. Il colore un bel rosa brillante, un residuo zuccherino voluto dona corpo all’acidità che prende il passo velocemente. Un vino fermo allegro ed esuberante, ottimo per antipasti ma anche con dolci al cioccolato.
Ci attende più in là un Langhe Riesling Doc, dell’azienda Nada Giuseppe di Treiso, dalla tradizione storica importante, che parte dai primi del ‘900 quando un avo si spostò nella località di Casot a Treiso, menzione geografica del Barbaresco. Negli anni ’50 avviene la svolta con la terza generazione, e l’uscita nel ’63 del primo Barbaresco, riconosciuto DOC. Nel 1990 si completano gli impianti di Nebbiolo che col terroir di questa zona risulta in vini dalla linea classica e austera. Noi però oggi con il bianco siamo in una deriva leggermente diversa, nonostante vi sia anche qui un carattere diritto. Intanto la bottiglia Albeisa, qui usata negli anni ’70 in avanguardia rispetto agli altri produttori. Questo vino mantiene vivi i sentori grazie ad una lavorazione che prevede decantazione a freddo e successiva fermentazione a 18 gradi circa, infine un lungo stazionamento sulle fecce fino a primavera. Aspetta tre anni in bottiglia prima della commercializzazione. Il colore è giallo paglierino tendente al verdognolo, al naso fiori e agrumi che si rivolgono presto all’idrocarburo e al minerale intenso, buona acidità in bocca, fresco, complesso e minerale. Un bianco che invecchia bene, anche dopo 7 8 anni dall’imbottigliamento esprime il meglio delle sue potenzialità.
Arriviamo così al grande banco dell’Albugnano 549, un’associazione nata nel 2017, che parte però da antichissime tradizioni vinicole, passando attraverso i secoli, se pensiamo che proprio i canonici di Vezzolano salvarono i tralci dalle invasioni del Medioevo, fino al 1997 quando diventa DOC. Nel 2017 tredici produttori della zona decidono di riunirsi per promuovere la loro identità enologica, chiamandosi così dal nome del paese e dalla sua altitudine. Da qui si vedono le colline del Monferrato Astigiano, e in lontananza la Basilica di Superga e parte dell’arco alpino occidentale. Il disciplinare severo della DOC prevede Nebbiolo in purezza, un affinamento in legno per minimo 18 mesi e almeno 6 mesi di bottiglia. Non riusciamo, sfortunatamente ad assaggiare tutte le varietà esposte stasera, però ci concediamo Orietta Perotto, Oltre500, trama granato con riflesso rubino, al naso tannico, fresco, mentolato e speziato sul finale. Il figlio della titolare, Filippo ci tiene al banco e ostenta una bella dimestichezza nel parlarci dell’Associazione e della recente apertura dell’enoteca regionale dell’Albugnano. Accanto a lui troviamo l’azienda Pianfiorito, della famiglia Binello, a colpirci la scelta esotica delle etichette sull’Albugnano Carpinella 2018, il disegno di una libellula che simboleggia un senso di libertà e un pizzico di magia, lateralmente al disegno notiamo le scritte in diagonale, ci spiegano che derivino da una suggestione di un artista torinese molto quotato, Felice Casorita. Un vino fresco, dalle tipiche note di ribes, pepe nero e finale su arancia sanguinella. Al palato offre il passo ad un tannino setoso, favorendo l’insinuarsi di una piacevole sapidità che lo rende verticale. Ottima struttura, di corpo, armonico, elegante.
Tra gli ultimi banchi che abbiamo avvicinato, porgiamo lo sguardo a Castel di Perno, azienda giovane che ha ancora tanta strada da percorrere. Proviamo i vini, partendo dal Nebbiolo 2019, un vino piuttosto verticale, dal gusto netto, con note di agrume, spezie e sipario su balsamicità. Il Barolo Classico di Castelletto, località dove si trova la cantina, ci offre un tannino fin troppo evidente, abbastanza ruvido, da smussare. Già col Barolo Selezione 2017 notiamo un miglioramento, fa due anni di botte di rovere austriaco, particolare perché, ci spiegano, le doghe sono lavorate e vapore e non col fuoco, quindi cedono meno tostatura. Aspettare qualche anno sarebbe un buon consiglio.
Un ultimo assaggio sul finale per l’azienda L’Astemia Pentita, di Sandra Vezza, stilista che nel 2010 prende alcuni ettari, e apre l’azienda vinicola con questo nome di sua ispirazione. Bottiglie ametista, semi trasparente, piuttosto insolite. Azzardiamo un Langhe Doc Riesling che fa sei mesi di acciaio e nove mesi in bottiglia, dall’olfattiva elegante, vagamente smaltata, frutta secca appena accennata, in bocca sapido e poco persistente. Il Barolo Cannubi 2017 suggerisce un buon equilibrio tra frutto, acidità e tannino, osa una tessitura di frutti rossi, la nota agrumata-speziata rimane a tratti spigolosa, complice sicuramente un’annata difficile.
Ringraziamo tutta l’organizzazione per un evento all’insegna dell’eleganza e del buon gusto, cornice perfetta del centro storico di Roma che ben si accompagna allo spessore dei vini in degustazione questa sera.
A cura di Massimo Casali per la consulenza sulle note tecniche e Susanna Schivardi per le interviste – foto originali
***Nella foto di copertina: Susanna Schivardi e Massimo Casali
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